venerdì 29 maggio 2020

Jude Stéfan


CARITÀ SUPREMA


Salvatemi dalla noia rinchiusa proteggetemi
dalla pesante lussuria dai denti
neri riparatemi dal gelo del mondo
liberatemi dall’odio degli odiosi
dissolvete nella vostra gioia ogni incubo
l’infanzia l’infetto il senile
scartatemi infine l’effigie della tomba
vera o tenere donne favorite
l’impossibile!

Traduzione di Perla Cacciaguerra

da Poesie, Guanda, 1979

mercoledì 27 maggio 2020

Rita Iacomino


(SENZA TITOLO)

(Cara pittura che non mi conosci
                              -Sebbene t’abbia preparato questa strada
questa soglia imbandita, quest’imene festosa.
Cara,
che non mi hai voluto
                             -chi poi fosse più schiva chi più dura non so.
     Bella, senza mai recedere).

da Cronache dalla sparizione del mondo,  poemetto inedito

lunedì 25 maggio 2020

Vittorio Tamaro


STANZA DEI RIFLESSI

Su raso giallo indorato da un raggio
di calda luce che obliquo si attarda
di foglie e rami riflessi oscillanti
nell’ora tarda del giorno di maggio.

Di qual reale s’incanta lo sguardo
che indugia lento e beato s’imbeve
degli ori estinti, dei verdi più assenti
presenti-allusi in specchi di venti?

Nell’onda delle fronde, degli steli,
negli orli stilizzati la parola
che poco dice e molto in sé traspare?
Poetare in sé che tutto fa leggero
come la mente prima che ornamenti
esala e in sé si libra in vuoti e in pieni.


da Il libro della celeste desistenza, inedito



Cari lettori, causa un trasloco che si protrae, sono privo di tutti i miei libri, i quali sono inscatolati e chiusi in un deposito, chissà dove. La loro assenza non mi consente di variare troppo la programmazione di questo blog. Me ne scuso.


venerdì 22 maggio 2020

Luigi Picchi


CLORINDA A TANCREDI

Come posso amare uno
che, amandomi, disonora
il proprio vessillo?

Nessun amore tra nemici;
intesa sì, ma cavalleresca.

Siamo soldati e l’amore
è roba da poeti.

Così, come una novizia,
recido i miei biondi capelli.

(inedita)



mercoledì 20 maggio 2020

Luigi Picchi


ULTIME PAROLE TASSO A SANT’ONOFRIO IN ROMA

Oh Mondo, oh Vita, oh Cosmo tutto,
or ora indagato dall’ostinato Galileo
che metodico vi scruta con audace
specillo, da voi mi congedo, stanco
e deluso, come pure voi di me delusi
(o forse indifferenti). Ho scritto
così tanto da circumnavigare il globo
intero. Ma a che? Chi mi leggerà?
Chi mi ricorderà? Amici porteranno
nella tomba la memoria di me, del mio
canto convulso. Mi faranno corteo
i miei infelici eroi, più di me sconfitti
e afflitti? Erminia, Clorinda, Armida,
materne e sororali al mio capezzale?
Tancredi, Rinaldo o il gran Goffredo
veglieranno forse la mia agonia?
Non loro, ma San Benedetto, Michele
Arcangelo e la Vergine m’assistano
nell’estremo passo! Con loro voglio
cominciar il celeste conversar, non
con terreni simulacri! Anime beate,
venitemi voi incontro, non i miei
fantasmi! Troppo delirai! Or voglio
ricompormi in pace e quietarmi
per il nuovo regno dove umano alloro
non conta, ma di luce un manto
e fiori di virtù. Lascio qui la bisaccia
dei miei vani, erranti pensieri. Nudo
entrerò. Solo raccomando a qualche
devoto alunno dei miei versi il secondo
poema eroico, quello tutto marziale
che Eros infine umiliò: La Gerusalemme
Conquistata. Dimenticate la Liberata,
il fatuo Aminta, i queruli madrigali,
le torbide tragedie, i mondani Dialoghi.
Resti infine il nuovo De rerum Natura,
della biblica creazione l’epica cronaca.       

(inedita)                     

lunedì 18 maggio 2020

Vittorio Tamaro


PAESAGGIO INVERNALE

La voce imprigionata nella pietra
risuona se la pietra un vento sfiora.
Parola di nessuno udita appena
che a volgere un ascolto invita invano
là dove ancora nulla viene e appare.

Il cuore minerale del poema
estingue i gesti usati e li ritira
in stanze inabitate dove l’aria
sfoglia il sidereo limpido invernale
nell’agio delle pagine innevate.


da Il libro della celeste desistenza, inedito

venerdì 15 maggio 2020

Gino Scartaghiande

ALLE NOZZE DI MUZIO ED ELISABETTA


Tutto ciò contiene la virtù,
non un vuoto, ma un pieno.
Come rifatte sono le cose
che non puoi più vedere
se non in una loro leggerissima
trasmutazione. Abbandonarle
non potevi, non dovevi.
Ingoiarle, come bocconi
ardenti, trasmutarle
rendendone la sostanza vera,
come tutto quello che è tuo.
Oh siamo dunque noi
simili manipolatori,
da riempire tutto il vuoto
del mondo con la nostra sola
forza di umiltà. Così intensamente
guardiamo, come quei poveri raggi
del sole, spinti al travaglio
di ogni giorno. Non è questa
una chimica della realtà,
che ogni piccolo sforzo compie?
Ecco arrivano i cavalli di nozze
attorno di un interno bordo
di un porto di Traiano. E le musiche
dolci di Ciaikovsky, come fuochi
d’artificio, salgono nell’aria.
Tutto hanno portato dentro
che sembrava l’occhio spento
di un lago. Intorno intorno
è la magnificenza dei pini.
Sull’alto cristallo del cielo
le corde vere dei nostri cuori,
ora così messe a festa,
nell’intensità di un loro suono.
Persone che camminano,
quasi da sembrare Idee.

(inedito da Cavallucci marini)



mercoledì 13 maggio 2020

Rita Iacomino


(SENZA TITOLO)


Questo è il lungo poema che nessuno scrisse
che volle nascere da solo nel tiepido letto di belle stagioni finite.
Nacque nella mente,
in una o più menti aperte nei dormiveglia domenicali
un poema di nuvole, assonnato
un poema per sonnambuli
adottato da tutti ché tutti avrebbero voluto scrivere
                                                  e che nessuno scrisse.

Fu il tragico di un giorno di riposo che ci portò improvvisa alla coscienza
l’esistenza di parole inutili che non volevano essere scritte.
Sfidando l’abulico vuoto in cui galleggiava il testo
tra il sonno e la veglia le cogliemmo: parole anche garbate, silenziose
meste
            -e noi volevamo farne rumore.

Questo è il lungo poema che nessuno scrisse
poiché risvegliati dal sonno ancora a lungo dormimmo.
E come pietra fu il nostro sogno una dura sostanza
atta a costruire un mondo in apparenza vero ma che no, vero non fu mai.

Questo lungo poema che nessuno scrisse somiglia già da ora
ad una donna bellissima che tutti hanno amato e nessuno ha mai veramente voluto.
Il lungo poema è una donna rimasta sola
che per non perdere la faccia sorride misteriosa.


da Cronache dalla sparizione del mondo, poemetto inedito 



lunedì 11 maggio 2020

Francesco Dalessandro


NOTTE DI FINE INVERNO SU PIAZZA VITTORIO
(maniera cinese)

                                               ad Angelo de Florio


                      1.

Nella piazza deserta non incontri
nessuno, non odi voci umane.
Deboli raggi sui rami, sulle foglie
rinvigorite si attardano. Sei solo.
Nemmeno più l’ombra ti accompagna.

2.

Come la luna nel cielo azzurro
sono solo, nella mia stanza.
Spengo ogni luce e mi rattristo,
perché non sono che un poeta
ma tu non vuoi più sentire parole.

3.

Anche la piazza sembra stanca
di parole e ora appena un brusio
sale col vento che sussurra alla notte.
Come celebrare la bellezza
del suo viso senza dirle parole?

4.

Ecco, osservo la notte stellata.
Se fosse uno specchio, la luna,
potrei contemplarvi il tuo volto.
Ma lei non è che la luna
e guarda indifferente la piazza deserta.

venerdì 8 maggio 2020

Jude Stéfan

INNOCENZA

Uno spento pomeriggio di domenica
non sapevamo cosa fare
nudi ci siamo stesi io per baciare
devotamente il suo seno lei per gustarmi
abbiamo letto le nostre rime a persiane chiuse
solo una finestra oblunga dava
sui verdi giardini non potendo gran che
tra gli specchi e il cielo.

Traduzione di Perla Cacciaguerra

da Poesie, Guanda, 1979

mercoledì 6 maggio 2020

Alessandro Ricci


UNA STORIA COME LE ALTRE

                                                                       a Marco Fabiano



E quando a Lucrezio venne la sonnolenza
che gli era stata annunciata e gli si
rivelò l’aumento euforico
delle erbe e dei fiori resi
scarlatti dal buio,
segnale esuberante d’un’estate estuosa
e magnifica in un
giardino selvaggio fra le città,
in quella sera, forse notte
di gialle
luna e ginestre su lontane
pendici, l’ocra del suo dolore
anch’esso divenne giallo, più giallo
della giallità del croco e del sole
quand’è potente e leggero, ed egli sentì
come un’onda di flauto i sospiri di ignoti,
giovani amanti poco distante, distratti ronzii
d’api ritardatarie, alcune terse
memorie degli sguardi che pure un tempo
l’avevano dimenticato, altre immagini
miracolosamente ridotte a una, ma
non ebbe a dolersene, e a quelli
concesse un bizzarro perdono senza ritorni,
a questa il dono e l’esattezza del volto
in uno specchio purissimo, e                                                                                                     
sorrise di tutto,
degli insulti della plebaglia e dei dotti,
dell’indecenza e della furbizia, dell’esito
inutile dei versi, dei tentativi vani
di rapire un’anima e fonderla
con la sua, dell’ira chi sa se volontaria
della madre, dell’avvilimento e del fuoco,
sentimenti e fatiche: granelli
della clessidra, parole non oltre
la punta dello stilo; così il frullo
d’ali d’un uccello privo di nome tra le fronde
gli parve il suo stesso volo e non ridisse
un solo difetto del mondo, perché sentì
l’assenza totale del desiderio e della pena,
sofferta a correggere il tempo e l’aspetto
d’ogni cosa che ci contatta: l’invenzione
della gentilezza e del tocco,
delle calamite perfette,
è impossibile.

E forse, mentre s’accorse di non
aver mai pensato così poco e così bene
– o così poco e basta –, Lucrezio,
innamorato finalmente delle sue forze
che se ne andavano, del nulla
in cui si sarebbe disperso…

da Tutte le poesie, Europa Edizioni, 2019



lunedì 4 maggio 2020

Luigi Picchi

LA PROFEZIA DI LUCREZIO

So quello che direte di me: la follia, 
l’intermittente lucidità della scrittura, il filtro
assassino, il demone della conoscenza,
il coraggio della Ragione, l’audacia del canto,
ma ben altra è la mia storia: non fu suicidio
la mia morte, ma vertigine, un precipitare
dalla rupe della Visione, un collassare
del pensiero dietro ad una Verità
sfuggita e terrificante. Fu in un lampo
la percezione dell’Inferno, l’eterna caduta,
la dannazione che dall’Angelo passa
all’Uomo.

Sì, vidi l’orrore che s’apre sotto le cose,
la voragine del male, l’orgia dei demoni,
il ghigno di Tifone, l’isteria delle Erinni.
All’improvviso tutto fu chiaro: la cacciata
dall’Eden, la colpa originale, la separazione
dal Dio, la ribellione sacrilega, l’empietà, 
lo sfregio all’anima, la perdita della grazia. 

Vidi l’anima non dissolversi nel nulla,
non disgregarsi in polline d’atomi, ma durare 
oltre la morte come viva e ancora materiata
e rattrappirsi in se stessa, raggrinzirsi,
accartocciarsi in una dolorosa, disperata
e rabbiosa vergogna.

Vidi l’assurdità del clinamen, il vuoto
morale del Vuoto cosmico, un vuoto glaciale,
l’assurda danza degli atomi, il loro brulicare,
fermento di cagnotti e blatte. Vidi le anime
graffiarsi eterne, immerse nella morte,
una morte più atroce perché continua, 
reiterata. Vidi il sangue, il ghiaccio, 
il fango, lo sterco e le torture
delle anime.

Fu un eros mentale e spirituale a precipitarmi, 
l’eros dell’anima che s’incendia per l’Idea
e arde e s’estingue in un Fuoco più fuoco
del pensiero e del canto. Una Venere celeste, 
minervina trafisse di lancia la Venere terrestre
sull’altare della Verità. Precipitai nell’Ade
come roccia in frantumi e nella caduta ebbi
la Visione infernale.

Poi nel Limbo ritrovai
la quiete, mi riposai in una straziante
dolcissima malinconia e per decenni aspettai
Uno che doveva passare a liberarmi.
E l’Atteso arrivò lieve e luminoso, striato
di sangue lucente e il suo sguardo cancellò
ogni angoscia, fece leggera e pura l’anima
(una linfa purificatrice scorreva in me
fondendo cuore e pensiero, voce, battito,
respiro, canto). Mise ali all’anima e profeta
tra i profeti ascesi in un vortice di luce
e melodie prendendo posto nel coro
dei beati, come api ronzanti ebbre
nell’amato alveare.

Ora dite pure che sono stato il profeta
della Scienza, la Ragione liberatrice, 
l’angoscia esistenziale, precorrendo Leopardi
e Schopenhauer e nella pazzia Nietzsche
Van Gogh, Hölderlin e Campana. Non importa: 
le teorie dei professori non mi toccano né più
l’elogio d’altri poeti. Qui c’è luce infinita
e non l’inutile, freddo, morto vorticare
d’atomi destinati al nulla, qui non serve
la parola, qui c’è la Parola, qui non servono
il verso, il ragionamento, lo sforzo
della volontà che all’istinto s’oppone,
passione contro passione, qui c’è una pace
che è fermento, un silenzio che è musica
ed è finito il cercare, il perdere, la paura.

da Antiqua lux, Moretti & Vitali, 2018

venerdì 1 maggio 2020

Wallace Stevens


UNA SERA QUALUNQUE A NEW HAVEN



XXVIII

Se fosse vero che la realtà esiste
Nella mente: il piatto di latta, la forma di pane,
Il coltello affilato, un goccio d’acqua e

La misericordia, ne consegue
Che il reale e l’irreale sono due in uno: New Haven
Prima e dopo che ci s’arrivi o, diciamo,

Bergamo in cartolina, Roma di sera,
La Svezia illustrata, Salisburgo con occhi ombrati
O Parigi in conversazione al caffè.

Questa poesia incessante nel suo farsi
Mostra la teoria della poesia,
Come la vita della poesia. Un maestro

Più severo, più esigente improvviserebbe
Prove più sottili, più cogenti per dire che la teoria
Della poesia è la teoria della vita,

Così com’è, nelle intricate evasioni del come,
Nelle cose viste e non viste, create dal nulla,
I cieli, gli inferni, i mondi, le terre bramate.



da Aurore d’autunno, Adelphi 2014