mercoledì 13 novembre 2019

Domenico Ludovici


DA UNA PROVINCIA MERIDIONALE DELL’IMPERO


Essi e i cerbiatti, essi e gli aironi azzurri vivevano in quel mondo di delizie.  
Poi vennero da altri mondi e dal mare uomini d’ingiurie.                                                                                                                                    Miguel Angel Asturias
                                                                                                                                                                


I

- La guerra
e non la pace
è la norma
che regola le relazioni
internazionali


La distensione è
la morte


Gli Usa
devono
prendere l’iniziativa
o perire


Siamo quasi
alla vigilia della
terza guerra mondiale


L’America Latina
come l’Europa occidentale
e il Giappone fa parte
delle basi del potere
degli Usa. Non si può
accettare la perdita
di nessuna
delle basi del potere
degli Usa in America
Latina Europa e
Pacifico occidentale
se gli Usa vogliono
mantenere
un’adeguata forza
preponderante
… -


Sono alcuni punti
del documento elaborato
dal cosiddetto
Comitato di Santa Fé
per conto di
Ronald Reagan
alla vigilia della sua
elezione a presidente.



II

Parla Rufina Alaya di El Mozote,
la sposa di Domingo Claro
(era cieco, ma lo uccisero lo stesso),
sopravvissuta alla strage:

“Venerdì alle cinque del mattino
arrivarono i soldati e
cominciarono a far uscire
la gente di casa.
Ci allinearono sulla piazzetta
e ci lasciarono lì
diverso tempo. I bambini
erano nudi,
avevano freddo.
Li portarono in una casa,
dove li rinchiusero.
Gli uomini li rinchiusero in chiesa
e noi donne
nella casa di Alfredo Marquez. A
mezzogiorno uccisero gli uomini.
Alle due portarono le ragazze
su una collinetta
e le violentarono fino alle sei
del mattino dopo.
Poi le uccisero e
le bruciarono. Io
mi salvai
perché mentre ci portavano via
riuscii a nascondermi dietro
un grosso albero. Restai
rannicchiata a lungo. Così vidi
quando uccisero le donne.
Vidi tutto.
Fino a quando finirono di ucciderle
e le bruciarono. Poi
vicino a dov’ero
nascosta si sedettero dei soldati
che parlavano tra loro. Dicevano
che li comandava il tenente Ortega

e che avrebbero impiccato e
decapitato i bambini. E
lo fecero davvero. Li
impiccarono e
decapitarono.
Non ci furono spari.
I bambini piangevano e gridavano. Anche
i miei quattro figli…”

III

Alcune donne del campo rifugiati
di San José de la Montaña raccontano:

“Vengo da San Vicente.
Sei mesi fa mio marito
fu ucciso. Io dovetti scappare
coi bambini. Le truppe
non risparmiavano nessuno.
Hanno staccato le teste
a cinque bambini
di una stessa famiglia. E poi le
hanno lasciate sulla tavola, in
mostra. Sono fuggita
coi miei figli sotto la pioggia.
Non avevamo da mangiare
né da vestirci. Siamo venuti
qui. Anche qui però
mancano i vestiti,
le coperte, una casa.
Tutto quello che avevamo è stato
distrutto. I soldati hanno bruciato
tutto…”

“Arrivarono e
diedero fuoco
alle nostre case.
Ammazzarono tutti quelli
che trovarono. Vidi coi miei occhi
uccidere un ragazzino
e una ragazza. Alla ragazza
tagliarono anche il seno.
Scappammo così come eravamo
senza sapere niente
l’uno dell’altro. Alcuni parenti
li vedemmo morire. Di altri
non sappiamo più niente. Neppure
se sono vivi…”

“Mi hanno strappata via da casa.
L’hanno bruciata e
mi hanno ucciso i genitori.

Io sono riuscita a rifugiarmi
in chiesa. Insieme ad altra gente
del paese. Poi hanno arrestato
gli uomini. Li hanno portati
in piazza. Gli hanno staccato
la testa con un colpo di machete.
Volevamo seppellirli, ma
non ci è stato possibile.
Siamo dovuti scappare. Altrimenti
uccidevano anche noi…”

“Non possiamo uscire di qui
perché rischiamo
di venire ammazzati.
Continuano a dirci
che vogliono farla finita
con noi
una volta per tutte.
Ci minacciano ogni giorno. Io
sono qui da tanto tempo.
Siamo stati tra i primi
a venire in questo campo…”

“Sono scappata
dal mio paese perché erano arrivati
alcuni agenti a minacciarci.
Dicevano che
ci avrebbero uccisi
perché le spie di ‘Orden’
avevano detto
che eravamo sovversivi.
Pochi giorni dopo
tornarono le guardie
ma per fortuna
non eravamo in casa.
Quel giorno la Guardia Nazionale
e quelli di ‘Orden’
andarono a casa di una contadina
che era incinta di otto mesi
e la uccisero.
Prima la violentarono
tutti. Poi
le tagliarono la testa
con un colpo di machete. Poi
sempre col machete
le tagliarono il ventre
e le strapparono la creatura. E
la gettarono ai cani…”

La vecchia contadina che racconta
ha ancora negli occhi
gli orrori di quel giorno.


IV

“Si tratta
di faide familiari. Qui
le famiglie sono molto numerose
e le vendette coinvolgono
intere parentele”.

Dice il numero due
della Giunta, il democratico
cristiano Morales
Ehrlich con
una punta di disprezzo
per gli innumerevoli cadaveri
sfigurati rinvenuti nelle strade.


Nota

Oggi, la Siria e l’Iraq – con l’ultimo fatto di sangue, che ha coinvolto militari italiani. Ieri, la Bosnia, il Kosovo. Ma non solo. Andando indietro, altri luoghi, altre sofferenze dovremmo ricordare. Non ho scritto versi sulla Bosnia o sul Kosovo, né su l’Egitto; non so se ne scriverò mai sulla Siria. Ormai molti anni fa, un altro paese era al centro delle cronache dei giornali: un paese molto più lontano della Bosnia, dell’ex Jugoslavia: El Salvador. Io leggevo i resoconti delle uccisioni, della barbarie, su un vecchio, glorioso quotidiano: Paese Sera. Un giorno mi venne voglia di esorcizzare il disagio che quelle cronache mi mettevano dentro. Trascrissi, quasi senza aggiungere nulla, alcune storie; diedi loro solo una forma poetica che mantenesse lo spessore e la drammaticità presente nei resoconti degli inviati. La prima parte, i punti del documento preliminare alla campagna elettorale di Reagan introducevano bene i fatti di sangue, le tragedie di vite strappate, come queste fossero un corollario a quello. Ieri la Bosnia e oggi il Medio Oriente mettono di nuovo a nudo la nostra cattiva coscienza, smascherano la menzogna e l’ipocrisia che ispira il comportamento dell’Occidente. È con questo spirito che pubblico questi versi, queste “poesie trovate”: trovate nel dolore e nelle sofferenze di gente lontana, come oggi ne possiamo trovare in quelle altre tragedie a noi più vicine, nel tempo e nello spazio, alle soglie di casa nostra.

1 commento:

  1. Forse questa non è poesia, ma quanto la sento necessaria alla riflessione sulla banalità del male.
    Dove si spostano i confini dell'umanità durante una guerra, cosa diventa l'uomo quando ritorna ad essere una bestia?
    È possibile sentirsi in colpa per essersi salvati e non essere riusciti ad impedire l'eccidio dei propri figli?
    Queste ed altre domande s'impongono leggendo questi testi che denunciano l'uomo non solo l'esecutore ma soprattutto il mandante.
    Grazie per la condivisione.

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