ALLA FIGLIA
Ti stringo nella mente
più che se ti stringessi tra le
braccia
nell’ennesima notte senza stelle
o fittissima notte
del tormento infinito destinato
al corpo che invecchia
come può,
arida notte come tutte dove
approdo ogni sera con un freddo
dolore cui appartengo
e apparterrò fino all’ultimo
respiro che nessuno
si chinerà a raccogliere,
agli dèi
cui non credo mi capita di chiedere
nel primo avvicinarmi
al sonno
che non lasci a
nessuno rimorsi in specie a te
se in me riascolto il suono
sottile della tua
fresca voce –
quando per noi sognavo solitudini
ariose ruscellanti
soltanto del tuo riso
di fragile cristallo la sua scia
sognavo il sonno lieve
ultimo di me vecchio
al tuo sguardo sognavo luce
che fluisse dagli occhi innamorati,
e la pioggia leggera nel buio
inquieto di Roma
ma «ora non nasconderti
all’amore» il rimorso
diceva «che insapiente
è soltanto la pena della notte
buia dell’anima, per-
ciò va oltre» –
ed è allora
che nel ricordo
affiora il silenzio di quando
credevo che bambina
turbassi i versi e le infelici
sere seduta a quel piccolo tavolo
dove quieta fiorite
nuvole e calde primavere
disegnavi, invece ora
non posso che
fingerti vicina ma il dolore
mai spento dell’assenza
e del silenzio non
si placa nemmeno nel sonno
o nel pensarti
felice benché ignara
di me dei miei pensieri in questa
tenebra senza fuoco
dove solo la neve
protegge il poco bene
non dissipato mentre
volano questi versi
al tuo orecchio per dirti
come niente ormai argini la perdita
d’ogni giorno
e come presto non
basterà la memoria a preservare
i tuoi sorrisi
né il cuore a dirmi come
vivere sopportando la mancanza
di tutto che in un’altra
tristissima notte
mi fu strappato e le parole che
per troppa distanza hanno perduto
il suono
della tua voce e gli occhi
che facevano giorno
il chiaro sole del risveglio
da Corrispondenze, inedito