venerdì 29 novembre 2019

Alessandro Ricci

SI COSTRUISCONO ZATTERE


Si costruiscono zattere anche
per non salvarsi, per non
raggiungere approdi ma
perderli, e lo si fa
intenti, odiandosi quasi
serenamente, sapendo che
Penelope non aspetta
al di là del mare,
e nient'altro
che mare
c'è.


da Tutte le poesie, Europa Edizioni, 2019

mercoledì 27 novembre 2019

Maria Grazia Bragalone

PENELOPE

C'è sempre una Penelope che disfa una tela
e prende tempo, e perde tempo,
ogni notte, per non finirla mai,
per dire mai: è finita.
L'attesa sa che fa vivere lui nel suo viaggio,
lo sa e il suo sentire, Penelope bella e assediata,
lui stanco per l'avventuroso viaggio
spasima le braccia calde e sicure.

da Io come Penelope, Europa Edizioni, 2019

lunedì 25 novembre 2019

Giorgio Luzzi

EXIT CATULLUS


Exit Catullus, proprio lui che
chiamava forte per un dito di falerno
d'annata nero e triste.
Non per la pia Postumia, che era una semplice oca
di casa, un lavandino un acino teso.
Né per la lieve Lesbia che i talloni
in certi giochi alzava su al luogo della gola.
Ma per certi pedanti, per non chiari poteri,
per la noia e la rabbia fatte morte,
lui lontano da Roma, e tutto in Roma quel
bisbigliare, tradurre
i segnali in sinistri sguardi d'angolo, tradire
ricambiare sempliciter: gli infiniti dei vivi.


da Da che mondo. Poesie 1976-2016, Sedizioni, 2017

venerdì 22 novembre 2019

Giacomo Leopardi


AD ANGELO MAI
QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI
DI CICERONE DELLA REPUBBLICA

Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni
A questo secol morto, al quale incombe
Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de’ nostri,
Muta sì lunga etade? e perché tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
Venner le carte; alla stagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi. E che valor t’infonde,
Italo egregio, il fato? O con l’umano
Valor forse contrasta il fato invano?

Certo senza de’ numi alto consiglio
Non è ch’ove più lento
E grave è il nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
Novo grido de’ padri. Ancora è pio
Dunque all’Italia il cielo; anco si cura
Di noi qualche immortale:
Ch’essendo questa o nessun’altra poi
L’ora da ripor mano alla virtude
Rugginosa dell’itala natura,
Veggiam che tanto e tale
È il clamor de’ sepolti, e che gli eroi
Dimenticati il suol quasi dischiude,
A ricercar s’a questa età sì tarda
Anco ti giovi, o patria, esser codarda.

Di noi serbate, o gloriosi, ancora
Qualche speranza? in tutto
Non siam periti? A voi forse il futuro
Conoscer non si toglie. Io son distrutto
Né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
M’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno
È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ai tetti vostri inonorata, immonda
Plebe successe; al vostro sangue è scherno
E d’opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne lodi
Né rossor più né invidia; ozio circonda
I monumenti vostri; e di viltade
Siam fatti esempio alla futura etade.

Bennato ingegno, or quando altrui non cale
De’ nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui fato aspira
Benigno sì che per tua man presenti
Paion que’ giorni allor che dalla dira
Obblivione antica ergean la chioma,
Con gli studi sepolti,
I vetusti divini, a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
Magnanimi allegràr d’Atene e Roma.
Oh tempi, oh tempi avvolti
In sonno eterno! Allora anco immatura
La ruina d’Italia, anco sdegnosi
Eravam d’ozio turpe, e l’aura a volo
Più faville rapia da questo suolo.

Eran calde le tue ceneri sante,
Non domito nemico
Della fortuna, al cui sdegno e dolore
Fu più l’averno che la terra amico.
L’averno: e qual non è parte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Susurravano ancora
Dal tocco di tua destra, o sfortunato
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
L’italo canto. E pur men grava e morde
Il mal che n’addolora
Del tedio che n’affoga. Oh te beato,
A cui fu vita il pianto! A noi le fasce
Cinse il fastidio; a noi presso la culla
Immoto siede, e su la tomba, il nulla.

Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
Ligure ardita prole,
Quand’oltre alle colonne, ed oltre ai liti
Cui strider l’onde all’attuffar del sole
Parve udir su la sera, agl’infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del Sol caduto, e il giorno
Che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo;
E rotto di natura ogni contrasto,
Ignota immensa terra al tuo viaggio
Fu gloria, e del ritorno
Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
L’etra sonante e l’alma terra e il mare
Al fanciullin, che non al saggio, appare.

Nostri sogni leggiadri ove son giti
Dell’ignoto ricetto
D’ignoti abitatori, o del diurno
Degli astri albergo, e del rimoto letto
Della giovane Aurora, e del notturno
Occulto sonno del maggior pianeta?
Ecco svaniro a un punto,
E figurato è il mondo in breve carta;
Ecco tutto è simìle, e discoprendo,
Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,
O caro immaginar; da te s’apparta
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
E il conforto perì de’ nostri affanni.

Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo
Sole splendeati in vista,
Cantor vago dell’arme e degli amori,
Che in età della nostra assai men trista
Empièr la vita di felici errori:
Nova speme d’Italia. O torri, o celle,
O donne, o cavalieri,
O giardini, o palagi! a voi pensando,
In mille vane amenità si perde
La mente mia. Di vanità, di belle
Fole e strani pensieri
Si componea l’umana vita: in bando
Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
È spogliato alle cose? Il certo e solo
Veder che tutto è vano altro che il duolo.

O Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa
Tua mente allora, il pianto
A te, non altro, preparava il cielo.
Oh misero Torquato! il dolce canto
Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
Onde l’alma t’avean, ch’era sì calda,
Cinta l’odio e l’immondo
Livor privato e de’ tiranni. Amore,
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
T’abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e il mondo
Inabitata piaggia. Al tardo onore
Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L’ora estrema ti fu. Morte domanda
Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.

Torna torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello,
Se d’angoscia sei vago, o miserando
Esemplo di sciagura. Assai da quello
Che ti parve sì mesto e sì nefando,
È peggiorato il viver nostro. O caro,
Chi ti compiangeria,
Se, fuor che di se stesso, altri non cura?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale
Affanno anche oggidì se il grande e il raro
Ha nome di follia;
Né livor più, ma ben di lui più dura
La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
Se più de’ carmi, il computar s’ascolta,
Ti appresterebbe il lauro un’altra volta?

Da te fino a quest’ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,
Pari all’italo nome, altro ch’un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo feroce, a cui dal polo
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,
Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
Mosse guerra a’ tiranni: almen si dia
Questa misera guerra
E questo vano campo all’ire inferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro all’arena
Scese, e nullo il seguì, che l’ozio e il brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.

Disdegnando e fremendo, immacolata
Trasse la vita intera,
E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
Età né suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi viviamo, e scorti
Da mediocrità: sceso il sapiente
E salita è la turba a un sol confine,
Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso,
Segui; risveglia i morti,
Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de’ prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni
E sorga ad atti illustri, o si vergogni.

mercoledì 20 novembre 2019

Franco Fortini

ITALIA 1977-1983

Hanno portato le tempie
al colpo di martello
la vena all'ago
la mente al niente.

Per le nostre vie
ancora rispondevano
a pugno sugli elmetti.

O imparavano nelle cantine
come il polso può resistere
allo scatto
dello sparo.

Compagni.

Non andate così.

Ma voi senza parlare
mi rispondete: "Non ricordi
quel ragazzo sfregiato
la sera dell'undici marzo 1971
che correva gridando
'Cercate di capire
questa sera ci ammazzano
cercate di
capire!'

La gente alle finestre
applaudiva la polizia
e urlava 'Ammazzateli tutti!'

Non ti ricordi?"

Sì, mi ricordo.

da Tutte le poesie, Oscar Mondadori, 2014

lunedì 18 novembre 2019

Marco Giovenale

IL DRAMMA NIENTE BAROCCO

Il dramma niente barocco
è a Roma, sfiamma
"il laghetto Borghese all'aurora", appena

siglato da un'acca di piccole
scialuppe scettiche
al verde d'acqua - flotta

cauta che non aspira a lati
- almeno riflessi -
di cose qualsiasi - volute con lotta

da Altre ombre, La camera verde, 2004

venerdì 15 novembre 2019

Giovanni Giudici

PANCIA

Pancia - sulla quale
poso la guancia
Tuo tepore
al mio timore

Pancia - della quale
la pelle è bianca
Tuo lievito 
al mio tremito

Pancia - nella quale
penetra la lancia
Tua ferita
della mia vita

Pancia - per la quale
va la sostanza
Letto di piume
al mio fiume

Pancia - dalla quale 
cresce la ghirlanda
Tuo buio dentro
e mio rosso centro

Pancia - alla quale
ogni angoscia sale
Tuo asilo
al mio respiro

Pancia - con la quale
mi sei bilancia
Tu giusta sorte
della mia morte

Pancia piena di merda
Pancia piena di dolore
Pancia dalla lunga cicatrice
Pancia della mia madre e della beatrice


da Poesie scelte (1957-1974), Oscar Mondadori Poesia, 1975

mercoledì 13 novembre 2019

Domenico Ludovici


DA UNA PROVINCIA MERIDIONALE DELL’IMPERO


Essi e i cerbiatti, essi e gli aironi azzurri vivevano in quel mondo di delizie.  
Poi vennero da altri mondi e dal mare uomini d’ingiurie.                                                                                                                                    Miguel Angel Asturias
                                                                                                                                                                


I

- La guerra
e non la pace
è la norma
che regola le relazioni
internazionali


La distensione è
la morte


Gli Usa
devono
prendere l’iniziativa
o perire


Siamo quasi
alla vigilia della
terza guerra mondiale


L’America Latina
come l’Europa occidentale
e il Giappone fa parte
delle basi del potere
degli Usa. Non si può
accettare la perdita
di nessuna
delle basi del potere
degli Usa in America
Latina Europa e
Pacifico occidentale
se gli Usa vogliono
mantenere
un’adeguata forza
preponderante
… -


Sono alcuni punti
del documento elaborato
dal cosiddetto
Comitato di Santa Fé
per conto di
Ronald Reagan
alla vigilia della sua
elezione a presidente.



II

Parla Rufina Alaya di El Mozote,
la sposa di Domingo Claro
(era cieco, ma lo uccisero lo stesso),
sopravvissuta alla strage:

“Venerdì alle cinque del mattino
arrivarono i soldati e
cominciarono a far uscire
la gente di casa.
Ci allinearono sulla piazzetta
e ci lasciarono lì
diverso tempo. I bambini
erano nudi,
avevano freddo.
Li portarono in una casa,
dove li rinchiusero.
Gli uomini li rinchiusero in chiesa
e noi donne
nella casa di Alfredo Marquez. A
mezzogiorno uccisero gli uomini.
Alle due portarono le ragazze
su una collinetta
e le violentarono fino alle sei
del mattino dopo.
Poi le uccisero e
le bruciarono. Io
mi salvai
perché mentre ci portavano via
riuscii a nascondermi dietro
un grosso albero. Restai
rannicchiata a lungo. Così vidi
quando uccisero le donne.
Vidi tutto.
Fino a quando finirono di ucciderle
e le bruciarono. Poi
vicino a dov’ero
nascosta si sedettero dei soldati
che parlavano tra loro. Dicevano
che li comandava il tenente Ortega

e che avrebbero impiccato e
decapitato i bambini. E
lo fecero davvero. Li
impiccarono e
decapitarono.
Non ci furono spari.
I bambini piangevano e gridavano. Anche
i miei quattro figli…”

III

Alcune donne del campo rifugiati
di San José de la Montaña raccontano:

“Vengo da San Vicente.
Sei mesi fa mio marito
fu ucciso. Io dovetti scappare
coi bambini. Le truppe
non risparmiavano nessuno.
Hanno staccato le teste
a cinque bambini
di una stessa famiglia. E poi le
hanno lasciate sulla tavola, in
mostra. Sono fuggita
coi miei figli sotto la pioggia.
Non avevamo da mangiare
né da vestirci. Siamo venuti
qui. Anche qui però
mancano i vestiti,
le coperte, una casa.
Tutto quello che avevamo è stato
distrutto. I soldati hanno bruciato
tutto…”

“Arrivarono e
diedero fuoco
alle nostre case.
Ammazzarono tutti quelli
che trovarono. Vidi coi miei occhi
uccidere un ragazzino
e una ragazza. Alla ragazza
tagliarono anche il seno.
Scappammo così come eravamo
senza sapere niente
l’uno dell’altro. Alcuni parenti
li vedemmo morire. Di altri
non sappiamo più niente. Neppure
se sono vivi…”

“Mi hanno strappata via da casa.
L’hanno bruciata e
mi hanno ucciso i genitori.

Io sono riuscita a rifugiarmi
in chiesa. Insieme ad altra gente
del paese. Poi hanno arrestato
gli uomini. Li hanno portati
in piazza. Gli hanno staccato
la testa con un colpo di machete.
Volevamo seppellirli, ma
non ci è stato possibile.
Siamo dovuti scappare. Altrimenti
uccidevano anche noi…”

“Non possiamo uscire di qui
perché rischiamo
di venire ammazzati.
Continuano a dirci
che vogliono farla finita
con noi
una volta per tutte.
Ci minacciano ogni giorno. Io
sono qui da tanto tempo.
Siamo stati tra i primi
a venire in questo campo…”

“Sono scappata
dal mio paese perché erano arrivati
alcuni agenti a minacciarci.
Dicevano che
ci avrebbero uccisi
perché le spie di ‘Orden’
avevano detto
che eravamo sovversivi.
Pochi giorni dopo
tornarono le guardie
ma per fortuna
non eravamo in casa.
Quel giorno la Guardia Nazionale
e quelli di ‘Orden’
andarono a casa di una contadina
che era incinta di otto mesi
e la uccisero.
Prima la violentarono
tutti. Poi
le tagliarono la testa
con un colpo di machete. Poi
sempre col machete
le tagliarono il ventre
e le strapparono la creatura. E
la gettarono ai cani…”

La vecchia contadina che racconta
ha ancora negli occhi
gli orrori di quel giorno.


IV

“Si tratta
di faide familiari. Qui
le famiglie sono molto numerose
e le vendette coinvolgono
intere parentele”.

Dice il numero due
della Giunta, il democratico
cristiano Morales
Ehrlich con
una punta di disprezzo
per gli innumerevoli cadaveri
sfigurati rinvenuti nelle strade.


Nota

Oggi, la Siria e l’Iraq – con l’ultimo fatto di sangue, che ha coinvolto militari italiani. Ieri, la Bosnia, il Kosovo. Ma non solo. Andando indietro, altri luoghi, altre sofferenze dovremmo ricordare. Non ho scritto versi sulla Bosnia o sul Kosovo, né su l’Egitto; non so se ne scriverò mai sulla Siria. Ormai molti anni fa, un altro paese era al centro delle cronache dei giornali: un paese molto più lontano della Bosnia, dell’ex Jugoslavia: El Salvador. Io leggevo i resoconti delle uccisioni, della barbarie, su un vecchio, glorioso quotidiano: Paese Sera. Un giorno mi venne voglia di esorcizzare il disagio che quelle cronache mi mettevano dentro. Trascrissi, quasi senza aggiungere nulla, alcune storie; diedi loro solo una forma poetica che mantenesse lo spessore e la drammaticità presente nei resoconti degli inviati. La prima parte, i punti del documento preliminare alla campagna elettorale di Reagan introducevano bene i fatti di sangue, le tragedie di vite strappate, come queste fossero un corollario a quello. Ieri la Bosnia e oggi il Medio Oriente mettono di nuovo a nudo la nostra cattiva coscienza, smascherano la menzogna e l’ipocrisia che ispira il comportamento dell’Occidente. È con questo spirito che pubblico questi versi, queste “poesie trovate”: trovate nel dolore e nelle sofferenze di gente lontana, come oggi ne possiamo trovare in quelle altre tragedie a noi più vicine, nel tempo e nello spazio, alle soglie di casa nostra.

lunedì 11 novembre 2019

Rita Iacomino

SOPRAVVIVERE

             Mi rendo conto del delirio
scrivere è fermare la devastazione.
La sponda è resistente agli urti
per questo sono sempre in fin di vita
per questo non muoio.
Ma scrivere è infantile, un puntare i piedi, un capriccio.

da Diario di un finto inverno, Empiria, 2018





venerdì 8 novembre 2019

Alessandro Ricci


OGGI HO PORTATO IL MIO AMORE SUL CIGLIO


Oggi ho portato il mio amore sul ciglio
di un baratro; più tardi, su una scala
d’oro: assedio al desiderio, aumento
di pugnali e tenerezze sono ogni ascolto,
ogni sguardo passati.
                                       Tutto avvenne fra prima
e poi, in quell’attimo immobile, atteso
e temerario che chiamiamo presente ma è
un auspicio, una puntura fulminea
e indelebile che separa la ragione
dal sogno, l’una condannata al tempo
che va, l’altro fermo per sempre
nell’esultanza.

Poi succede delle cose dette solo
una parte, perché dell’altra è più breve
e leggera, sottilissimi aghi
ridotti a vuoti d’aria non appena
confitti alle panchine dell’incantesimo,
quattro o cinque di una città altrimenti
non esistita, sulle quali foglie e nebbie
si poseranno, commozioni di nuovi innamorati
o di relitti umani che non dimenticano
o non lo sanno, amore
e morte di avi e discendenti, per anni
e anni, fino alla quota estrema delle memorie
di tutti.



da  I cavalli del nemico, Il Labirinto, 2004

mercoledì 6 novembre 2019

Tommaso Lisi

DI TE NON RICORDO NESSUN DETTO


Di te non ricordo nessun detto
saggio, nessun atto
di coraggio.

Sta tutto scritto nella tua paziente
vita, nella tua morte silente,
il tuo messaggio.

da Nuovi colloqui con il padre e la madre, Luigi Pellegrini editore, 2016

lunedì 4 novembre 2019

Rita Iacomino

LA FELICITÀ


La felicità si insediò con discrezione improvvisa
cancellò il tempo i nomi e le circostanze.
Nessuno ti ha chiamato, nessuno lo sapeva
non c'era un prima né un dopo.
Non era una fuga perché non c'era spazio
né un andare né un tornare.
Sembrava un rimanere ma senza tempo.

da Diario di un finto inverno, Empiria, 2018

venerdì 1 novembre 2019

Francesco Dalessandro



SERE

                                    a mia madre

Sere, sere tornate all’improvviso
dentro il tuo sguardo amato,
sere bambine che ora ho ritrovato
umili e sante come il suo sorriso 



PADRE  
                                       Padre, il mondo ti ha vinto giorno per giorno
                                              Come vincerà me, che ti somiglio.
                                                                 Franco Fortini, Foglio di via                                                                    

Padre che sei stato mio padre con l’onestà
del lavoro col ruvido amore e la grazia
misurata dei gesti col riserbo di parole
e di sguardi, padre che sei stato mio padre
col rispetto e il pudore della tua natura
d’uomo nato dal cuore di una terra
forte e dura, padre che resti per sempre
mio padre anche nel buio della morte,
padre senza fortuna ora invidio la tua sorte


(inedite)