mercoledì 27 febbraio 2019

Wallace Stevens

UNA SERA QUALUNQUE A NEW HAVEN 

IV

La semplicità delle cose semplici è selvaggia,
Come: l’estrema semplicità d’un uomo che ha combattuto
Contro l’illusione ed è stato, nel grande stridio

Di denti ringhiosi, e cadute a notte, sopraffatto
Dagli obesi oppiacei del sonno. Uomini semplici in semplici                                                                                   paesi
Non sono precisi riguardo la soddisfazione che richiedono.

Sanno soltanto che un appagamento selvaggio urla
Con voce selvaggia; e in quell’urlo si sentono
Trasportati, ammutoliti e confortati

In una selvaggia e sottile e semplice armonia,
Un accoppiamento di accordi a sorpresa,
Una corrispondenza al più divino antagonista.

Così dal casto inverno viene la primavera lasciva.
Così, dopo l’estate, nell’aria autunnale,
Viene il freddo volume di spettri dimenticati,

Ma dolcemente, con strumenti piacevoli,
Così che questo freddo, la favola infantile del gelo,
Assomiglia allo sfavillio del caldo romanzato.



da Aurore d’autunno, Adelphi 2014

lunedì 25 febbraio 2019

Pablo Neruda


CORPO DI DONNA

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu appari al mondo nell’atto dell’offerta.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Fui deserto come un tunnel. Da me fuggirono gli uccelli
e in me la notte forzava la sua invasione poderosa.
Per sopravvivere ti forgiai come un’arma,
come freccia nel mio arco, pietra nella mia fionda.

Ma viene l’ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah, le coppe del seno! Ah, gli occhi d’assenza!
Ah, le rose del pube! Ah, la tua voce lenta e triste!

Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.
Mia sete, mia ansia senza limite, mia strada indecisa!
Oscuri alvei da cui nasce l’eterna sete,
e la fatica nasce, e l’infinito dolore.

Traduzione di Salvatore Quasimodo

venerdì 22 febbraio 2019

Francesco Dalessandro


MADRIGALE                                               
DI MATERIA OPACA E IMPURA

                                                                 a Sandro

Se è la poesia che ci ospita e ci detta
o sussurra all’orecchio
qualche parola un verso
che sia appannato specchio
dell’amore, è dal pianto
per la storia ed il tempo che ci spetta
in sorte per la vita che trabocca
dal nostro sangue stanco
che nasce “la scrittura
concupiscente e casta di sostanza
imperfetta”, materia opaca e impura
che reca disperanza
e ci lascia smarriti e senza bocca
per dire o raccontare la paura
quando sembra che tutto
ci abbandoni e confonda
quando ogni cosa è lutto
di non vita perché la vita affonda
nella morte o smarrita nel tumulto.

(inedita)

mercoledì 20 febbraio 2019

Antonella Palermo


QUESTA È LA TERRA

Questa è la terra
lievitata al fuoco dei Sanniti.
La scopre il vento e tu, cartografo indiscreto.
Tornarci insieme e sedersi
su quel punto d’atlante
mi svuota
come si apre una birra
agitata dal viaggio.

da La città bucata, Internopoesia, 2018

lunedì 18 febbraio 2019

Valerio Grutt


NON LA LASCIARE SOLA

Non la lasciare sola
nei gironi di bar e mercati
nei viaggi di stanze bianche
quadrature dimensionali
fuori dal tempo
senza volti familiari, musiche
amiche, non la lasciare
sospesa tra cielo e terra
nei sottopassaggi di stazioni
senza indicazioni, dove
gli angeli caduti si spaccano
bottiglie in testa.
Ma accoglila nel cuore della luce
dalle alla fine un lampo
di comprensione, un sorriso
che tenga dentro il bene
di tutte le persone, dalle la certezza
che non finisce qua, che non dovrà
soffrire più, e soprattutto
che ci rivedrà.

da Dove non arriva la scienza, plaquette stampata dal Policlinico di Sant’Orsola a Bologna per il progetto Le parole necessarie


venerdì 15 febbraio 2019

Francesco Dalessandro


MONDI                                             

                                              m’immaginavo mondi tutti assai
                                                      più lievi e volatili di questo mio
                                                                                          Beppe Salvia

Non volatili mondi non lievi
sono di questo mondo ma cose
grame
            luce farnetica che raggia
fredda su rami adusti dove stentano
le prime infiorescenze inani giorni
non dànno frutto stelle
propinque e lontane ad un passo
il dolore lo sbarro
cieco del sonno
                             la beltà la grazia
che riverbera i sogni dei morti
giorni…
               «in realtà io vivo
buona parte dell’anno al mare
il cui perpetuo moto m’induce
all’attesa di un lontano
segnale»

(inedita

mercoledì 13 febbraio 2019

Suor Juana Inés de la Cruz


QUESTO, CHE VEDI

Questo, che vedi, colorato inganno
che dell’arte ostentando le bellezze
con falsi sillogismi di colori
è un inganno dei sensi malizioso;

questo, nel quale la lusinga ha osato
della vecchiaia eludere gli orrori
e sconfiggendo del tempo i rigori
trionfare sugli anni e sull’oblio,

è un artificio vano della cura,
è un fiore molto gracile nel vento,
è un inutile scudo contro il fato:

è una sciocca pazienza delirante,
è un affanno fugace e, a ben guardare,
è cadavere, è polvere, è ombra, è niente.

Traduzione di Roberto Paoli

da Poesie, Bur, 1983

lunedì 11 febbraio 2019

Valerio Grutt


COME LAVO QUESTI PIATTI

Come lavo questi piatti
fa che siano lavati
i rancori passati di Giulia.
Se lavo il coltello togli
dalla sua mente le ferite
familiari, gli sguardi taglienti
che le affondarono nel petto.
Se lavo il bicchiere toglile
la noia bastarda delle attese
la regolarità inutile di un giorno
senza squilli e senza visite.
Se lavo la pentola purifica il cuore
che sia libero da ogni delusione.

E questa parola non resti poesia
ma spacchi il vetro
risalga all’infinito e giunga dritta
al centro dell’universo.

da Dove non arriva la scienza, plaquette stampata dal Policlinico di Sant’Orsola a Bologna per il progetto Le parole necessarie

venerdì 8 febbraio 2019

Fabio Ciriachi


IL GIORNO IN CUI S'ERA SENTITO MALE

Il giorno in cui s’era sentito male
aveva attraversato il pomeriggio
succo d’arancia la tovaglia a righe
un senso come intero di bellezza
passata (dunque finisce così la
bellezza, con la rassegnazione)
le voci incidevano il silenzio
non gl’importava niente non le amava
più, pensò che se fosse giunta notte
non l’avrebbe ostacolata piuttosto
coccolata anche se con freddezza
poi vide il seno affacciato al décolleté
 un tremolio sull’onda dei passi
e ne invidiò le ghiandole obbedienti
- avesse avuto una morbidezza
simile nascosta dentro, magari
nei gesti, negli sguardi, attorno agli occhi
o nei pensieri nelle decisioni -
avesse concordato con chiarezza
un modo per concludere l’impresa:
poche parole e tutte di peso
pochi silenzi senza impressionare
ma che importanza poteva mai avere
(il corpo estraniato dal dolore
gli parve un movimento di nemici
e non si rese conto che si arrese).

(inedita)


mercoledì 6 febbraio 2019

Antonella Palermo


CI VOLEVA CENERE A PUGNI

Ci voleva cenere a pugni
per farlo bianco il bucato
e grasso animale con cura bollito
per comporre il sapone.

Pensi ancora di poterti difendere
passando al setaccio
la mistura intrigante
dove il tuo corpo si immerge.


da La città bucata, Internopoesia, 2018

lunedì 4 febbraio 2019

Pablo Neruda

                                                                    
POSSO SCRIVERE I VERSI PIÙ TRISTI

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.

Scrivere, ad esempio: «La notte è stellata,
e tremolano, azzurri, gli astri, in lontananza».

Il vento della notte gira nel cielo e canta.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Io l’amai, e a volte anche lei mi amò.

Nelle notti come questa la tenni tra le mie braccia.
La bacia tante volte sotto il cielo infinito.

Lei mi amò, a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Pensare che non l’ho. Sentire che l’ho perduta.

Udire la notte immensa, più immensa senza lei.
E il verso cade sull’anima come sull’erba la rugiada.

Che importa che il mio amore non potesse conservarla.
La notte è stellata e lei non è con me.

È tutto. In lontananza qualcuno canta. In lontananza
La mia anima non si accontenta di averla perduta.

Come per avvicinarla il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.

La stessa notte che fa biancheggiare gli stessi alberi.
Noi, quelli di allora, più non siamo gli stessi.

Io non l’amo, è certo, ma quanto l’amai.
La mia voce cercava il vento per toccare il suo udito.

D’altro. Sarà d’altro. Come prima dei miei baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro. I suoi occhi infiniti.

Più non l’amo, è certo, ma forse l’amo.
È così breve l’amore, ed è così lungo l’oblio.

Perché in notti come questa la tenni tra le mie braccia,
la mia anima non si rassegna ad averla perduta.

Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa,
e questi siano gli ultimi versi che io le scrivo.

Traduzione di Giuseppe Bellini

da Poesie, Nuova Accademia, 1964

venerdì 1 febbraio 2019

Wallace Stevens


ANGELO CIRCONDATO DA PAYSANS

Uno dei contadini:
                                                                          C’è
Il benvenuto alla porta a cui nessuno viene?

L’angelo:
Io sono l’angelo della realtà,
Intravisto un istante sulla soglia.

Non ho ala di cenere né usura di metallo
E vivo privo del tepore dell’aureola,

Senza stelle che mi seguano in corteo,
Ma parte del mio essere e conoscere.

Sono uno di voi ed essendo uno di voi
Io sono e so quel che so e sono.

Sì, sono l’angelo necessario della terra,
Poiché chi vede me vede di nuovo

La terra, libera dal duro giogo della mente,
E chi ascolta me ne ascolta il canto

Tragico levarsi in liquide lentezze,
Come parole d’acqua a galla; come significati detti

Per ripetizione di mezzi significati. Non sono forse,
Sì, io, soltanto una specie di figura a mezzo,

A mezzo vista, vista un solo istante, un uomo
Della mente, un’apparizione apparecchiata

Di paramenti all’apparenza tanto lievi che volto
Le spalle, ed eccomi presto, troppo presto scomparso?

Traduzione di Nadia Fusini

da Aurore d’autunno, Adelphi 2014