mercoledì 23 giugno 2021

Kenneth Rexroth

 

PROTOPLASMA DI LUCE

 

Quanto tempo fa

Frances e io andammo in metro

al Van Cortlandt Park. La gente

era tutta eccitata, ragazzini e storpi

vendevano occhiali neri.

Corremmo verso le colline

aperte a nord della stazione

come fosse troppo tardi e restammo

lì, mano nella mano, in attesa.

Sotto gli alberi, il sole tra i rami

spogli creava piccole lunule di luce,

sulla neve. Il cielo ingrigì

e si svuotò. Una dopo l’altra

spuntarono le stelle. Il sole

alla fine fu appena una falce

sottile sugli occhiali, coi vicini

pianeti luminosi a sorvegliarlo.

Poi, in cielo, saltò fuori

la grande ameba di gelida luce

cristallina. Il vento passò oltre

come una folla silenziosa. La folla

singhiozzò come un soffio

di vento. Tutti i cani ulularono.

Il silenzioso protoplasma di luce

s’arrestò nelle viscere buie

del cielo, circondato da un anello

di fuoco rosso vivo, il suo nucleo

nero-pietra. Mercurio se ne stava

silenzioso là vicino, freddo

e scuro come una scaglia di ferro.

Fu tanto tempo fa.

In spiaggia, io e Mary guardiamo

il sole sprofondare nell’oceano

ventoso. Strati di vapore spaccano

il disco, che sembra un’enorme

pagoda di rame. La spuma

soffia oltre le nostre facce,

una medusa pulsa nell’acqua

immota, si schiaccia sulla sabbia

umida ai nostri piedi. Scende

il crepuscolo e appaiono tutti

i pianeti visibili: prima

Venere, poi Giove, Marte,

Saturno e di nuovo Mercurio.

Le foche berciano sulle rocce.

Racconto a Mary di Keplero,

e di come Mercurio, che lui

non aveva mai visto, brillasse

alla finestra mentr’egli moriva,

troppo tardi perché potesse

vederlo. Il misterioso cono

di luce s’appoggia sull’orizzonte,

nel cielo pallido. Io le dico:

«Non si sa cosa sia né dove sia.

Forse è la grande nube di gas

intorno al sole che vedrai

un giorno di questi, se sarai

fortunata, perché si distingue

solo durante un’eclisse.

Io l’ho vista molto tempo

fa».


Traduzione di Francesco Dalessandro

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