venerdì 30 agosto 2024

Rossano Pestarino

 ALLA FINE


Alla fine, né prosa né poesia.

Parlare, si dovrebbe.

Per carità, frasi brevi,

ché la gente si stufa.

Un ritmo sì, quello cercare di mettercelo,

che sfiori la musica:

tranquilla in superficie,

sotto sotto gremita

di armonici e timbri magari sconcertanti,

sincopi e contraccolpi.

Come si sente l'orchestra,

a tratti, nei Péchés de vieillesse.

E su quel ritmo il filo

del pensiero: quello però senza

troppi scossoni, e soprattutto senza

tranelli o tradimenti.


(inedita)

mercoledì 28 agosto 2024

John Keats

 QUATTRO STAGIONI MISURANO L'ANNO



Quattro stagioni misurano l’anno;

quattro l’animo umano: la sensuale

primavera che accoglie ogni bellezza

facilmente con chiara fantasia;                                      

l’estate voluttuosa che il miele

primaverile del giovane pensiero 

ama rimuginare e in sogno innalza 

vicino al cielo; e ha quieti rifugi

l’anima nell’autunno quando le ali

raccoglie e osserva indolente le nebbie 

e se ne appaga, e lascia che incurante,

come una soglia il rivo. ogni bellezza

passi; e ha il pallido inverno che sfigura,

perché non perda la sua mortale natura.


Traduzione di Francesco Dalessandro


da Fammi lezione, Musa - Contatti, 2021


lunedì 26 agosto 2024

Domenico Vuoto

              

HA UN SEGRETO DEPOSITO


Ha un segreto deposito di oggetti trafugati  

                      chissà come dal mio tavolo di lavoro, ci si

                      gingilla sovente di notte per deliziare la sua

                      veglia e minacciare il mio sonno. Giuro, ho

                      esplorato palmo a palmo la casa senza mai

                      trovarlo, il nascondiglio dei suoi trafugamenti.

                      Il bello è che mentre mi danno per cercarlo

                      lei mi si mette accanto, mi precede, cerca,

                      rovista con le zampe, m’incoraggia.

 

S’è mai vista, dico, una così irridente

impudenza, una gatta che ti assiste mentre

indaghi sui suoi lampanti misfatti? Sospetto

che voglia farsi beffe di me, portarmi fuori

strada ma come, come  dimostrarlo?


da Alla mia gatta parlo, di prossima pubblicazione presso Il Labirinto

venerdì 23 agosto 2024

Domenico Ludovici

 LA PRIMA VOLTA

 

 

I

 

dopo quella mattina con la rosa

(prima: «salvata dal 63»)

ed una settimana di amorosa

comunione e di sguardi dopo le

 

carezzine veloci con la scusa

di darti la tazzina del caffè

o camminarmi al fianco timorosa

che qualcuno capisse chissà che

 

ecco venuta l’ora tanto attesa:

busso alla porta e pieno d’ansia aspetto

apri e m’abbracci finalmente arresa

 

sul divano ti stringo non resisto

più, mi baci ti tocco andiamo a letto?

prima vai in bagno poi ti spogli assisto

 

eretto


II

 

ah che ore amore! due volte mi sono

piegato tra le cosce per leccarti

la fica, la prima con sofferta

pazienza e perizia: guizza piano

 

la lingua sulle labbra già bagnate

sulla crestina duretta eccitata,

mentre ti lecco con un dito cauta-

mente t’esploro: tu già pronta a darti;

 

la seconda veloce perché ho fretta

di prenderti: mi chino e la mia lingua

guizzando sulla fica apre la stretta

 

delle tue labbra dov’è più languida

la carne e tu già pronta e all’erta

t’offri ansante così giacendo esangue

 

aperta

 

III

 

eretto dentro la calda fessura

aperta sono entrato dopo averla

leccata e così amore ogni paura

è svanita ho pensato «com’è bella»

 

e mi son detto «vorrei tanto farla

felice» e ho sospirato «se mi amassi»

però non hai sentito: eri già nella

piccola morte, ma fa’ che non passi

 

l’affanno dolce del tuo cuore resta

tra le mie braccia cura la mia smania

mentre parliamo ce l’ho ancora duro

 

mi desideri prendilo ma questa

voglia non mi dà pace già le mani

ti toccano ti tengo… ah se il futuro

 

terminasse già qui senza l’oscuro

domani


da Sonetti d'amore, di sesso e di morte. Inediti

mercoledì 21 agosto 2024

Francesco Dalessandro

 

RIMBAUD A L’AQUILA

 

Ancora un’inutile bella giornata, pensò avvicinandosi alla finestra. 

La città non sembrava ferita,

l’aria fresca le dava un aspetto sereno

e i tubolari che dal terremoto sorreggevano il Centro

scintillavano al sole.

Eppure, è un’agonia, pensò.

Ma non seppe se fosse a sé che si riferiva, o alla città.

In fondo né la sua vita né quella della città si risolvevano.

Si sarebbero mai risollevate?

Come nel più convenzionale racconto romantico,

si disse volgendosi a guardare verso l’interno della stanza,

con il grande letto solitario,

sfatto sempre e solo da una parte.

Difatti, chi lo divide più con me? si chiese.

Sì, come in un brutto racconto.

Anzi, come in uno di quei fotoromanzi a puntate

che sua madre leggeva su un settimanale. “Grand-Hotel”,

mi pare si chiamasse, pensò. Chissà se esiste ancora.

«Ho teso corde da campanile a campanile,

ghirlande da finestra a finestra» ricordò d’aver letto

una volta in un fotoromanzo,

parole che un uomo sussurrava a una donna,

abbracciati sul letto. Non ricordava.

«Catene d’oro da stella a stella» le diceva «e danzo».

Poi per mesi aveva cercato

il libro e il poema di quei versi: Rimbaud,

le sue Illuminazioni. Che allora non sapeva chi fosse.

Fili d’oro – pensò – come quello che ora pende 

dai tralicci dell’alta tensione e si prolunga sul viadotto

dell’autostrada: un inganno del sole.

L’ennesima bella giornata, noiosa e senza senso,

ecco cosa l’aspettava.

Perché era inquieto, allora?

Perché quell’ansia smaniosa che lo prendeva appena sveglio?

E che a volte passava, durante la giornata, e spesso no?

Ma neanche quella mattina avrebbe trovato una risposta.

Si risolse a fare la doccia, si fece la barba,

e, mentre si vestiva, il caffè.

Ne bevve una tazzina e uscì di casa.

Come ogni mattina, scese a piedi i cinque piani e s’incamminò.


(INEDITA)

lunedì 19 agosto 2024

Edoardo Ferri

 PERDONAMI


Perdonami 

se le parole non vengono

se il segno chiaro

della lingua si è perso

fra le righe e soffre

e zoppica e non ha vigore.

E' stanchezza e dolore,

vigile disattenzione

perché ora le mie parole

sono in attesa del ritorno

silenzioso ed alto,

come un bianco lucernario;

perché siano aeree

nella scrittura

e il loro suono

ci porti via da questa

dura lontananza.


(inedita)



venerdì 16 agosto 2024

Domenico Adriano

O MIEI LIBRI, SE FORSE



 

O miei libri, se forse

mi sopravviverete:

se altre mani, altri occhi

si poseranno su voi

 

non concedetevi subito

ov’io sostai a lungo.

 

Non ho cercato in voi

rifugio, io

vi ho amati.

 

Quante

vostre pagine – alcove!

 

Da dove

sono ora precipitato

forse potrei sopportare

nuovi amori, sì,

ma immacolati.

 


1994: poesia persa e ritrovata

da Gianfranco Palmery

  

mercoledì 14 agosto 2024

Gabriella Pace

 ARIANNA



Cullata nel lamento dei venti

un groviglio di filo tra le mani

tremanti. Non è così diverso

dal peso di un monile

d’oro e di grano intessuto

presagio di eterno

lanciato nella cupola del cielo

diadema forgiato da un dio

ora solo frammento di destino.

La tua colpa con te, chiuso segreto

del fratello muto, nel labirinto.

 

II

Chi sei tu adesso?

Figlia di una regina, una bambina

tremi alla vista della tua stessa ombra

forse solo una donna in attesa di un dio?

In un vigneto in costa a un colle lungo il mare,

nell’ora lenta che la terra dà il suo odore?

Un odore rasposo e tenace, tra di fico e di pino?

Il melograno, l’uva matura, l’aria che pesa di mosto

tra frutto e fiore.

Dormi, sulla spiaggia di Nasso

sei materia sognata

pura ragione, cerchi un abbandono.


III

Traditi, i voti sussurrati se ne vanno per mare

tutto cade dal cuore smemorato.

Così hai seguito il vento, i ricci scuri, le dolci parole

tu persa nel soffio che avvolge e solleva.

Ti ha vista, indubbiamente

la testa reclinata, le braccia nude riparavano il volto

dalle lame di roccia, invocavi lo sguardo

che accoglie e riconosce, la schiuma e il mare

ripetevano: - Sola! -  Ripetevano: - Tutto -

E tutto è ancora poco, è il ritmo incessante del

respiro, onda che sommerge, spinta che disorienta.

 

IV

Lui è in arrivo e giunge ridendo

tra bestie feroci e baccanti.

Scuotono i pampini in cima ai tirsi

un fragore simile al tuono lo accompagna

scioglie le ginocchia e smemora il pianto.



edita con un'acquaforte per i tipi de "Il ragazzo innocuo" di Luciano Ragozzino

lunedì 12 agosto 2024

Edoardo Ferri

 SU QUESTA STRADA


 Su questa strada

non batte mai il sole

io allora invento la luce,

la rendo morbida e

diffusa, poi scintillante

come dentro a un prisma

per ritrovarmi in ogni dove;

che ora sei da qualche parte

e io vorrei soltanto 

prenderti

                 la mano


(inedita)



venerdì 9 agosto 2024

Domenico Adriano

 

«COME SI SBUCCIA UN AGLIO?»

 

Come si sbuccia un aglio?

Sono scoppiate altre guerre, è questa

mia domanda così

importante? Se i generali

sapessero sbucciare un aglio

con le mani, senza usare

il coltello! Mia nonna

anche se è morta da quasi

trent’anni la vedo, tra le sue dita

l’aglio si spoglia, prende

corpo intero l’odore niente spreco.

 

3 novembre 2023




mercoledì 7 agosto 2024

Rossano Pestarino

 QUELLA MATTINA ESCO PRESTO

 

Quella mattina esco presto, più presto del solito.

Scendo le scale anche più calmo del solito,

stranamente. Subito fuori dal portone

stendo la mano per vedere se piove,

ma è già sereno il cielo.

Comincia il giorno: le tortore nei nidi,

i passeri stupiti

che mi osservano attraversare la piazza

con il mio vecchio passo, vecchio e solo.

C’è tutta la campagna che ci aspetta,

poco oltre il paese.

E finalmente anch’io

ho questi occhi piccoli e acuti dei pennuti

che tutto vedono e tutto ricordano;

finalmente mi vedo anch’io dall’alto,

dall’alto del volo.


(inedita)

lunedì 5 agosto 2024

Vincenzo Di Maro

 VISTO DA VICINISSIMO


Visto da vicinissimo, il fenomeno rosa

- nel senso vegetale – neanche esiste:

ma fugge in isolati di molecole

per poi precipitare in buia onda

percorsa da un abbaglio di faville.

Basta ignorarlo per celebrare il vuoto

trovando poi al suo posto chissà cosa:

forse l'effigie di uno dei nostri volti

che fluttua al negativo, su un ammasso

di particelle. Sembra fine Ottocento:

vecchi tram a cavallo, le spettrali

ombre di una metropoli

tra quinte in bianco e nero, una fiumana

che s'invortica in tondo, tra fanali

e cappelli: così a volte si sgrana

la pellicola instabile del mondo.

E noi comodi, a bordo di un landò,

fino ai giardini in fondo alla città

per vedere la dama, per ritrovare quella

cui, prima di ogni nascere,

consegniamo la rosa.


(inedita)

venerdì 2 agosto 2024

Cristina Sparagana

 OH, TU, LA NON PIU' GRIGIA DELLE SEDIE


Oh, tu, la non più grigia delle sedie,

dal consorte malato,

un grano di pulviscolo, lo iato,

e la rondine morta.

Tu,

la mummia di segale,

risorta

per pascerti nel fieno,

riposare

il viso e la moneta,

anche tu, pare,

fosti sangue una volta,

rughe come gabbiani,

la tua avvolta

freschezza dei tuoi muti sedici anni

nuotavi tra i delfini,

coi malanni

nel tramonto del sole.

Fosti

vergine e tigre,

malincuore,

turbolenza dei giorni,

Migrasti su una lacrima

dagli orli

d’orifiamma e di sale.

Ma ora sarai con noi,

fra le lampare

della terra bagnata,

dimentica

di chi ti ha abbandonata

dopo un gioco d’amore.


da Cenere alla cenere, Il Labirinto, 2024