venerdì 5 ottobre 2012

John Keats


ALL'AUTUNNO


I
Stagione di nebbie e di fertile abbondanza,
amica prediletta del sole che tutto matura,
con il quale cospiri per colmare e benedire
di grappoli i tralci allacciati ai tetti di canne
e curvare col peso delle mele gli alberi di casa,
per riempire di polpa matura ogni frutto
e gonfiare la zucca e i gusci delle nocchie
di teneri noccioli, e fiori, altri fiori tardivi
far fiorire per le api, illudendole che i giorni
di caldo non avranno più fine, che l’estate
fino all’orlo ha riempito le celle viscose.

II
Chi non t’ha vista immersa nell’opulenza?
Chi ti cerca all’aperto a volte può trovarti 
seduta distratta in un’aia, coi morbidi capelli 
al vento che li vaglia; o immersa nel sonno,
stordita dai vapori che esalano i papaveri, 
in un solco mietuto a metà: il falcetto risparmia 
altre spighe ed i fiori con esse intrecciati; 
o mentre attraversi un torrente, rigido il capo
gravato dal peso, come una spigolatrice,
o che, con sguardo paziente, sorvegli per ore
stillare dal torchio del sidro le ultime gocce.

III
E dove, dove sono i canti della primavera?
Oh, ma non curartene, hai musica anche tu.
Mentre nubi striate fioriscono il giorno che muore 
dolcemente tingendo di rosa le stoppie 
di pianura, tra i salici del fiume i moscerini,
sollevati o lasciati cadere dal vento leggero 
quando alita o muore, s’affliggono in funebri 
lamenti, gli agnelli già adulti belano con forza 
dai colli intorno, cantano i grilli dalla siepe, 
dal recinto di un orto fischia con soavi accenti 
il pettirosso, e garrule in cielo s’adunano le rondini.

Traduzione di Francesco Dalessandro

Da Sull'indolenza e altre odi, Il Labirinto, 2010 

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