venerdì 30 giugno 2023

George Gordon Byron

 ALLA CONTESSA DI BLESSINGTON

 

Mi hai chiesto pochi versi: che un poeta

li neghi sembra strano; solo il cuore

era la mia Ippocrène e i sentimenti

alla fonte si sono inariditi.

                                     

Oggi, fossi qual ero, canterei

quel che ha dipinto Lawrence così bene,

ma sulle labbra morirebbe il canto,

troppo tenue il motivo per il liuto.

 

Cenere c’è dove era fuoco un tempo,

e la poesia s’è spenta nel mio petto;

posso solo ammirare quel che amavo

e grigio è il cuore come le mie tempie.

 

Non la datano gli anni la mia vita,

ma ci sono momenti che da aratri

agiscono, nell’anima tracciando

solchi profondi come sulla fronte.

 

Lascia che aspiri gioventù e talento

a cantare quel che ora invano ammiro:

il dolore ha spezzato alla mia lira

l’unica corda degna di quel canto.


Traduzione di Francesco Dalessandro

da Il sogno e altri pezzi domestici, Il Labirinto, 2008

 

mercoledì 28 giugno 2023

Ciro di Pers

 A BELLA DONNA CHE ADDIMANDA RIME


   Quei ch'un tempo versai pianti sonori,

quei ch'in rime accoppiai caldi sospiri

mentre a un fonte di luce in duo bei giri

bevei col guardo gli amorosi ardori,

   donna gentil, ch'i foschi manti indori

co' rai sì chiari, a che d'udir desiri?

Vaga sei forse degli altrui martiti

che vuoi mirar ritratti i mei dolori?

   Se quest'è ver, con puro affetto umile

t'offro lacero il core, in lui rimira

ciò ch'a pena accennar seppe il mio stile.

   Ma, se pur carmi vuoi, tu me l'ispira,

Musa d'amor, ch'il ciglio tuo gentile

si farà novo plettro a la mia lira.


da Poesie, Einaudi, 1978

lunedì 26 giugno 2023

Tommaso Campanella

 DELLE RADICI DE' GRAN MALI DEL MONDO


   Io nacqui a debellar tre mali estremi:

tirannide, sofismi, ipocrisia;

ond'or m'accorgo con quanta armonia

Possanza, Senno, Amor m'insegnò Temi.

   Questi principi son veri e sopremi

della scoverta gran filosofia,

rimedio contra la trina bugia,

sotto cui tu piangendo, o mondo, fremi.

   Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno,

ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno,

tutti a que' tre gran mali sottostanno,

   che nel cieco amor proprio, figlio degno

d'ignoranza, radice e fomento hanno.

Dunque a diveller l'ignoranza io vegno.


da Poesie, a cura di Giovanni Gentile, Sansoni, Firenze, 1939

venerdì 23 giugno 2023

Eloy Sánchez Rosillo

SERA DI GIUGNO       

 

Ora viviamo insieme la bellezza

della sera di giugno,

le ore fulgenti in cui ci abbandoniamo

a conoscere il vero dell’amore

e alla grande fiammata dell’incontro.

E adesso sappiamo che la gioia

entra tutta nel piccolo

mondo di questa stanza, nell’ardente

e misterioso spazio

del letto disfatto.

La luce stanca all’imbrunire traccia

sul tempo isole d’oro. Nella stanza,

in un angolo brilla il rampicante

della musica. Un vento

improvviso riscuote i nostri corpi.

Dimentichiamo tutto.

Tornano i lenti sguardi,

grande complicità, certi sorrisi.

Poi in silenzio ammiriamo

come sulla città che ci circonda

indifferente cali la notte, dolcemente.


Traduzione di Francesco Dalessandro

da Chiave del sogno, Contatti, Genova 2019


mercoledì 21 giugno 2023

Rosita Copioli

MARZO, MESE


Marzo, mese che dovresti essere mio, io

nata in ritardo, dammi

qualche altra occasione.

Ho scadenze. Ma ti prego. Creami

uno spazio per te. Per noi. Creami te e me,

un giorno che tu voglia.

Così rinascerò in te,

senza che mia madre mi sottragga

nel suo fiero aprile.


da I fanciulli dietro alle porte, Vallecchi, 2022

venerdì 16 giugno 2023

José María Alvarez

 

FRA QUELLE SPOGLIE E ROVINE

 

                                   I hear a knocking

                        At the south entry

 

La bellezza dell’alcol la sua luce d’intelligenza

manifesta davanti ai tuoi occhi

il suo prodigio

Già sazio di donne

di politica d’intellettuali

                                                                         Una

camera d’albergo Ti piace

vivere negli alberghi (Un altro giorno

se n’è andato – il colloquio all’Università la firma

dei libri poi le stesse stupidaggini di sempre la gente

che vuole conoscerti la cena interminabile)

 

                                                                                   Ma ora

finalmente sei solo

Bevi tranquillo. Ti sei portato

“The conduct of war”

                                                            di Fuller. Libro

splendido Ma la vodka ti offre

altri paesaggi: Ti vedi bambino in una stanza

d’albergo – scrivi

(una lettera? No, no certo, però) distingui

con chiarezza una data: 1950. Ora sono rovine

scalcinate cucite di pallottole. Un bar, stai

bevendo con Onetti, ti parla di Carmen

Amaya. La

terrazza del Pincio una sera di settembre

con Roma vaniente nel crepuscolo. Una

notte ad Atlanta, molto ubriaco leggendo

Malaparte

 

                                                       Da quando

il denaro è nelle mani di chi

ce l’ha, bene, credo

che non ci sia niente da fare

                                                                                       … Sì, forse

– t’avrebbe detto Welles – questo, fumare, leggere un buon libro

                                                    / poi chiamare che mandino

 

una donna. Non tarderà molto quel momento

in cui dovrà occultarsi ogni traccia

di lucidità cultura buon gusto

                                                                                               Lawrence

lo sapeva già

no?

Prima dell’Arabia. Lo

seppe sempre.

 

Adesso sei in campagna Una mattina

di sole fermo. In un’ombra del giardino affondato in un’amaca

ti godi le Memorie di Cellini Tuo

nonno ti chiama sali

con lui su una terrazza percorre col dito

i coltivi tutto questo

che vedi è tuo, dice Sarà

tuo E ora è Parigi la rue

Max Dormoy (attualmente frequenti altri quartieri)

ventisette anni fa. Senti un freddo

spaventoso. Riempi una valigia

col doppio fondo

con materiale di propaganda

che deve passare la frontiera

                                                          Pressing lidless eyes and waiting

for a knock upon the door  Il vecchio Eliot

Un altro dei pochi che videro il

disastro

 

Benché supponga che è a Barcellona

dove a un tratto. Pioveva molto. Il treno

cominciò a muoversi. La pioggia sui vetri (come

una pellicola) Accendesti

una sigaretta, e guardando di nuovo era una strana

fosforescenza nella pioggia

quel che restava. Poi tutto fu per sempre

 

diverso.

 

 

Metti i piedi sopra una tavola, reclina

la testa. Bere,

pensare. Come in aereo. Non c’è posto

migliore

per pensare.

Così, Fabio, scoperta la sua essenza

m’insegna la verità, e la mia volontà

con essa si concilia e s’accorda

 

O quell’inizio Squire Trelawney, Dr. Livesey O

Quando a un tratto a mezzanotte udivi

O In un luogo della Mancha o Negli ultimi

decenni, l’interesse per i digiunanti

 

Borges e Welles sono i due uomini

che hai rispettato di più. E

già mezzo annebbiato rifletti: Non

si può mischiare con

niente la scrittura. Non è una moglie

paziente. È un’amante

gelosa, possessiva. Se smetti di guardarla

t’abbandona

 

Ora t’appare Rita Hayworth

in Gilda Che

donna, Dio mio

Pensi a una serie di poesie

su Rimbaud

Ciò che interessa veramente Quando già

smette di scrivere

                                                 Sì, questo o terminare

una volta per tutte

il libro delle passeggiate per Venezia

 

 

L’alba e il bere

ti regalano una luminosità

eccezionale. Come a Ottavio de Malivert

niente più può impressionarti

né le disgrazie della virtù

né la prosperità del crimine

 

                                                                              Pensa

al mare. Torna presto, le spiagge solitarie

dell’Inverno, il loro odore. Il sole.

 

                                                        Ciò che ora questi sciocchi

chiamano Cultura

Dovrebbero bruciare

 

Come il grande Wilde diceva

in The importance of being Earnest

più della metà della nostra moderna Illustrazione dipende

da ciò che non dovrebbe esser letto

                                                                                   La debole luce

dell’alba immerge

 

i vasi e il tuo viso in una specie di

morte.

            L’ultimo

sorso, va per te

                                                             Gli dèi della notte

– ti dici – quelli che concedono

donne e letture

siano con me.

 

Più tardi vai in bagno, orini

abbondantemente, ti

guardi passando nello specchio, prendi

il Fuller, e ti metti a letto.


Traduzione di Francesco Dalessandro

da El escudo de Aquiles, Los poetas del Dragon, 1987



mercoledì 14 giugno 2023

George Gordon Byron

TENEBRA

 

 

Ho fatto un sogno non soltanto sogno.

Il sole splendente s’era spento e le stelle

vagavano al buio nello spazio eterno

senza raggio né direzione; la terra gelata

girava cieca abbuiandosi nell’aria illune;

venne mattino, passò, tornò senza recare

giorno, e gli uomini, presi dal terrore

di tanta desolazione, dimenticarono

le loro passioni, i cuori agghiacciarono

pregando in se stessi per avere luce.

Si viveva tutti intorno ai bivacchi:

troni e palazzi di re coronati, capanne

e abitazioni d’ogni genere vennero bruciate

per fare luce, intere città consumate;

gli uomini si stringevano attorno ai roghi

delle case per guardarsi ancora in faccia.

Felici coloro che dimoravano nell’occhio

dei vulcani e dei loro picchi ardenti:

un’atterrita speranza era ciò che restava

al mondo. Le foreste date al fuoco,

d’ora in ora cadendo incenerite sparivano; 

i tronchi crepitando si schiantavano

e spegnevano e tutto era nero. I volti umani

a quella luce disperante, se la fiamma

guizzando li colpiva, avevano un aspetto

spettrale. Qualcuno prostrato si copriva

gli occhi e piangeva; altri appoggiavano

il mento sulle mani giunte e sorridevano;

altri ancora correvano su e giù alimentando

i roghi funebri e folli d’inquietudine

guardavano in alto al cielo offuscato,

funebre ammanto di un mondo defunto,

quindi imprecando si gettavano in terra

urlando e digrignando i denti. Gli uccelli

rapaci stridevano atterriti e sbattendo

le inutili ali svolazzavano al suolo; le belve

più feroci diventavano docili e spaurite;

le vipere s’attorcigliavano e strisciavano

tra turbe di genti sibilando senza mordere:

le ammazzavano per cibo. La guerra,

per un poco cessata, riprese a saziarsi:

un pasto si pagava col sangue e ognuno

si saziava ingozzandosi al buio, torvo,

in disparte. Non era rimasto più amore: 

la terra era tutta un pensiero di morte,

immediata e ingloriosa; i morsi della fame

rodevano le viscere, gli uomini morivano,

ma le ossa e le carni restavano insepolte.

Magro mangiava magro, anche i cani

assalivano i padroni; tranne uno: rimasto

fedele a un cadavere tenne a bada uccelli,

bestie e uomini digiuni presi dalla fame

finché altri morti stramazzando attrassero

le scarne mascelle; lui non cercò cibo

ma con pietoso e ininterrotto lamento,

e un acuto guaito desolato, leccando

quella mano che ormai non rispondeva

con carezze, morì. Poco a poco, la folla

perì tutta di fame. Di un’immensa città

in due sopravvissero che erano nemici:

s’incontrarono accanto alle braci morenti

di un altare dove un cumulo di sacri

oggetti era ammassato per un empio uso.

Con mani scheletrite e fredde frugarono

e raccolsero ceneri fioche, con esile fiato

vi soffiarono un alito di vita destando

una fiamma beffarda e, a quel chiarore,

alzarono gli occhi per guardarsi in viso:

si videro, gettarono un grido e morirono;

l’uno morì per l’orrore visto nell’altro,

senza sapere a chi la fame aveva scritto

sulla fronte: Demonio. Il mondo era vuoto;

prima popoloso e potente, era un grumo

senza stagioni, senza erbe alberi uomini

e vita: grumo di morte, caos di dura creta.

Fiumi, laghi, l’oceano, tutti erano quieti,

e nulla si muoveva nel silenzio degli abissi.

Navi senza equipaggio marcivano in mare, 

gli alberi cadevano in pezzi, affondavano

giacendo a dormire nell’abisso senza flutti.

Le onde morte, sepolte le maree, la luna,

loro signora, già spenta, nell’aria ferma

placatisi i venti, sparite le nuvole – inutili

per essa: la Tenebra era l’Universo.

 

Traduzione di Francesco Dalessandro

da Il sogno e altri pezzi domestici, Il Labirinto 2008

lunedì 12 giugno 2023

Eloy Sánchez Rosillo

 UN GRAN SILENZIO


C'è un gran silenzio dopo la poesia,

non di una fine, di ciò che è compiuto,

anzi un silenzio vivo, come di bosco o tempio.


Traduzione di Francesco Dalessandro

da Quién lo diría, Tusquets Editores, 2015

venerdì 9 giugno 2023

Eloy Sánchez Rosillo

 ANCORA LA POESIA      

 

Era da tempo ormai che la mia mano

non scriveva più versi e mi dicevo

spesso:

              “Può darsi che non torni più 

a scriverne; magari la poesia

non vuole appartenerti o accompagnarti, 

né donarti il fervore che rendeva 

bella la vita; a volte è immeritato

ardere in questo fuoco, pronunciare 

le parole che i cieli concedono a chi è degno 

di celebrare le cose del mondo 

e averne sulle labbra il sentimento”. 

                    Spesso m’accompagnava 

questo pensiero nell’inquieto andare 

solo come un proscritto nella notte

che non regge più il peso della colpa 

né il dolore d’esser stato scagliato 

nell’ombra da un mandato 

severo ed implacabile.

 

E guardando quegli alberi che crescono

in una vecchia piazza della città in cui vivo,

il volo di un uccello ed i fulgori

misteriosi di un corpo che s’abbandona sento 

che la parola non ha più il potere

di riversare sulla carta bianca

la grazia ed il tremore della vita.

 

Pure infine stasera, d’improvviso,

mentre il sole già stanco se ne andava

e non immaginavo d’esser chiamato ancora,

ho sentito una voce che diceva:

 

“Prendi la penna, scrivi”.


Traduzione di Francesco Dalessandro

mercoledì 7 giugno 2023

Rosita Copioli

 LE PORTE ALLE PAROLE


Non si finisce mai di scoprire.

L'assassinio non è un'arte

che abbia bisogno di sangue

coltelli pistole spinte nei baratri.

Si esercita lievemente chiudendo

le porte alle parole.

Il silenzio del padre

la crocifissione del figlio.


da I fanciulli dietro alle porte, Vallecchi, 2022

venerdì 2 giugno 2023

Eloy Sánchez Rosillo,

 

DA CÉSAR FRANCK A AUGUSTA HOLMÈS  

(Quintetto per piano in Fa minore)

 

1

(Molto moderato quasi lento – Allegro)

 

Quando più non speravo che qualcosa turbasse

la quiete ordinata che scelsi per la vita,

tu apparisti, e d’un tratto tutta la pace che poco per volta

pazientemente avevo conquistata se ne fuggì da me:

una vivida fiamma mi abita adesso l’anima.

 

Tu forse non comprendi cosa vuol dire questo per un uomo

che è stato sempre, come me, davvero molto solo

a dispetto di pochi amici, della loro fedele compagnia,

e della lunga gioia coniugale che mi ha dato mia moglie.

 

È come se d’un tratto nella desolazione

di un albero ancorato nell’inverno cantasse

un usignolo e i rami nudi sotto l’influsso della musica

la grazia ricordassero del verde.

 

 

2

(Lento, con molto sentimento)

 

La vita per me è stata un cammino assai duro

di fallimenti ai quali non piegai mai lo spirito,

perché ho sempre saputo che l’artista che lavora

con onestà al servizio del Signore e dell’opera

rare volte riceve l’attenzione della gente

del suo tempo; attenzione stimolante,

ma in fin dei conti all’arte innecessaria.

 

Sotto queste alte volte della chiesa è trascorsa

la parte più feconda e bella dei miei giorni:

cera ed incenso con i loro odori, nelle cerimonie

sacre, i brusii devoti dei fedeli in preghiera,

sempre mi accompagnarono, mentre io cercavo,

seduto qui nel coro, alla tastiera docile

di quest’organo amico, d’esprimere nel modo

migliore l’inquietudine che mi serrava il petto.

 

Sono stato felice, in certo modo, perché accettai

con umiltà il fluire quasi anonimo

del destino, sebbene a volte scoramento e noia

mi venissero accanto.

 

3

(Allegro non troppo, ma con fuoco)

 

                                           Ma oggi so che la gioia

fu solo l’ignoranza del tuo arrivo in un giorno

qualunque, che è bastata la tua sola presenza

a distruggere la pace ottenuta con sforzo.

 

Come negarmi alla dolcezza con la quale mi guardi,

al riso così libero, al fulgore che t’avvolge,

alla luce che brilla sul tuo labbro quando mi chiami.

 

Io non so, non lo so, ma benedico questa follia

che mi scuote lo spirito e mi riempie di sole se ti vedo.

Ringrazio Dio per averti creata, per averti concesso

di venire ad un tratto a cambiarmi la vita;

perché ormai io non sono più lo stesso, benché agli occhi

di tutti sia quello di sempre e nessuno, nessuno sappia

che penso solo a te, che ti amo e che per te è la mia musica.


Traduzione di Francesco Dalessandro