venerdì 1 novembre 2024

Francesco Dalessandro

 NEL GIORNO DEI MORTI

                                     2 novembre 1991



Nel mese più stanco, nel giorno

dei morti – è già un mese

che manchi – giorno freddo

e assolato come allora

sul crinale dei monti sul rame

del bosco sui tetti sull’erba

delle siepi sui bordi

della strada dove ora si scioglie

la brina notturna «è il respiro

dei morti» quella voce

inconoscibile fra tante

«è il fiato perso dei cari

morti: hanno freddo e il loro

fiato gela…»

 

                      È quella voce

flebile più del vento fra le piante

e i muri a chiarirmi quanta vita

e quanta morte sono state

necessarie ai sentimenti

e che fuoco può perderci tutti

o affinare i nostri sensi nel lento

maturare dei giorni, ma a te

la coscienza (o forse l’anima, se

potessimo crederlo) a te parla

sotto il sole scegliendo

come il corvo tra i frutti avvelenati 

dalle piogge d’autunno le parole

non dette, le vere…

                                            

                               «Perché,

se fu come il saluto a chi parte

per un viaggio in paesi lontani,

se fu solo per questo che tutti

tutti ci unimmo nel mattino

assolato di ottobre, se il pianto

era giusto e dovuto a te uscito

dai nostri giorni, perché  

come fosse una colpa io perché

sentivo quel muto lasciarti

andare?

             Non c’era più tempo –

per me che pensavo di avere

tutto il tempo – per dirti

il bene taciuto le segrete amarezze

di una muta adolescenza

senza voce e senza ascolto

né amore o della timida ricerca

del suo suono…

                           Perché

non restavano che le parole

non dette l’ascolto mancato

della voce il non dire l’abbandono

del vero nel silenzio

                                o non fu

il tuo riserbo di padre

e d’uomo nato al dovere nell’avara

solitudine di questa terra

senza abbandoni?

 

                              Se è vera

l’immagine dell’inquietudine

e oscura, che ne è del-

l’orgoglio ferito ma vivo

che accompagna questi anni

e li consola? che mai

ne sarà ti domando sì che

ne sarà domani di me

in tutto questo vuoto, in tutto

questo silenzio e quell’azzurro

senza voli? e che cosa

mi resta da fare (o non

fare) per non cadere in ogni

sguardo per non morire

solo a ogni passo un giorno

dopo l’altro

un’ora dopo l’altra?»


                                       Ma sono

i pensieri il metronomo sordo

dei passi lungo la strada

polverosa dove altri camminano

con noi a coppie a gruppi

di tre di quattro sotto il sole

già alto che si alterna

con l'ombra delle piante nel giorno

della visita ai morti, a chi ora

dorme sonni insensati e

perfetti e non ricorda più affanni

o sogni.