mercoledì 30 dicembre 2020

Osip Mandel’štam

 TRISTIA


Io so la scienza dei commiati, appresa

fra lamenti notturni a chiome sciolte.

Stan ruminando i buoi, dura l'attesa:

ultim'ora di veglia delle scolte

cittadine. E mi piego al rito della notte

del gallo, quando - in spalla il carico di strazio

del viaggio - guardavano lontano umidi occhi,

e pianger di donne al canto si univa delle muse.


Chi, alla parola "commiato", sa quale

distacco giungerà per noi fra poco,

che cosa presagisce lo strepito del gallo

mentre la fiamma arde sull'acropoli,

e perché all'alba di una vita nuova,

mentre il bue rumina pigro nell'andito,

il gallo, araldo della vita nuova

sulla cinta muraria le ali sbatte?


E amo il filato, amo la tessitura:

il fuso ronza, va su e giù la spola.

Guarda: scalza, leggera come fosse peluria

di cigno, Delia già incontro mi vola!

O gramo ordito del vivere nostro,

che povera è la lingua della gioia!

Tutto fu in altri tempi. Tutto sarà di nuovo.

Solo ci è dolce l'attimo del riconoscimento.


Ma così sia: giace in un terso piatto

d'argilla una traslucida figura,

come una pelle stesa di scoiattolo,

e a scrutare la cera una ragazza è curva.

Non sta a noi trarre auspici sul greco Erebo:

la cera è per le donne ciò ch'è il bronzo per l'uomo.

Noi sfidiamo la sorte da guerrieri;

destino è ch'esse traendo auspici muoiano.


(1918)


Traduzione di Remo Faccani

da Cinquanta poesie, Einaudi, 1998

lunedì 28 dicembre 2020

Carl Sandburg

LA NEBBIA


Io sono la nebbia, l'impalpabile nebbia,

Dietro alle cose che cercate.

Le mie braccia sono lunghe,

Lunghe quanto la portata del tempo e dello spazio.


Qualcuno si sforza disperatamente, credendo,

Guardando di tanto in tanto il mio volto,

Cogliendo un'antica gloria vitale.


Ma nessuno mi oltrepassa,

Io li avviluppo e intrappolo tutti.

Io sono la causa della Sfinge,

La Sfinge muta, confusa e paziente.


Io c'ero al principio delle cose,

Io ci sarò alla fine.

    Io sono la nebbia primordiale

    E nessun uomo mi oltrepassa;

    Le mie lunghe braccia impalpabili

    Sbarrano la strada a tutti.


Traduzione di Franco Lonati


da Chicago Poems, Sedizioni, 2017

venerdì 25 dicembre 2020

Jacques Prévert

LE OMBRE

 

Stai lì

davanti a me

nella luce dell’amore

Ed io

sto qui

davanti a te

nella musica della felicità

Ma la tua ombra

sulla parete

spia ogni attimo

dei miei giorni

e la mia ombra

fa lo stesso

e spia la tua libertà

Eppure ti amo

e tu mi ami come s’ama il giorno la vita o l’estate

Ma come le ore che si seguono

non suonano mai ad un tempo

le nostre due ombre s’inseguono

come due cani di una stessa madre

staccati dalla medesima catena

ma ostili entrambi all’amore

unicamente fedeli al padrone

alla padrona

e che aspettano pazientemente

ma tremanti d’angoscia

la separazione degli amanti

e che aspettano

che la nostra esistenza si concluda

e il nostro amore

e che gli buttin lì le nostre ossa

per prenderle

celarle e seppellirle

e seppellirsi anch’essi

sotto le ceneri del desiderio

fra le macerie del tempo.


Traduzione di Ivos Margoni

 

da Storie e altre storie, Feltrinelli UE 1965

 

mercoledì 23 dicembre 2020

Kenneth Patchen

DUPLICE OMICIDIO DI UN RAGAZZO 

IN GUANTI GIALLO LIMONE


                                                                        Aspetta.


                                                                    Aspetta.


                                                        Aspetta.


                                    Aspetta. Aspetta.


                        Aspetta.


                                                                        Aspetta.


                                                A s p e t t a .


                            Aspetta.


                                                            Aspetta.


                                                                        Aspetta.


                                                       Aspetta.


                                                                       Aspetta.


                    Aspetta.


                                                            DAI.


Traduzione di Franco De Poli


da Lo stato della Nazione, Guanda, 1967


lunedì 21 dicembre 2020

William Shakespeare

 

Sonetto LXXIV

 

Non darti pena quando il fatale arresto                       

che rifiuta cauzione mi porterà via;

la mia vita è partecipe dei versi

che con te resteranno in mia memoria.

Rileggendoli tu vi rivedrai

quella parte che a te fu consacrata.

Solo terra alla terra: ciò le spetta;

mia miglior parte, lo spirito è tuo.

Così resti di vita avrai perduto,

sola preda dei vermi il corpo morto,

vile conquista del coltello d’uno scellerato,

troppo di te più umile per esser ricordato.

Il suo valore è quello che contiene,

e quello è questo e questo a te rimane.


Traduzione di Francesco Dalessandro


da Ladro gentile, Il Labirinto, 2014

 

venerdì 18 dicembre 2020

Michalis Ganàs

 MI CHIUDO NEL MIO CORPO LE NOTTI


Mi chiudo nel mio corpo le notti

partorendo il tuo.

Ma come dare forma a un corpo che desidero

che vedo ma che mai ho sfiorato.


Cieco da entrambe le mani.


Traduzione di Paola Maria Minucci

da La Grecia, sai..., Donzelli, 2004

mercoledì 16 dicembre 2020

Basho

RINGRAZIAMENTO


In questa sera d'autunno

alla fine del viaggio

sono ancora vivo.


da Poesie, Acquaviva, 2003

lunedì 14 dicembre 2020

Yun Dong Ju

 UNA POESIA SCRITTA FACILMENTE


Fuori dalla finestra sussurra la pioggia notturna,

questa stanza coperta dal tatami è terra straniera.


Anche se essere poeta è un triste destino,

scrivo un verso.


Ho ricevuto la busta con la retta scolastica che mi avete mandato,

odorosa di sudore e di amore.


Con il quaderno sotto braccio

mi avvio alla lezione di un anziano professore.


Se penso ai miei vecchi compagni!

Uno, due, li ho persi tutti.


Cosa spero io,

affonderò infine da solo?


Vivere è così difficile

che riuscire a scrivere poesie così facilmente

mi imbarazza.


Questa stanza coperta dal tatami è terra straniera.

Fuori dalla finestra la pioggia notturna mormora,

ma la luce della lampada attenua un poco l'oscurità,

l'ultimo me stesso attende la mattina di una nuova era.


Io offro una mano in aiuto a me stesso,

la prima stretta di mano tra conforto e lacrime.


3 giugno 1942


da Vento blu, Ensemble, 2020

venerdì 11 dicembre 2020

Umberto Piersanti

TENERA È L’ESTATE

 

tenera è l’estate

che finisce

in queste acque lontane

sotto i gran monti

 

qui le chiamano fole

mi dicevi,

son anime che strisciano

tra i rami

e accendono fiamme

in mezzo ai boschi,

chi ricerca castagne

o guida capre

le incontra con sgomento

nel cammino,

d’estate il grande sole

le addormenta

settembre le risveglia

e la frescura

 

pochi sono i bagnanti

sulla rena,

il sole non t’acceca

scende alle otto,

nessun pastore sale per i monti,

e un poco t’addolcisce

e t’addolora

l’infinito distante

di quei giorni

 

settembre 2016

 

da Campi d’ostinato amore, La nave di Teseo, 2020

mercoledì 9 dicembre 2020

Alessandra Paganardi

 CI HA TAGLIATI LA NOTTE


Ci ha tagliati la notte

becco sbrecciato di cicogna scura

alta sopra i tralicci


fra un platano e una scalinata d'aria

disarcionare l'ombra

prima dell'alba dalle troppe dita


città di mangrovie impazzite

da questo ponte che non è più viaggio

ma soltanto stupore d'asfalto


nel fondo dei tuoi occhi

si è rovesciato un golfo di domande

ci ha incollati la notte

al debito insoluto d'assoluto

all'addio condonato - alla rapace 

vorace vita


da La regola dell'orizzonte, puntoacapo, 2019

lunedì 7 dicembre 2020

Anna Settevendemmie

 INSIGNI DOCENTI, SAGGISTI, POETI


Insigni docenti, saggisti, poeti

dovrei prendere voi come esempio

o il pescatore che ci conduce e narra

di freddi inverni sulle coste

greche delle correnti dello Stretto

del mar Tirreno che riversandosi

nello Jonio lo colma di sé, dei pesci

abissali che di notte affiorano

di quanto il delfino sia loro

nemico della vita che si sceglie

rinunciando ad agi e denaro


(inedita)


venerdì 4 dicembre 2020

Michele Bordoni

CREDIMI, AVREI VOLUTO RASSEGNARMI 


Credimi, avrei voluto rassegnarmi

al sudario ravvolto di quest’ora,

di ciò che siamo stati, di ciò che potevamo,

vedere che ci supera la vita

e avere la pietà di non rendersene conto.

Non spero più che queste undici sillabe

in cui ripeto le forme del tuo abisso,

non spero una risposta se non nella caduta.

Ma il riscatto è di là di questa attesa.

Resta quel che si tace

                                        ad insegnare

l’ impossibilità del dire e del restare.


da Gymnopedie, Italic, 2018

mercoledì 2 dicembre 2020

Anna Cascella Luciani

 TI BACIO IN TRE


ti bacio in tre

punti a finire

il sacro rito

che tende a rapire

dinanzi all'immagine,

la prediletta,

dell'ampia navata,

barocca, sospetta,

la grazia accogliente

dell'occasione,

l'invito tranquillo,

la ripetizione.


da Migrazioni

lunedì 30 novembre 2020

Umberto Piersanti

 DENTRO IL PRESENTE


quale millennio scorre

per le strade, nei caffè della sera

ragazzi dai jeans strappati,

i volti così incerti

e luminosi,

voi che sedete intorno

ai lunghissimi tavoli

per i vostri eterni aperitivi,

chiedo come ad altri

a voi così simili e lontani

chiese un poeta antico e forestiero?


anche questo è tempo

dove parlare d'alberi

appare un delitto

perché su troppe stragi

comporta il silenzio?

forse, ma tra selve odorose

troppo tempo hai trascorso

e il loro verde sapore

t'è entrato per la gola

giù nel sangue,

una diversa era 

ti ha abitato


mentre guardi il Carpegna

annuvolato, passi lento

tra ornelli e ginepri,

da forestiero cammini

dentro il Presente


luglio 2018


da Campi d'ostinato amore, La nave di Teseo, 2020

venerdì 27 novembre 2020

Yun Dong Ju

 AUTORITRATTO

 

 

Giro solitario ai piedi della montagna, vado verso un campo di riso      

                dove trovo un pozzo abbandonato e guardo dentro.

 

Nel pozzo vedo la luna splendente, le nuvole che si addensano, 

                il cielo vasto che si dilata, il vento blu e l’autunno.

 

Vedo anche un uomo,

senza una ragione lo odio e mi allontano.

 

Mentre mi allontano provo pietà per lui. Torno indietro e l’uomo 

                è ancora là dentro.

 

Di nuovo provo odio per lui e vado via.

Mentre mi allontano quell’uomo inizia a mancarmi.

 

Nel pozzo vedo la luna splendente, le nuvole addensate, il cielo vasto 

                che si dilata, il vento blu, l’autunno  e c’è un uomo simile 

                a un ricordo.

 

Traduzione di Eleonora Manzi

 

da Vento blu, Ensemble, 2020

mercoledì 25 novembre 2020

E. E. Cummings

 SOLO

 

starsene (solo) in qualche

 

pomeriggio autunnale:

a respirare questa

funesta quiete; mentre

 

quell’enorme e paziente

 

creatura (che da mai

mai s’è spogliata del

dì) di sempre si veste

 

sempre di sogno ed è

 

assaggiare

in-(oltre

morte e

 

vita)immaginabili misteri


Traduzione di Francesco Dalessandro

lunedì 23 novembre 2020

John Keats

 SULLA FAMA                     

 

 

La fama, ragazza volubile, fa la ritrosa

con chi troppo pronto in ginocchio  

la corteggia, ma cede a uno sventato

adolescente e smania per un cuore

disinvolto. È una zingara che a chi

senza lei non sa stare non dà retta.

Sussurrarle all’orecchio non vale,

parlarne è calunniarla: è una civetta;

vera zingara del Nilo, è cognata del geloso

Putifarre. Voi poeti malati d’amore

ripagatela con lo stesso disprezzo;

voi artisti delusi d’amore, pazzi che siete!

fatele un bell’inchino e ditele addio:

se ne avrà voglia, sarà lei a venirvi dietro.


Traduzione di Francesco Dalessandro

venerdì 20 novembre 2020

George Gordon Byron

 TENEBRA



Ho fatto un sogno non soltanto sogno.
Il sole splendente s’era spento e le stelle
vagavano al buio nello spazio eterno
senza raggio né direzione; la terra gelata
girava cieca abbuiandosi nell’aria illune;
venne mattino, passò, tornò senza recare
giorno, e gli uomini, presi dal terrore
di tanta desolazione, dimenticarono
le loro passioni, i cuori agghiacciarono
pregando in se stessi per avere luce.
Si viveva tutti intorno ai bivacchi:
troni e palazzi di re coronati, capanne
e abitazioni d’ogni genere vennero bruciate
per fare luce, intere città consumate;
gli uomini si stringevano attorno ai roghi
delle case per guardarsi ancora in faccia.
Felici coloro che dimoravano nell’occhio
dei vulcani e dei loro picchi ardenti:
un’atterrita speranza era ciò che restava
al mondo. Le foreste date al fuoco,
d’ora in ora cadendo incenerite sparivano;
i tronchi crepitando si schiantavano
e spegnevano e tutto era nero. I volti umani
a quella luce disperante, se la fiamma
guizzando li colpiva, avevano un aspetto
spettrale. Qualcuno prostrato si copriva
gli occhi e piangeva; altri appoggiavano
il mento sulle mani giunte e sorridevano;
altri ancora correvano su e giù alimentando
i roghi funebri e folli d’inquietudine
guardavano in alto al cielo offuscato,
funebre ammanto di un mondo defunto,
quindi imprecando si gettavano in terra
urlando e digrignando i denti. Gli uccelli
rapaci stridevano atterriti e sbattendo
le inutili ali svolazzavano al suolo; le belve
più feroci diventavano docili e spaurite;
le vipere s’attorcigliavano e strisciavano
tra turbe di genti sibilando senza mordere:
le ammazzavano per cibo. La guerra,
per un poco cessata, riprese a saziarsi:
un pasto si pagava col sangue e ognuno
si saziava ingozzandosi al buio, torvo,
in disparte. Non era rimasto più amore:
la terra era tutta un pensiero di morte,
immediata e ingloriosa; i morsi della fame
rodevano le viscere, gli uomini morivano,
ma le ossa e le carni restavano insepolte.
Magro mangiava magro, anche i cani
assalivano i padroni; tranne uno: rimasto
fedele a un cadavere tenne a bada uccelli,
bestie e uomini digiuni presi dalla fame
finché altri morti stramazzando attrassero
le scarne mascelle; lui non cercò cibo
ma con pietoso e ininterrotto lamento,
e un acuto guaito desolato, leccando
quella mano che ormai non rispondeva
con carezze, morì. Poco a poco, la folla
perì tutta di fame. Di un’immensa città
in due sopravvissero che erano nemici:
s’incontrarono accanto alle braci morenti
di un altare dove un cumulo di sacri
oggetti era ammassato per un empio uso.
Con mani scheletrite e fredde frugarono
e raccolsero ceneri fioche, con esile fiato
vi soffiarono un alito di vita destando
una fiamma beffarda e, a quel chiarore,
alzarono gli occhi per guardarsi in viso:
si videro, gettarono un grido e morirono;
l’uno morì per l’orrore visto nell’altro,
senza sapere a chi la fame aveva scritto
sulla fronte: Demonio. Il mondo era vuoto;
prima popoloso e potente, era un grumo
senza stagioni, senza erbe alberi uomini
e vita: grumo di morte, caos di dura creta.
Fiumi, laghi, l’oceano, tutti erano quieti,
e nulla si muoveva nel silenzio degli abissi.
Navi senza equipaggio marcivano in mare,
gli alberi cadevano in pezzi, affondavano
giacendo a dormire nell’abisso senza flutti.
Le onde morte, sepolte le maree, la luna,
loro signora, già spenta, nell’aria ferma
placatisi i venti, sparite le nuvole – inutili
per essa: la Tenebra era l’Universo.

Traduzione di Francesco Dalessandro
da Il sogno e altri pezzi domestici, Il Labirinto, 2008

mercoledì 18 novembre 2020

Nikos Kazantzakis

 PROLOGO


Sole, grande astro orientale, berretto d'oro della mente,

che amo portare di traverso, ho voglia di giocare,

perché gioiscano i cuori finché siamo entrambi vivi.

E' buona questa terra, ci piace, come l'uva riccia

che pende nell'aria azzurra e oscilla nel piovasco,

Dio, la beccano gli spiriti e gli uccelli del vento;

pilucchiamola anche noi, che ci rinfreschi la mente!

Tra le mie tempie che pulsano, dentro il grande tino,

pigio i grappoli turgidi, il mosto ribolle fiero,

e la mia testa ride e fuma al culmine del giorno.

E' la terra che spiega le vele, o il cervello freme

e la Necessità occhi neri intona ebbra il canto?

Sopra di me il cielo ardente, sotto, il mio ventre sfiora

come una gabbianella la schiuma fresca delle onde;

le nari colme di salsedine, i flutti sulla schiena

battono e vanno rapidi, e vado anch'io con loro.

Sole, grandissimo sole, che dall'alto contempli tutto,

vedo il berretto marino del Distruttore di fortezze;

diamogli un calcio per gioco, vediamo fin dove arriva!

Vedi, il Tempo ha i suoi cicli, e il Destino ha ruote,

e la mente dell'uomo, seduta in alto, le fa girare.

Su, diamo un calcio alla terra, facciamola ruzzolare!

Sole, occhio vivido malizioso, fulgido segugio,

stana e insegui la preda che amo, e riferiscimi

quello che vedi nel mondo, dimmi cos'hai sentito;

lo passerò nella fucina segreta segreta del mio cuore,

e piano, col riso e con il gioco, con la carezza fonda,

pietre, acqua, fuoco e terra diventeranno spirito;

l'anima dolce dalle ali di fango lascerà il corpo,

e come una fiamma serena si perderà nel sole!

(...)


Traduzione di Nicola Crocetti


da Odissea, Crocetti Editore, 2020


Questi sono i primi trenta versi del Prologo del poema di Nikos Kazantzakis. Un poema in 24 canti, di 33.333 versi, che "è la prosecuzione ideale dell'epos omerico. E' un'opera fluviale, proteiforme, poliedrica, straordinariamente complessa e visionaria, che l'autore cretese considerava il suo opus magnum, e nella quale profuse tutte le sue energie fisiche e intellettuali. E' animata da un fuoco e da una passione ideali che ricordano la Commedia dantesca...". Così lo presenta il traduttore, Nicola Crocetti, che ha dedicato sette anni della propria vita a renderlo in versi italiani, e che conclude la sua introduzione con queste parole dell'accademico di Francia Alain Decaux: "l'Odissea di Nikos Kazantzakis è un inno alla grandezza dell'uomo. Alla fragile grandezza dell'uomo".

lunedì 16 novembre 2020

Yun Dong Ju

 PROLOGO


Spero di guardare il cielo fino al giorno della mia morte

senza provare la minima vergogna,

anche per il vento che agita le foglie

ho provato tormento.

Con il cuore che celebra le stelle

so che debbo amare tutto ciò che va incontro alla morte

e devo seguire ogni strada

che mi è stata assegnata.


Anche questa notte il vento graffia le stelle.


(20 novembre 1941)


Traduzione dal coreano di Eleonora Manzi

da Vento blu, Ensemble 2020

venerdì 13 novembre 2020

Patrizia Cavalli

 

LA MORTE VORREI AFFRONTARLA AD ARMI PARI

 

La morte vorrei affrontarla ad armi pari

anche se so che infine dovrò perdere,

voglio uno scontro essendo tutta intera,

che non mi prenda di nascosto e lentamente.

 

da Vita meravigliosa, Einaudi, 2020

mercoledì 11 novembre 2020

Carlo Bordini

La notte del 10 è mancato l'amico Carlo Bordini. Questa sua poesia, dedicata al nostro amico Alessandro Ricci, ora sembra scritta per lui stesso. Perciò gliela dedico. Ciao, Carlo, da chi ti stimava e voleva bene.


AMICO


ho visitato un amico che stava morendo.
mi perdonò di essere vivo. mi sono accorto 
che me n’ero sempre vergognato. lui invece mi spiegò
che non era una colpa. non l’avevo fatto apposta, io.
mi spiegò che essere vivo non era una colpa. non facevo male
a nessuno. ma ci volle lui per spiegarmelo. a lui ho creduto.
mi spiegò che se facevo male non era con intenzione. mi perdonò.
mi consolò. sei simpatico, mi disse, anche se non stai morendo. nella
vita avrai tante cose belle, piacerai alle donne. mi fece far pace
con la vita, come si fa con una fidanzata riottosa.

Da I costruttori di vulcani, Luca Sossella Editore, 2010

lunedì 9 novembre 2020

Michele Bordoni

 GYMNOPEDIE

 

*

Ha tutta la tua voce quest’assenza

di base e fondamento,

dolore confermato in un dolore

più grande, universale.

Lo avevi immaginato più feroce,

ma non dolce, più chiuso nel suo male

ma mai figura pari alla tua vita

abbarbicata stretta alle colline;

e adesso senti che quasi ti somiglia

che quasi ti promette la dizione

di sé, quindi di tutto.

 

*

E allora il suo silenzio, la sua attesa,

il non poter più dire niente

non è esercizio di dissipazione,

non è la morte, la morte veramente.

                                                                  È qui,

è qui che si fa urgente e necessaria

la parola, quand’è la sua impotenza

a farsi indispensabile

                                        ed il gesto.

 

* 

Resistere ed avere un’eleganza

che sia preghiera e perimetro di voce,

la fioritura nell’apnea del canto.

Resistere com’è giusto

                                          rituale

del crepuscolo

com’è tutta Venezia nelle strette

se si apre una finestra, ne esce il sole

l’acqua ne ride un poco e lo sprofonda

nel fondale di pietra e non dimenticanza.

 

da Gymnopedie, Italic, 2018