lunedì 30 dicembre 2019

Pasquale Di Palmo

LA FIRMA DI PROUST


Della sua seconda visita a Venezia
non si sa quasi niente.
Rimane solo una firma
nel registro degli avventori
dell’Isola degli Armeni.
Venne solo, senza la madre
che l’aveva accompagnato qualche mese prima.
Desiderava quel viaggio
sin da bambino,
quando la nonna gli regalò alcune
cartoline che riproducevano
Tiziano, la Processione di Gentile Bellini.
Non tornò più in quel «cimitero di gioia».
Resta un’immagine
sfocata, in cui lo si vede
di profilo, bombetta in testa, simile a Charlot.
Sullo sfondo le brìcole,
un cielo ottuso, un’emicrania da merlot.


da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia
antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

venerdì 27 dicembre 2019

Roberto Deidier

VENEZIA 

I.

Questa città non esiste, puoi soltanto sognarla.
Dove i gabbiani coi rostri tagliano la tela
Di un cielo assurdo e solo, e l’acqua nei canali
Ha lo stesso colore impenetrabile di stagione
In stagione. Silenzio e putrefazione.
Come batteri all’assalto di un corpo
Stremato, i vaporetti catapultano mercenari
Pronti a sperdere la loro cieca meraviglia
E a chiederti a che ora chiude questa giostra.


II.

Tiziano al mattino, pomeriggio il Petrarca
Di Manuzio e Giorgione. Notturno
A Campo Santa Margherita, sestiere
Di Dorsoduro. Gli studenti non camminano
Mai soli. Raramente qualcuno si siede.
L’oscurità fa il cielo informe, le luci
Sui canali lo distraggono, le stelle
Corrono verso il largo, oltre la Giudecca
O la terraferma. Un passo irregolare di streghe
Tra le calli, anche se non è carnevale.
Con che forza vorresti fermarle, stelle
E streghe, finché l’oscuro s’incrina
E l’alba avanza col suo fiato pesante,
Il vento che a tratti asciuga i rintocchi.


da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia

antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”


mercoledì 25 dicembre 2019

Annalisa Comes


U STRITTU

                                                                             A mio padre


«Chi ha chiuso fra due battenti il mare,
quando usciva impetuoso dal ventre materno
quando io lo vestivo di nubi
e lo fasciavo di spessa oscurità?
Quando gli ho fissato un confine
e gli ho messo sbarre e porte
dicendogli: Fin qui giungerai e non oltre
e qui si infrangeranno le tue onde orgogliose».
                                            
                                              Giobbe, 38


Sembrano costole vicine -
che una si regga all’altra.
Poi la terra cade nell’azzurro
e penso che tu mi aspetti all’altra riva
scavalcate le correnti
dimenticati i turisti
e il caffè dell’ultimo bar.
Che stazione?
Capi d’avventura?
Soglia?

Paroli du ventu, sunnu.
Pigghiamu i valigi.

Quarto di luna.
Sbuccio un’arancia
accanto al buio dell’acqua
e ascolto una madre strillare:
passi cchiù tempu ‘nta l’acqua chi ‘nta terra

L’altra riva brilla del Faro
corre e gli manca il fiato.
– Matri bedda, cori di Gesù
pensaci tu a ‘stu figghiu –
E la madonna
apre la mano
scioglie dalla mano la Lettera
quasi a farla cadere

Quale alfabeto, quale lingua
quale salvacondotto
mi farà passare? E quando?

Nuddu apri bucca.                   

Mala fortuna, scoglio, frontiera.
Il giorno è scacciato
Il colore è contorno e buccia
Il tallone non dà tregua
Il mare è una lingua stretta d’imbuto
qui –
al nord del Sud –
spinge a precipizio sandali fagotti scodelle di smalto
fili di budello

Cavalcatura di schiene e grembo
Deserto rovesciato di zolle d’acqua
Mantello che copre latrati e corpi e bucce
Ci misero i battenti
a quest’acqua grande
di mezzo
quest’acqua nostra – non bianca –

U canuscisti, patri?
U canuscisti?

No nessuno apre bocca
Nuddu apri bucca

Dove sei, padre, che non mi rispondi?
che non mi prendi
che non mi butti una fune –  
una cima –
in questa notte buia?
che mi lasci dall’altra parte
affondata nello scirocco
a correre come una lepre
di una corsa in discesa?
Ccà dommi u ranni mari
(Patri, trovimi ‘na trazzera
picchì a strada spattìa
e ddà nni salutammu)

da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia

antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”



lunedì 23 dicembre 2019

Michele Colafato

L'ULTIMO VIAGGIO


BNP ParisBas trasforma in residenze di pregio
gli inutili uffici di un laborioso passato
la Banca Nazionale del Lavoro a Piazza Albania
Dalle fatiche che la pubblicità del venditore certifica esclusive
si leva una polvere acre e solerte che offusca la statua equestre
di Skanderbeg il condottiero, e allo straniero nasconde il colore del cielo

Dove la strada si stacca dall’edificio in ricostruzione per allargarsi in
una terra incolta e irta di savana, di sampietrini e di intonaco, dove
germogliano materiali aspri e macchine alacri che suscitano batter d’ali
e sussulti di volo tra uccelli nervosi in cerca di becchime
Qui la regina sospinta in Italia dal mare in cui si specchia il Corno
d’Africa ha elaborato il suo nido sotto un lenzuolo di plastica all’ingresso
della nuova reggia e lo ha arredato con rami e asciugamani

Un giorno di ritorno dal supermercato, le offrii un cartone di latte
e alcuni spiccioli e lei in diniego scuotendo
sprezzante il capo coronato di stracci variopinti
ripeteva la consueta richiesta di cibo scarna e frugale: “Mangiare…”
Dentro la borsa della spesa trovai una pesca: “Va bene questa?”
Nel silenzio seguente la regina africana accolse il frutto nella mano, 
                                                                                                          lo spezzò
in più parti e le distribuì tra i corvi e i gabbiani della cerchia che la scorta

Verso la fine l’ho vista riposare a pochi passi
dalla pompa della Esso.
Era dentro un borsone nero più del mare in tempesta
che sputa sopra onde paurose i naufraghi
e dei loro barchini neanche uno è intero
Vi si era stretta all’interno facendone
per l’ultimo viaggio in questo esilio il suo tetto


da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia

antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”


venerdì 20 dicembre 2019

Anna Cascella Luciani

VIAGGIARE PER TORNARE

viaggiare per tornare
ad Itaca – o non
tornarci mai – luogo
nel cuor nascosto –
obsoleto rinvio
d’un desiderio – giglio
di mare in seme
per i mari – preso
da onde – rive costeggia
– isole – lambisce –
arretra – si ferma
– originando a volte
praterie di gigli – narrando
– il seme – del viaggio
compiuto – di quel nucleo
d’essenza che si concreta
in arrivo – in ripartenza –


da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia
antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

mercoledì 18 dicembre 2019

Barbara Carle

ANTIGONE CANADENSIS

Girano i paleartici migranti.
Ripercorrono spazi sovrumani.
Volano tra confini planetari.
Gorgogliano il loro incomparabile
verso, un vocalizzare
di trilli melodiosi. Il fluido
vibrare sale dolcemente.
La frase dura, ruzzola a spirale.
Tutto il cielo emette la loro musica.
Ritornano ancora in forma di V
approdano in autunno al delta
millenario, alla pianura fertile.

I contorni sono chiari eleganti.
Atterrati però sempre elevati
le penne remiganti ripiegate
la coda timone rivolta al basso
il piumaggio sontuoso compatto.
Le zampe allungate grigio perla
sono esili ma ultra resistenti.
Il lungo collo flessuoso ondeggia.
La testa è incoronata di rosso
gli occhi ambrati accesi dalle guance
bianche, il becco appuntito è tozzo
se pensiamo alla cicogna o all’airone.

Dispiegano le ali cinerine
striate di viola bianco blu ocra.
Ogni mossa è leggera aerea
mentre saltellano nella palude
in mezzo alle canne innalzate al sole.
Duellano danzando i trampolieri.
Si spruzzano guazzano balzano
in aria, precipitano sull’acqua.
Decollano da quel suolo liquido.


da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia
antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

lunedì 16 dicembre 2019

Maria Clelia Cardona

IL VIAGGIO DEL VASELLO

                                     Guido, i’ vorrei che tu e Lapo e io


Dimentico ormai della terra, il mare era
l’incantamento promesso, al di là della soglia
si apriva un inesplorato polverio di luci -
a guidare il ragionare d’amore il vento portava
l’armonia delle onde, le voci delle Sirene,
il canto dei delfini.

Esci da quella porta per un poema o
per un viaggio, vedrai senza occhiali
nello sfocarsi dei confini la nostra
vastità-

Cosa sai, incantatore, del nostro viaggiare?
Ci avverti che è per poco,
che è materia di sogni,
traghetto di inappagati desideri
e di ogni amore corsaro.


da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia
antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

venerdì 13 dicembre 2019

Marco Caporali


A UN SIMPOSIO SUL NOSTRO FUTURO


A un simposio sul nostro futuro
un esule greco avvertiva:
perché di te non restino
solo rovine
lascia crescere Europa i tuoi fiori selvatici.


da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia
antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

mercoledì 11 dicembre 2019

Annelisa Alleva


IL MIO LETTO


Il mio letto
è una morbida busta bianca
nella quale mi rifugio
ogni sera a dormire.
Io sono missiva
ripiegata su se stessa
e insieme viaggiatore
che tenta di distrarsi
dalle fatiche dei preparativi;
eppure a stento
il timbro del sonno
suggella il mio viaggio,
a stento precipito
con le altre ombre bianche
nel buio pesto dell’incoscienza.
Il mio treno ritarda,
non vuole partire.

Mentre tento di assopirmi
una mano ignota
verga le ultime righe.

Domani approderò in un altro paese.

da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia
antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”


lunedì 9 dicembre 2019

Sauro Albisani


LARI

Caro lettore, ho cambiato casa.
Da bambino studiavo Api vivente,
il dio egizio, alle elementari.
Nella stalla
ruminavano i buoi. Io in silenzio
m’avvicinavo alla sua mangiatoia.
M’interessava l’occhio
grande come il mio viso, un pianeta.
Mi guardava, il dio della pazienza,
allungare le mani,
e non smetteva mai di ruminare:
un dio, un dio mi entrava nella mente
scacciando mosche e tafani
con la coda,
ritmicamente.

Non c’è posto, lettore, per i libri
nella mia nuova casa.
Anche nei libri cercavo qualcuno,
non ricordo più chi,
non torna a galla.
Ho sistemato i libri nella stalla.
La mangiatoia è uguale
a quella che riempivo d’erba fresca.
Provo a chiudere gli occhi.

Ora allungo la mano, titubante,
senza sfiorare la pupilla.
Non so cosa cercavo dentro i libri.
Sono pesanti, polverosi.
Non so cosa cercavi,
continuo a domandarmi sorridendo.
E non vola una mosca
mentre poso la biro.

Da qualche parte
dentro un sussidiario
c’è ancora il dio Api.
Il suo respiro.


da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia 

antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

venerdì 6 dicembre 2019

Domenico Adriano

SOLTANTO IL MIO AMICO EMILIO


Soltanto il mio amico Emilio
Bestetti può aiutarmi. Con lui
nella camera oscura
mi è dato di mostrarvi
l’uomo che cammina in questa poesia.
Chi lo ha mandato
quale suo vangelo - e perché tiene
perennemente in mano un libro aperto.

Lèggere è la sua legge.
Lo seguo per le strade
di Testaccio, temo per lui quando
attraversa… Ora Emilio
con una mano trova l’aria
per diradare la nebbia che ha invaso
il bagno della pellicola: vedo
da una spira di vento
affiorare un albero - inchina i folti rami
al passo dell’uomo, ha il capo il collo proni
verso la china della parola.

Mentre vi parlo siamo
sul tram numero 3, l’uomo
se ne sta fisso in un canto
- deve per forza leggere - arrivare
con gli occhi alla sua pagina sarebbe
scalare il Monte Bianco.
Voglio seguirlo ammirare il cielo
dove abita sedere alla sua tavola.
Penso a Ungaretti a Piccioni agli amici
inerpicatisi sulla Circolare
- ancora le stesse rotaie -
per continuare la lezione
alla Sapienza: al poeta rapito
che sempre dimentica
di scendere a Marmorata all’altezza
dell’Aventino.

da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia 
antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

mercoledì 4 dicembre 2019

Rita Iacomino


UN SOGNO IN IRLANDA


Dormire - prigionieri di libertà sognate
reticolati di cose lente, di passi subacquei
migranti verso terre macerate dagli stagni.
Dormire - dormire nelle paludi (disfarsi)
fino a farsi torba e calore.
Qui, dove tutto è sonno
(meraviglia della superficie compatta che dorme),
una nera progenie
un teatro di marionette
- in dialogo tra denti fossili -

Il tempo dilata gli spazi,
i detriti allontanano gli estuari
i fiumi separano le terre dai mari.

da Cronache dalla sparizione del mondo

(poemetto inedito)




lunedì 2 dicembre 2019

George Gordon Byron


IO NON VIVO IN ME STESSO


Io non vivo in me stesso, ma divento
parte di ciò che mi circonda; e le alte montagne
per me sono un sentimento, ma il brusio
delle umane città una tortura: non vedo
niente da odiare in natura, salvo essere
un anello riluttante in una catena carnale,
classificato fra creature, quando l’anima
può fuggire e col cielo, i picchi, l’ansante distesa
dell’oceano, o le stelle, mischiarsi, e non invano.

Traduzione di Francesco Dalessandro

da Childe Harold’s Pilgrimage, Canto III, stanza 72


venerdì 29 novembre 2019

Alessandro Ricci

SI COSTRUISCONO ZATTERE


Si costruiscono zattere anche
per non salvarsi, per non
raggiungere approdi ma
perderli, e lo si fa
intenti, odiandosi quasi
serenamente, sapendo che
Penelope non aspetta
al di là del mare,
e nient'altro
che mare
c'è.


da Tutte le poesie, Europa Edizioni, 2019

mercoledì 27 novembre 2019

Maria Grazia Bragalone

PENELOPE

C'è sempre una Penelope che disfa una tela
e prende tempo, e perde tempo,
ogni notte, per non finirla mai,
per dire mai: è finita.
L'attesa sa che fa vivere lui nel suo viaggio,
lo sa e il suo sentire, Penelope bella e assediata,
lui stanco per l'avventuroso viaggio
spasima le braccia calde e sicure.

da Io come Penelope, Europa Edizioni, 2019

lunedì 25 novembre 2019

Giorgio Luzzi

EXIT CATULLUS


Exit Catullus, proprio lui che
chiamava forte per un dito di falerno
d'annata nero e triste.
Non per la pia Postumia, che era una semplice oca
di casa, un lavandino un acino teso.
Né per la lieve Lesbia che i talloni
in certi giochi alzava su al luogo della gola.
Ma per certi pedanti, per non chiari poteri,
per la noia e la rabbia fatte morte,
lui lontano da Roma, e tutto in Roma quel
bisbigliare, tradurre
i segnali in sinistri sguardi d'angolo, tradire
ricambiare sempliciter: gli infiniti dei vivi.


da Da che mondo. Poesie 1976-2016, Sedizioni, 2017

venerdì 22 novembre 2019

Giacomo Leopardi


AD ANGELO MAI
QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI
DI CICERONE DELLA REPUBBLICA

Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni
A questo secol morto, al quale incombe
Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de’ nostri,
Muta sì lunga etade? e perché tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
Venner le carte; alla stagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi. E che valor t’infonde,
Italo egregio, il fato? O con l’umano
Valor forse contrasta il fato invano?

Certo senza de’ numi alto consiglio
Non è ch’ove più lento
E grave è il nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
Novo grido de’ padri. Ancora è pio
Dunque all’Italia il cielo; anco si cura
Di noi qualche immortale:
Ch’essendo questa o nessun’altra poi
L’ora da ripor mano alla virtude
Rugginosa dell’itala natura,
Veggiam che tanto e tale
È il clamor de’ sepolti, e che gli eroi
Dimenticati il suol quasi dischiude,
A ricercar s’a questa età sì tarda
Anco ti giovi, o patria, esser codarda.

Di noi serbate, o gloriosi, ancora
Qualche speranza? in tutto
Non siam periti? A voi forse il futuro
Conoscer non si toglie. Io son distrutto
Né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
M’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno
È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ai tetti vostri inonorata, immonda
Plebe successe; al vostro sangue è scherno
E d’opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne lodi
Né rossor più né invidia; ozio circonda
I monumenti vostri; e di viltade
Siam fatti esempio alla futura etade.

Bennato ingegno, or quando altrui non cale
De’ nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui fato aspira
Benigno sì che per tua man presenti
Paion que’ giorni allor che dalla dira
Obblivione antica ergean la chioma,
Con gli studi sepolti,
I vetusti divini, a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
Magnanimi allegràr d’Atene e Roma.
Oh tempi, oh tempi avvolti
In sonno eterno! Allora anco immatura
La ruina d’Italia, anco sdegnosi
Eravam d’ozio turpe, e l’aura a volo
Più faville rapia da questo suolo.

Eran calde le tue ceneri sante,
Non domito nemico
Della fortuna, al cui sdegno e dolore
Fu più l’averno che la terra amico.
L’averno: e qual non è parte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Susurravano ancora
Dal tocco di tua destra, o sfortunato
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
L’italo canto. E pur men grava e morde
Il mal che n’addolora
Del tedio che n’affoga. Oh te beato,
A cui fu vita il pianto! A noi le fasce
Cinse il fastidio; a noi presso la culla
Immoto siede, e su la tomba, il nulla.

Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
Ligure ardita prole,
Quand’oltre alle colonne, ed oltre ai liti
Cui strider l’onde all’attuffar del sole
Parve udir su la sera, agl’infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del Sol caduto, e il giorno
Che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo;
E rotto di natura ogni contrasto,
Ignota immensa terra al tuo viaggio
Fu gloria, e del ritorno
Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
L’etra sonante e l’alma terra e il mare
Al fanciullin, che non al saggio, appare.

Nostri sogni leggiadri ove son giti
Dell’ignoto ricetto
D’ignoti abitatori, o del diurno
Degli astri albergo, e del rimoto letto
Della giovane Aurora, e del notturno
Occulto sonno del maggior pianeta?
Ecco svaniro a un punto,
E figurato è il mondo in breve carta;
Ecco tutto è simìle, e discoprendo,
Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,
O caro immaginar; da te s’apparta
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
E il conforto perì de’ nostri affanni.

Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo
Sole splendeati in vista,
Cantor vago dell’arme e degli amori,
Che in età della nostra assai men trista
Empièr la vita di felici errori:
Nova speme d’Italia. O torri, o celle,
O donne, o cavalieri,
O giardini, o palagi! a voi pensando,
In mille vane amenità si perde
La mente mia. Di vanità, di belle
Fole e strani pensieri
Si componea l’umana vita: in bando
Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
È spogliato alle cose? Il certo e solo
Veder che tutto è vano altro che il duolo.

O Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa
Tua mente allora, il pianto
A te, non altro, preparava il cielo.
Oh misero Torquato! il dolce canto
Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
Onde l’alma t’avean, ch’era sì calda,
Cinta l’odio e l’immondo
Livor privato e de’ tiranni. Amore,
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
T’abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e il mondo
Inabitata piaggia. Al tardo onore
Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L’ora estrema ti fu. Morte domanda
Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.

Torna torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello,
Se d’angoscia sei vago, o miserando
Esemplo di sciagura. Assai da quello
Che ti parve sì mesto e sì nefando,
È peggiorato il viver nostro. O caro,
Chi ti compiangeria,
Se, fuor che di se stesso, altri non cura?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale
Affanno anche oggidì se il grande e il raro
Ha nome di follia;
Né livor più, ma ben di lui più dura
La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
Se più de’ carmi, il computar s’ascolta,
Ti appresterebbe il lauro un’altra volta?

Da te fino a quest’ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,
Pari all’italo nome, altro ch’un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo feroce, a cui dal polo
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,
Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
Mosse guerra a’ tiranni: almen si dia
Questa misera guerra
E questo vano campo all’ire inferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro all’arena
Scese, e nullo il seguì, che l’ozio e il brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.

Disdegnando e fremendo, immacolata
Trasse la vita intera,
E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
Età né suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi viviamo, e scorti
Da mediocrità: sceso il sapiente
E salita è la turba a un sol confine,
Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso,
Segui; risveglia i morti,
Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de’ prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni
E sorga ad atti illustri, o si vergogni.