LETTERE
A UNA GIOVANE POETA
1.
La foto non
ti renderà giustizia
i formicai
umidi e gibbuti t’impediranno di puntare
la lente
sulla palude
i cinque
cigni che sorvolano stridendo
distraggono
la tua sete di definizione
e fuga
2.
lascia che
tiri la tua vestaglia gelida e che
ti dica una
parola: Ineluttabile
– intendendo
che a questo non sfuggirai:
la peggiore
delle nuove nuove
la storia
corre avanti e indietro
nel
labirinto panico
– io non
ti toccherò di nuovo:
tua la
scelta se congelare o meno
voglio
dire, tu ed io siamo chiusi
in un
laboratorio senza scienza
3.
T’allieterebbe
pensare
che la
poesia sia pura e possa come niente
prendere
posto sotto bagliori di lampi
o coltri di
nebbia vivere la propria vita
sgridata,
zittita
da un
lacerto di viscere che gronda nomi
– compositori
visitano Terezin, registi Sarajevo
Cabrini-Green
o Edenwald Houses
ineluttabile
se una
donna intensa quanto un qualunque artista, né più né meno
può
gettarsi in un qualunque giorno giù dal quattordicesimo piano
ti
solleverebbe sostenere la
poesia
con
questo non ha a che fare?
4.
rivolta gli
orli della tua distrazione
il suo
rovescio sottomarino striato
dal flusso
distruttivo del dolore
che erode e
risucchia, tira e molla
avanti e
indietro, un ordito di grotte, l’embrione della tua paura
che scalcia
nel loro viscido lussureggiare protetto
dalla
serra d’acqua
cercando,
nella distrazione, di radicarsi
saldamente
cercando
di contrastare la corrente
di questo
assurdo ripetersi
Guarda: con
tutta la mia paura io sono qui
con te, a
provare cosa comporta stare; cosa comporta andare
5.
Arenata.
Barca a remi, piroga, presa
tra la più
bassa e la più alta delle maree primaverili. Arenata. Avvenuta,
in stallo,
arretrata, sí, essere generata
essere
– l’infernale passivo
essere
– come in Siedi, Stai, Sdraiati, Obbedisci.
Il
desiderio terribile del cane che gli prende il cervello
e lo depone
ai piedi calzati di stivali.
Tu puoi
essere così per sempre – essere
come senza
muoverti.
6.
Ma ecco
come io, tuttavia, ne emergo:
spingendo
in su da sotto
il capo
avvolto in una sciarpa a scacchi
un casco
con la torcia sulla fronte
spingendo
fuori dal magma
questa
faccia velata questa testa illuminata
che
affronta il filtrare della morte
la bocca
che ha nuotato tra i detriti
pronunciando
con chiarezza
Ciao e
addio
Tuttavia,
chi vuole sapere
di questa
bocca pallida, questo
rossetto
cremisi Chi
delle mie
corde vocali da travestito del mio amaro ritmare
l’occhiata
in tralice che oltre la spalla getto
alle
grandiose strofe e antistrofe
il mio
canto, il mio ululato, i sacri resti delle mie unghie,
dei
capelli, la mia dissenteria, la mia scandalosa gola allegra
la colonia
penale del mio davanzale senza uccelli
la mia
faccia giù in centro in film di Saffo ed Artaud?
Tutti. Per poco
7.
Non è il
déjà vu che uccide
è la
preveggenza
la testa
che parla dal cratere
Volevo
andare dove
il cervello
non fosse andato ancora
non volevo
starci
così sola
(1997)
traduzione
di Stefania Portaccio
da
La guida nel labirinto,
a cura di Maria Luisa Vezzali,
Crocetti,
2011