PROTOPLASMA DI LUCE
Quanto
tempo fa
Frances
e io andammo in metro
al
Van Cortlandt Park. La gente
era
tutta eccitata, ragazzini e storpi
vendevano
occhiali neri.
Corremmo
verso le colline
aperte
a nord della stazione
come
fosse troppo tardi e restammo
lì,
mano nella mano, in attesa.
Sotto
gli alberi, il sole tra i rami
spogli
creava piccole lunule di luce,
sulla
neve. Il cielo ingrigì
e
si svuotò. Una dopo l’altra
spuntarono
le stelle. Il sole
alla
fine fu appena una falce
sottile
sugli occhiali, coi vicini
pianeti
luminosi a sorvegliarlo.
Poi,
in cielo, saltò fuori
la
grande ameba di gelida luce
cristallina.
Il vento passò oltre
come
una folla silenziosa. La folla
singhiozzò
come un soffio
di
vento. Tutti i cani ulularono.
Il
silenzioso protoplasma di luce
s’arrestò
nelle viscere buie
del
cielo, circondato da un anello
di
fuoco rosso vivo, il suo nucleo
nero-pietra.
Mercurio se ne stava
silenzioso
là vicino, freddo
e
scuro come una scaglia di ferro.
Fu
tanto tempo fa.
In
spiaggia, io e Mary guardiamo
il
sole sprofondare nell’oceano
ventoso.
Strati di vapore spaccano
il
disco, che sembra un’enorme
pagoda
di rame. La spuma
soffia
oltre le nostre facce,
una
medusa pulsa nell’acqua
immota,
si schiaccia sulla sabbia
umida
ai nostri piedi. Scende
il
crepuscolo e appaiono tutti
i
pianeti visibili: prima
Venere,
poi Giove, Marte,
Saturno
e di nuovo Mercurio.
Le
foche berciano sulle rocce.
Racconto
a Mary di Keplero,
e
di come Mercurio, che lui
non
aveva mai visto, brillasse
alla
finestra mentr’egli moriva,
troppo
tardi perché potesse
vederlo.
Il misterioso cono
di
luce s’appoggia sull’orizzonte,
nel
cielo pallido. Io le dico:
«Non
si sa cosa sia né dove sia.
Forse
è la grande nube di gas
intorno
al sole che vedrai
un
giorno di questi, se sarai
fortunata,
perché si distingue
solo
durante un’eclisse.
Io
l’ho vista molto tempo
fa».
Traduzione di Francesco Dalessandro