venerdì 25 febbraio 2022

Silvia Bre

 

                                                         Bergamo

 

Pensala, inclusa nel corpo penitente

girato sotto per coprirsi con la schiena, in fuga

e tra le braccia la luce fragorosa che s’impenna

la parola eretica. Poi la segui, è un fiato.

Vuole che i suoi raggi s’impalino

e con il corpo fuso al mondo nascere domani

o non morire mai, così come beatitudine vorrebbe.

La musa del presente viene meno.

 

 

Ora monta la scia dei veggenti, hanno portato

la vampa stregata nelle ciglia l’attimo prima,

hanno saputo, e vanno, geni dell’aria estesa

alla primavera ossidrica, ai campi bestemmiati

che sbranano l’ombra, un colosso glaciale li guida

nel beta, nell’alpha, e poi l’occhio eterno.

 

 

E tu mantieni l’attimo soltanto, la gabbia chiusa, l’angelo

col fiato rotto in ogni gola, pensa nuovamente

questo guarire in trasparenza dove il cielo

sa il credo del tuo dolore e cedi alla miseria alata,

già ti devasti.

 

 

Da Le campane, Einaudi 2022

mercoledì 23 febbraio 2022

Tiziano Broggiato

 

PAROLA MANCANTE

 

 

Si rigenera nel silenzio,

nella metamorfosi delle sue regole,

l’appuntamento.

 

Perché perseguita, la parola mancante,

irrita l’incapacità di circoscriverla.

Diventa un pensiero fisso, di pena

e sgomento, non riuscire a carpirla.

 

Lei è lì, prona nel suo nascondiglio

e si fa beffe dell’appostamento.

A volte sembra di intuirne il muso,

di poterla sorprendere attirandola

all’aperto, ma al momento buono

non se ne riconosce più il fiato.

 

Andrà avanti così, come di consueto,

finché non sarà lei a decidere di

mostrarsi, preziosa e compiuta, pronta

per l’innesto.

 

Da Città alla fine del mondo, Jaca Book, 2013

lunedì 21 febbraio 2022

John Clare

 IL VECCHIO STAGNO


Il vecchio stagno coperto d’iris è accerchiato

dagli alberi e i cespugli ricoprono il terreno

le erbe acquatiche ricoprono le sponde

e uno slargo dove si abbevera il bestiame

lì un anno dopo l’altro si aggira lo studente

che lo infanga per catturare le anguille

e spesso il mandriano per sfuggire alle mosche

vi riposa e s’intreccia un cappello di giunchi

e un gufo che bubola e siede tutto il giorno

ne ascolta cupo il canto e non vola mai via

c’è un piccolo nido su un ramo così sottile

che i pulcini pigolando sembrano cadere

mentre ronza intorno a loro una libellula viola

e una grande farfalla bianca li sfiora danzando


Traduzione di Francesco Dalessandro

venerdì 18 febbraio 2022

Rossano Pestarino

 UN DIO GRANDE


Non è per giorni o anni che dobbiamo contare,

ma le cantine saranno terrazzi

alti sotto le stelle,

il volo a piombo delle scale che scendono ai parcheggi

diventerà spina dorsale dei palazzi,

le diritte strade della terra

si annoderanno in un groviglio nero, dal fondo

il mare sveglierà le sue creature,

divorerà la spiaggia tutt'intorno al mondo,


un dio grande, di cui nessuno ha mai saputo parlare,

senza clamore o tremore,

senza gloria trionfante, militante

nella vittoria del suo non esistere,

verrà, incoronerà

le vite stanche e pure

di chi avrà meritato

la sua perfetta morte:


chi non avrà creduto sarà forte,

forte per sempre, in pace.


da I pesci remo, Italic, 2019



Rossano Pestarino

 I PESCI REMO


Morivano, di calentura,

di arsura, di paura.

Schioccavano le sartie,

là nell'azzurro, alte,

i mezzogiorni placidi e feroci.

Come bandiere nere, fatte a croci,

goccianti pece.

Chi saltava, scavalcando a babordo,

nel verde brillante, fatto pescegatto,

chi si appendeva come una scimmia al trinchetto,

pendeva triste e ubriaco di sciagura,

sbalzato dalla luna

contro i fianchi di un fiordo.

Scrutavano l'oriente,

se apparisse la foce

di un fiume bianco dentro il mare. Qualcuno,

con la febbre che gli mangiava il cuore,

sapeva di una spiaggia di oro bruno

dove vanno a morire i pesci remo.

Tennero duro per mesi. La locura

di chi si ostina, forte,

il filo all'orizzonte vertigine,

ellisse vita-morte.


da I pesci remo, Italic, 2019

mercoledì 16 febbraio 2022

Rossano Pestarino

 LE NUBI ALTE DI IERI


Le nubi alte di ieri,

nefaste sui coltivi,

la cortina che stracciano nel cielo

raddolcito, stasera, i campanili...


questa meteoropatia, il senso acuto

di una lama che circonda l'orizzonte

sulla pianura verde come il mare,

la ghigliottina verde di muffa che spezza i pensieri.


La terra, il cielo: muti spettatori.


da Lingua che non so, La vita felice, 2014

lunedì 14 febbraio 2022

Silvia Bre

 

                                                                      William Turner, La nave negriera


Avevamo pensato bastasse essere vivi

alta tra le mani mulinanti l'ambizione incendiaria

pensavamo che quel nuotare vivi bastasse

a entrare nelle menti, essere visti

nero fiore dell'acqua nella notte, nello sciame di onde,

orde, eserciti di mare contro paia d'occhi pronti

a sparire, entrare a corpo morto nel nero delle menti

di bianco solo il bianco dell'occhio. Nessuno mai

riposa in pace sul fondo di menti senza pace

il vostro eterno il nostro

la perla dell'occhio svuotato dai pesci

cinque metri più sotto.


da Le campane, Einaudi, 2022

venerdì 11 febbraio 2022

Luca Benassi

 (cemento)


Poi tutto si ferma sul cemento rovente,

la lumaca immobile, le ruggini dei ferri

che bucano l'intonaco

come alla fine le ossa ai malati.

E' la luce che cola sulle pietre

nel pomeriggio calcinato

dell'ora che non passa.

Le strade deserte hanno scaglie

d'ombra rosicchiata dalla luce:

le cerca il ragazzo che schiva

l'impatto della fiamma

mentre risale l'asfalto luccicante

nella febbre incavata sotto gli occhi

come sale che brucia la ferita.


da Istruzioni per la luce, Passigli, 2021

mercoledì 9 febbraio 2022

John Clare

 LA TANA DELLA TALPA

 

Trovai una palla d’erba in mezzo al fieno

la spinsi via passando e proseguii

guardando indietro vidi un movimento

girandomi sperai di sorprendere un uccello

ma uscì una vecchia talpa e s’infilò nel grano

con tutti i piccolini attaccati ai capezzoli

mi sembrò così strana e repellente

che corsi con sorpresa per vedere com’era

quando davanti a me scansai le erbacce

la talpa in fretta abbandonò i suoi cuccioli

in terra che squittivano ma quando me ne andai

lei ritrovò il suo nido in mezzo al fieno

l’acqua sui sassi scorreva con lentezza

e le grosse pozzanghere luccicavano al sole  

 

Traduzione di Francesco Dalessandro

Stephen Crane

 

DAVANTI A ME SI STENDEVANO

 

Davanti a me si stendevano

miglia e miglia

di neve, ghiaccio, sabbia ardente.

Eppure riuscivo a guardare oltre,

verso un luogo di infinita bellezza;

e potevo vedere la grazia di colei

che camminava all’ombra degli alberi.

Quando contemplai,

tutto fu perduto

tranne questo luogo di bellezza e lei.

Quando contemplai

e, contemplando, desiderai,

ecco di nuovo

miglia e miglia

di neve, ghiaccio, sabbia ardente.

 

Traduzione di Franco Lonati

 

da Tutte le poesie, InternoPoesia, 2022

lunedì 7 febbraio 2022

Silvia Bre

 ANCHE ORA S'INCRINA UNA FESSURA


Anche ora s'incrina una fessura

tutto il cosmo che passa è

metallo fuso, un ritratto tanto uguale a qualcosa

che mi esalta, creare un gorgo e poi esserne inclusa.

Ma vale

questa pena di girare

l'ingombro di me stessa, il consumarsi

del sasso che si saluta a ogni urto dell'acqua

e da fermo congiura con la fine.

Così esclamava un'aquila là in alto

proclamava le montagne

urlava il cielo, tutto il corpo terreno che si alza.


da Le campane, Einaudi, 2022



Silvia Bre ci ha abituati a libri scarni e diradati nel tempo; libri però che incidono profondamente nella sensibilità del lettore avveduto. Contrariamente alla prassi utilizzata in questo blog, raccomando calorosamente questo suo ultimo, appena reso disponibile per chi ama la poesia. Si tratta di un'opera di grande intensità e comprensione, con tante poesie di non sorprendente maturità che si leggono "con il cuore in tumulto con cui senti / il cuore di qualcuno".

venerdì 4 febbraio 2022

Rossano Pestarino

  GLI ANGELI MICA SCRIVONO, RILEGGONO


Gli angeli mica scrivono, rileggono

quello ch'eternamente È scritto.

                                                            Noi

"in margine", nei floridi vivagni

della pagina altrui (Altrui), creando

contrappassi di pena,


se a noi l'autore mai (l'Autore che,

gira e rigira, è

la materia testarda del poièin,

del suo fare e disfare), una mattina

di Napoli angioiana,

facendo forza al legno

di una pala d'altare non bisbigli

a labbra quasi chiuse

il suo Bene scripsisti de me... e ci muri

il pozzo per sempre dei pensieri.


da Lune d'Honan, Manni, 2012

mercoledì 2 febbraio 2022

Claudio Cucchiella

 L’IMMÉRNU

 

Quanno le jàzzole sopre l’arberi s’appùjanu

e lì ssàmi remànu nne cassiétte,

se pélla ìa non ncuntri chiù niciùnu

e l’aria fredda se taglia pure a fette,

vordì che ormai l’immérnu è arriàtu

e cóme esci troi quàci tuttu jelàtu.

 

Ha rappicciàta la stufa già da mpézzu,

preché fa friddu e nónne pó fa ammìnu,

ncì scàlli l’acqua che ha còta néllu puzzu

e non rabbócca, cóme lu camminu.

 

Mitti mpó é ràcia la sera néllu prete,

entru lu scallaléttu o éntru na pignàta,

trói li lenzóli quaebbòte abbruciacchiàti,

quilu è lu prézzu pé àtte na scallàta.

 

Quanno te spógli pé méttete nnu léttu,

nna cambóretta ncì stà magàra ngradu,

stralléi lu prete, pó te strà nzìcchi sottu

e t’aggusti quélo bràu callu che ha troàtu.

 

Non ùra tantu, sólu dù o tre menùti,

jùstu pé rescallàtte zàmpe e péi;

quìli lenzóli mezzu azzirolìti,

nónse téngu lo callu, quaci mai.

 

Mamma, scìa santa, me mettéa na mbuttìta

dé lana é pecora che Eva aéa cocìta;

nonte scropì”, me icéa: “chett’è  la pormonìta”.

Quéla parola, morta mamma… nólla só chiù sentùta.

                                                        

Ècco jennàru, pare che fioccolìccia;

dalla fenestra édo la née che allìgna;

me nzìcco li scarpuni có éntru la pelliccia,

fòre li sò ngrassàti có na leccàta é assógna.

 

Cóllu cappóttu cocìtu da zì Adamu,

ch’era lu sartóre délla Torre,

escé dallu portó dé casa, pianu, pianu,

ma appena fòre, non féce atru che corre.

 

Da quatràni eràmo tanti pélla ìa,

né rutoleàmo mmézzu a quéla nèe;

ncì stéa lo friddu, ma pure l’allegria;

saccòcce òte, ma ncòccia cénto idée.

 

A scià nónne jieamo allu Gran Sassu,

ma tutti allu collìcchiu élle Scrulle,

saglieàmo finu ncìma passu, passu,

e né jetteàmo jó pé quilu colle.

 

Quann’èra l’ora é pranzu né rejieàmo

cólli péi nfùssi cropérti dé jelùni,

arriàti ncasa recòrdo né spoglieàmo

e pé antipastu ncì éanu dù sciamardùni.

 

Li titti eranu tutti cólli càngani,

paréanu li ricami élli lenzóli,

nù li roppeàmo có mpale o cólle  mani,

eppó nélli surpeàmo  sani, sani.

 

Quanno lu sòle passéa nnànti allu Latu

e nónci stéa na nùela chiù nnu célu,

lu jélu nne pescólle ormài squagliàtu

te icéa sólu  che l’immérnu era passàtu.

 

Le sàoce a Pantanélli s’hau rrempìte

dé nìi dé jàzzole e l’aria è pìna é oduri.

Li ssàmi sò resciùti, s’appùjanu nni fiori

e sò tutti conténti, preché non hau penzéri.

 

 

L’Aquila, 18 gennaio 2022

 

L’INVERNO

 

Quando le gazze si poggiano sugli alberi / e le api restano dentro le arnie, / se per strada non incontri più nessuno / e l’aria fredda puoi tagliarla a fette, / vuol dire che ormai l’inverno è arrivato / e come esci trovi tutto ghiacciato. // Hai riacceso la stufa già da tempo / perché fa freddo e non puoi farne a meno, / ci riscaldi l’acqua che hai colta dal pozzo / e non fa fumo, come fa il camino. // Metti un po’ di brace nel “prete[1]”, / dentro lo scaldaletto[2] o in una pignatta, / qualche volta trovi le lenzuola bruciacchiate, / ma è prezzo per scaldarti. // Quando ti spogli per metterti a letto, / in camera ci sarà forse appena un grado, / togli in fretta il prete e t’infili sotto alle coperte / e ti godi il bel caldo che hai trovato. // Non dura molto, solo due o tre minuti, / giusto per riscaldarti gambe e piedi. / Quelle lenzuola sono un po’ sgualcite, / quasi mai trattengono il calore. // Mamma, sia santa! mi metteva l’imbottita / di lana di pecora che aveva cucito Eva[3]: / “non scoprirti!” mi diceva: “che prendi la polmonite!” / Morta mamma, quella parola non l’ho più sentita. // Ecco gennaio, sembra che inizi a nevicare; /dalla finestra vedo la neve che si accumula; mi infilo gli scarponi con dentro la pelliccia, / e che fuori ho ingrassati passandoci grasso di maiale. // Con il cappotto cucito da zio Adamo, / che era il sarto di Torre, / uscii dal portone di casa piano, piano, / ma appena fuori cominciai a correre. // Di ragazzi eravamo tanti per la strada / ci rotolavamo in mezzo alla neve; / faceva freddo, ma c’era anche allegria; / tasche vuote, ma in testa tante idee. // A sciare non andavamo al Gran Sasso, / ma tutti al colle delle Scrulle[4]”// salivamo fino in cima passo passo / e poi ci gettavamo giù da quel colle. // Quand’era ora di pranzo tornavamo a casa / coi piedi bagnati e pieni di geloni, / Arrivati a casa mi ricordo che ci spogliavamo / e per antipasto ci davano due scapaccioni. // Dai tetti delle case pendevano stalattiti / che sembrano i ricami dei lenzuoli, / Noi le rompevamo con le pale o i bastoni / e poi ce le leccavamo sane sane. // Quando il sole passava davanti al Lato[5] / e non c’erano più nuvole in cielo / e il ghiaccio nelle pozzanghere ormai quagliato / diceva solo che l’inverno era passato. // I salici a “Pantanelli[6]” si sono riempite / di nidi gazze e l’aria è piena di profumi. / Sciami d’api sono usciti a posarsi già sui fiori, / contenti perché non hanno altri pensieri.

 

 



[1] Telaio in legno, rivestito, in parte, con lamiera, per contenere uno “scaldaletto” . Veniva utilizzato per disumidire il letto prima di coricarsi.

[2] Recipiente in rame con manico e coperchio bucato, dentro il quale si metteva la brace.

[3] Una signora di Torre che era brava a confezionale le imbottite.

[4] Era una collinetta situata vicino a Torre

[5] Montagna vicino a Torre

[6] Una stradina  esterna di Torre