venerdì 31 gennaio 2020

Torquato Tasso


GIÀ FUI CARO A GLI OCCHI TUOI

Già fui caro a gli occhi tuoi,
o mio sole;
vissi lieto del tuo amore,
del mio ardore;
or che più non m’ami,
com’esser può che mai più viver brami?

Tu pur vedi il pianto mio,
o mia gioia,
sai ch’io t’amo, ch’io t’adoro,
ch’io mi moro,
e mi sei crudele!
Questa è mercé de l’amor mio fedele?

Ma se godi del mio male,
o mio bene,
son contento di languire,
di morire,
s’io vedrò che poi
il mio morir sia caro a gli occhi tuoi.


mercoledì 29 gennaio 2020

Torquato Tasso


PORTI LA NOTTE IL SOLE

Porti la notte il sole
e la candida luna il giorno apporte,
e ’l nascer lutto, e gran piacer la morte:
porti la state il gelo
e dolci frutti il verno,
e il ciel diventi a noi l’orrido inferno,
anzi l’inferno il cielo:
rompa sue leggi la natura e ’l fato
poi che le rompe Amore,
e premio è crudeltà d’un fedel core
e pietà d’uno ingrato.



lunedì 27 gennaio 2020

Torquato Tasso


QUAL RUGIADA O QUAL PIANTO

Qual rugiada o qual pianto,
quai lacrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
e perché seminò la bianca luna
di cristalline stille un puro nembo
a l’erba fresca in grembo?
perché ne l’aria bruna
s’udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l’aure insino al giorno?
fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?



venerdì 24 gennaio 2020

Berardino Rota


 SE QUANDO VOI PIANGESTE

Se quando voi piangeste,
e con quel pianto tutto il mondo ardeste,
sì turbò l’aria intorno
subita pioggia e tempestoso vento,
e inanzi tempo ne fu tolto il giorno,
fu perché Giove a que’ begli atti intento
si stava in guisa tal, che già prigione
era per divenir; quando Giunone,
per non fargli goder gioia infinita,
con geloso disdegno
mosse tutto il suo regno;
ma non poté far sì che la bellezza
de la luce bagnata e scolorita
non n’empiesse d’amore e di dolcezza.




mercoledì 22 gennaio 2020

Berardino Rota


MENTRE DA DUO BE’ LUMI

Mentre da duo be’ lumi,
dolci del viver mio sostegni e soli,
lagrime ardenti fuor stillava Amore,
ecco Orione apparve,
irato più che mai, dal ciel versando
larghi piovosi fiumi,
e tempestoso orrore
sorse repente, e risonaro i poli
balenando e tonando;
quando voce per l’aria a noi dir parve:
– Non son quel che credete
tuoni, pioggie e baleni:
ma ben ognihor vedrete,
per pietà de’ bagnati occhi sereni,
finché il bel viso non asciuga il velo,
pianger le nubi e sospirar il cielo –.



lunedì 20 gennaio 2020

Berardino Rota


QUAL PIETÀ, QUAL DOLCEZZA

Qual pietà, qual dolcezza
fu, donna, a veder quella,
quando fiera procella
d’acerbo alto dolore
l’aria turbò del viso honesta e bella,
e poi mosse da l’una a l’altra stella,
che son d’Amor la gloria e la fortezza,
focoso insieme e cristallino humore.
Allhor fu visto Amore,
stolto quasi per doglia e per furore,
bagnar l’ale nel rio
che de’ begli occhi uscio,
e far ne l’acque il suo foco maggiore.

venerdì 17 gennaio 2020

Francesco Dalessandro

DIVERGENZE



3.

Apollo, Apollo!
Agyieu Apollo mi!
Ah! quo me tandem duxisti? ad qualem domun?

a quale cane gettasti il mio cuore colmo d’ira
        signore delle strade che mi strazi?
a quale dimora conducesti la mia pena
        vestita di stracci e d’insonnia?
quale buio futuro esploreranno le mie mani
        atterrite dal grido delle vittime?
quali grida soffriranno i miei orecchi
        soffocando l’agonia dei morti?
fu dunque così forte la mia offesa
        da lasciarmi in eterno
        segnato dal tuo sguardo?

non bastarono lutti numerosi
rovina di navi rovina di città
rovina d’uomini non bastarono    
cadaveri disfatti che procedono a tentoni
in un silenzio di morte cadaveri disfatti
non bastarono

a un amore non voluto mi piegasti in un’alba
bocca piena di polvere
nel riflesso d’un duello uno dei tanti
che divertirono gli dèi


INSIDIOSI LEBETIS CASUM UT INTELLIGAS VELIM

miserabile re senza decoro
Agamennone odiato
inutilmente odiato
amato con la forza di un destino di menzogne
fra le tue braccia Agamennone crudele
tace l’odio che esalta e si appaga
amandoti la furia

il rintocco d’un pendolo mi soffoca

ohime! lethali intus percussus sum vulnere
tace! quis clamat vulnus lethaliter vulneratus?
ohime! iterum secundo ictu sauciatus

non urlare la tua pena – cessa!

testardo Agamennone
voce della furia
dunque anche a te s’addice la mia pena?
tu nemmeno m’ascolti?
odo già i canti dei poeti –
ma diranno
di quali tempeste la tua nave sfidasse la furia
mentre tu mi sfinivi tra le braccia?
diranno l’orrore?
faranno luce sui fatti della tua vita?
(morto senza decoro assassinato
mentre faceva il bagno …)


(1973 – 1983)



Nota. Questo poemetto in tre parti uscì sul Quaderno n. 5 di “Discorso diretto” del 1983; era stato scritto nel decennio precedente e ritoccato in occasione della pubblicazione: risale dunque alla mia giovinezza, reale e poetica. 
Avendolo letto e apprezzato, un’amica e brava poetessa mi ha chiesto di recente perché non lo ripubblicassi. Ho deciso di accontentarla, facendolo qui, durante questa settimana. 

mercoledì 15 gennaio 2020

Francesco Dalessandro

DIVERGENZE


2.

Vedete mi siedo con voi davanti al bar
mi godo il ritorno
e sorseggio un bicchiere di birra
vi guardo guardarmi
a malapena riconosco i vostri volti ben rasati
no non dite «ben tornato aspettavamo
il tuo ritorno che avventure
avrai da raccontarci dopo tanto
che non ci vediamo!» e non mi domandate
«perché partisti? (e senza salutarci!)
dove sei stato? in che paesi
sconosciuti sei sbarcato? in quali case
hai dormito e fatto l’amore? le donne
erano belle? hai ballato?
hai mai pensato agli amici?
perché non hai mai scritto?
racconta! che impressioni hanno suscitato
in te genti mai viste? e di noi
cosa pensano? sanno che esistiamo?
perché taci? racconta! non vedi
con che impazienza aspettiamo di sapere
qualcosa che ci aiuti a andare avanti?»

(gente morta che ancora passeggia per il mondo)
io non sono il viaggiatore ritornato
      dai confini del mondo
                                               (occhi morti
che non vedono più in là
d’un naso arricciato dal disgusto)
non ho niente da dire
                                        io non vidi che mare
(dopotutto non fui nemmeno curioso come altri)

conobbi solo la frusta del vento
e il fresco d’una fiasca d’acqua
non feci l’amore
nessuna donna mi baciò né amò …
mi masturbai pensando alle puttane
che spiavo dalla finestra quand’ero più ragazzo
altre volte tra le pieghe dell’insonnia s’insinuò
                                      la disperata immagine di lei    
la vecchia ragazza indaffarata
         con i clienti e le riviste ammucchiate
         vicino alle tazzine da caffè –
la pioggia cadenzata contro i vetri
il guaire d’un randagio nella strada sottostante
l’orma del vento
        sui gerani sfioriti del giardino
queste ed altre ragioni mi convinsero a partire
        occhi freddi o carezze più distratte…
tutto questo mi convinse, tutto questo, e il disamore
                                               ma non vidi che mare

di cosa avrei dovuto mai informarvi?

fu in un’alba rigata di condanna
nel tripudio di bandiere al vento
        ci chiamarono ARGONAUTI
partimmo senza meta
col miraggio di facili guadagni
ma una voce sussurrò al nostro cuore
parole che non volemmo ascoltare

«nessun paese sconosciuto da esplorare
né strane e nuove genti da convertire
cerchiamo nessun’ america da inventare
niente di tutto questo
                                       VEDER CHIARO
LA RAGIONE   LA VITA!  
esiste il mondo? esiste
il tempo, la realtà? o la vita è solo   
mutevole apparenza che c’inganna?    
quale mistero   quale destino
quale dio   quale amore»

navigammo senza sosta mesi interi
         direzione ovest sud-ovest
ma non vedemmo che mare interminabile lenzuolo
cupoverde dove il tempo non passava …

NON C’E’ RAGIONE
NON C’E’ NEPPURE VITA
soltanto lo scirocco
che confonde
e lame al neon che tagliano le strade
e questo, tutto questo rumore
che ci uccide!


vi dirò tutto ma le ombre
degli amici morti
le ombre dei compagni
che non hanno fatto più ritorno
di quelli che la morte colse impreparati
e che neppure ebbero tempo di trovare
i pochi spiccioli con cui
pagare il biglietto sulla barca di Caronte
le ombre di coloro che neanche da morti sono giunti
dove Acheronte separa dolore da ignoranza
anch’esse sono qui presenti
le vedo ad una ad una sedute fianco a fianco
rimproverarmi con sguardo corrucciato
di fare dei morti una ragione di vita
quando solo per un caso fortunato
mi è permesso di narrarvi
queste cose di nessun conto

(segue)




Nota. Questo poemetto in tre parti uscì sul Quaderno n. 5 di “Discorso diretto” del 1983; era stato scritto nel decennio precedente e ritoccato in occasione della pubblicazione: risale dunque alla mia giovinezza, reale e poetica. 
Avendolo letto e apprezzato, un’amica e brava poetessa mi ha chiesto di recente perché non lo ripubblicassi. Ho deciso di accontentarla, facendolo qui, durante questa settimana. 

lunedì 13 gennaio 2020

Francesco Dalessandro

DIVERGENZE

                                 Credetemi, non esistono connessioni, non
         esistono esperienze cui potersi riferire.
                                                      Lars Gustafsson



1. 

Il mese d’ottobre ha un aspetto
pungente di baionetta
ha la voce di uno shrapnel...
lungo le strade
la tramontana s’accanisce contro i vetri
bianchi come le pagine d’un libro di storia
dove mai nessuno
ha imparato qualcosa

      il sole lo colse ancora sveglio
      col capo nella Vita di Milarepa
      avvicinandosi al finestrone della soffitta guardò
      la città soffocata dal sonno
      mentre l’alba
      si faceva luce a gomitate
      s’udiva per le strade
      l’ululato degli autobus
      che insonnoliti uscivano dai depositi
      mentre un tocco lontano d’orologio
      rompeva il batticuore
      megafono cromato del destino
      una voce premeva dal profondo
      delle primeve vibrazioni d’ignoranza e di dolore

chi sono io
che genero immagini?
      ditemi il nome che ho voluto cancellare!

(il nubifragio s’avvicina spavaldo
cavalcando un ombrello
e il sigillo del settantesimo arcangelo
brilla in quest’alba ferrigna
dal finestrone vedo i
suoi riflessi sulle campane di san Pietro
e un brivido mi scende lungo la schiena
il respiro dell’alba
appanna i vetri e si culla
tra i fili della biancheria
in una vasca di cristallo la soffitta
sale e scende in un ascensore di nebbia
con la finestra spalancata)

      l’anno se n’è andato
l’intera giovinezza è passata in fretta
forse gli anni migliori della vita

quale strada rimasta inesplorata?
quali viaggi viaggiare a primavera?

per anni l’alba ci ha sorpresi
ai facili rimpianti

la verità
l’inutile opinione che abbiamo
delle tracce
e dei sentito dire dei sospetti

maturati dal trascorrere degli anni
sedendoci all’aperto
con un foglio stropicciato di giornale sotto il braccio
conteremo con stupore i nidi nuovi
o le tracce di quelli che il vento
ha strappati, di quelli
fracassati dai colpi delle fionde


(segue)




Nota. Questo poemetto in tre parti uscì sul Quaderno n. 5 di “Discorso diretto” del 1983; era stato scritto nel decennio precedente e ritoccato in occasione della pubblicazione: risale dunque alla mia giovinezza, reale e poetica. 
Avendolo letto e apprezzato, un’amica e brava poetessa mi ha chiesto di recente perché non lo ripubblicassi. Ho deciso di accontentarla, facendolo qui, durante questa settimana. 

venerdì 10 gennaio 2020

Onofrio Lopez

IL RITORNO


Non è la mia ultima meta,
a Chapelizod c’è aria di sogni
e perturbazioni, di metamorfosi
senza volto, di nuove partenze.

FinnMacCool il gigante giace
ancora con il capo all’estremo
della baia, i piedi verso Phoenix.
Un giorno, dicono, si sveglierà

per salvare la sua gente dal tanfo
delle paludi e dai tremori di Dublino.
È presto a Mullingar House, Finnegan
serve già birra, digrediscono leggende,

il fiume è la sposa di lui fatto uomo
nel caos del tempo e il monte accetterà
il mio ritorno quando tutto e nulla
accadrà nel tormento delle parole.

Partecipo al gioco su invito dell’esule,
arrivo scherzando dagli scogli della
Torre Martello, non ho pace finché
non guardo le targhe e gli occhiali

dell’autore cieco appesi sopra il banco
del taverniere che spilla paziente
la salita delle spume ascoltando
quasi curioso la lingua strana dell’ospite.

da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia

antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

mercoledì 8 gennaio 2020

Marica Larocchi

ADAGIO SGUSCIANDO DAL VIAGGIO

1
Di soppiatto esordisce con lente
evoluzioni di sogni che scricchiolando
strizzano pensieri ancora intrisi
d’amnio, se le nubi dei pronostici
si lasciano convincere dal miraggio
fosforescente di un porto. Né sensi
né passioni fanno da scorta alle lunghe
litanie dei litorali: soltanto nastri
di molle bitume segnalano risacche
foriere di ritorni.

2
Nella rada offriamo ancora
manciate di pollini e spore
che anneghino le nostre esitazioni,
impalliditi all’idea di una rotta
per arcipelaghi ignoti e meandri
interiori. E, prossimi agli approdi,
vediamo affiorare nuove
costellazioni dai timbri del grande
portolano ma non sappiamo,
adagio sgusciando dal viaggio,
perché tanto ci turbi l’insolente
sorriso del nocchiero.

3
Poi tutto alla fine si frantuma
nella bonaccia indolente sotto il faro
di oracoli bolsi e balbuzienti.
Forse attraccare là donde
non siamo mai salpati
è l’impresa più dura quando
brulica ormai nelle secche
del sonno un anfibio rancore
che neppure scogli a fior d’acqua
hanno smussato.

da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia

antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

lunedì 6 gennaio 2020

Rita Iacomino

IL TRENO

Tutte le mattine alle sei e ventuno sento il treno partire
e mi sveglio come fossimo sincronizzati
come se stessi partendo
mi sveglio e parto
a volte sono stupita
perché parto e sono a casa mentre il treno parte
sono a letto
sono al buio
forse non posso partire in pigiama
non posso ma parto e non so perché.


da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia
antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

venerdì 3 gennaio 2020

Luigi Fontanella

VINCENT
(ovvero in viaggio verso Auvers-sur-Oise)


                                                       «Il miglior modo di apprendere la vita
                                                       è l’amore di ogni cosa, compreso l’amore».
                                                                                                    Theo a Vincent

Come chi lascia, in viaggio,
incise in un luogo amato
le proprie iniziali
sul tronco di un albero
o una semplice pietra…
Per chi se non soltanto per se stessi?

O forse per trovare un tuo gemello
dopo quel momento eterno di vita
o cancellare di colpo
il tempo ch’è trascorso
ritrovandolo inviolato e quasi indistrutto?

A capofitto nel ricordo, quando
soprappensiero
ogni cosa acquista un valore
netto, evidente. Oggi mi tornano
in mente quei sassolini
che raccolsi insieme con Emma
sulla tua tomba di Auvers.
Negli occhi i pini al tramonto,
il ponte di Langlois, i papaveri infiniti,
l’interno spoglio della tua stanzetta,
la minuscola trattoria fuori mano
tutta fiorita e vuota,
il vigneto rigoglioso,
le strepitose distese di grano.

Quanto inciso nel tuo cuore, Vincent,
fosse esaltazione o sconforto,
è scritto nelle lettere a tuo fratello
che ora ti giace accanto.
Lui voleva salvarti dalla follia,
ma tu conoscevi la felicità
soltanto per soffrirne la perdita.

da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia

antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”

mercoledì 1 gennaio 2020

Rodolfo Di Biasio

POEMETTO DELLA FINE DEL VIAGGIO

1
Alle spalle
ottanta gli anni del viaggio
infiniti anni
colmi tutti delle cose della vita
groviglio di dolorose ombre
di luci anche
Talora splendori
Sono state esse radici e vettori
ad ogni tappa
per le ripartenze

2
Anche per quest’ultima
che porta alla fine del viaggio
Essa che chiede solo
mani fraterne
Le amate voci
a ribadire
che il cammino non è stato solitario

3
Perché scenda lieve il tramonto
sia approdo



da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia

antologia di prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”