lunedì 1 ottobre 2012
Ernest Hemingway
IMMOBILE NEL LETTO...
[...]
Immobile nel letto egli si sentì sul volto le labbra della donna che lo cercava, e quindi la sua mano su di sé e le si fece contro.
«Vuoi?»
«Sì. Ora.»
«Dormivo. Ti rammenti quando facevamo all’amore nel sonno?»
«Senti, non ti fa senso il mio braccio? Non ti sembra buffo?»
«Che sciocco! Mi piace. Tutto quello che sei tu mi piace. Mettilo così. Appoggialo qua. Avanti. Mi piace, mi piace proprio.»
«È come la zampa di una tartaruga.»
«Ma tu non sei una tartaruga. È vero che quando fanno all’amore lo fanno per tre giorni di fila?»
«Sì, senti, sta’ calma. Sveglierai le ragazze.»
«Non sanno che cosa possiedo io. Non sapranno mai quello che possiedo io. Ah, Harry. Ecco, così. Ah, tesoro caro.»
«Aspetta.»
«Non voglio aspettare affatto. Avanti. Ecco, così. Ecco, là. Senti, sei mai stato a letto con una ragazza negra?»
«Certo.»
«E che impressione ti fa?»
«D’accarezzare un pescespada.»
«Che ridicolo! Harry, vorrei tanto che tu non dovessi partire. Che tu non dovessi mai partire. Con chi hai goduto di più?»
«Con te.»
«Bugiardo. Sei sempre bugiardo tu con me. Ecco, così, così. Così. Così.»
«No. Tu sei la meglio.»
«Sono vecchia.»
«Tu non sarai mai vecchia.»
«Ho avuto quella cosa.»
«Non ha nessuna importanza quando una donna è proprio donna.»
«Spingi. Spingi ora. Metti là il moncherino. Tienilo là. Tienilo, ora. Tienilo.»
«Stiamo facendo troppo rumore.»
«Parliamo sottovoce.»
«Devo esser fuori di casa prima dell’alba.»
«Dormi. Ti sveglierò io. Quando ritornerai ci divertiremo. Andremo in un albergo di Miami come facevamo una volta. Proprio come facevamo una volta. In un posto dove non ci abbiano mai visto. Perché non andremo a New Orleans?»
«Forse» disse Harry. «Senti, Marie, bisogna che dorma, ora.»
«Dormi. Tu sei il mio grande tesoro. Su, dormi. Ti sveglierò io. Non ti preoccupare.»
Egli si addormentò col moncherino del suo braccio abbandonato sul guanciale ed ella restò coricata lungamente a guardarlo. Gli vedeva il volto alla luce del lampione dalla finestra. “Sono fortunata”, pensava. “Quelle ragazze, non sanno che cosa avranno. Io so quello che ho e quello che ho avuto. Sono stata una donna fortunata. E lui che si crede una tartaruga. Meglio che sia stato un braccio anzi che una gamba. Non mi piacerebbe senza una gamba. Ma perché doveva perdere quel braccio? Eppure è strano, non ci faccio caso. Tutto di lui mi piace. Sono stata una donna fortunata. Non c’è un altro uomo così. Chi non li ha provati uomini simili non può sapere. Io ne ho avuti parecchi. Sono stata fortunata ad avere lui. Credi che quelle tartarughe provino quello che proviamo noi? Credi che possano godere così per tre giorni? O pensi che la femmina ne soffra? Che razza di cose mi passano per la testa. Guardalo, che dorme come un bambino. Sarà meglio ch’io resti sveglia per chiamarlo. Cristo potrei fare all’amore tutta la notte, se ci fosse un uomo tanto resistente. Mi piacerebbe fare all’amore senza mai dormire. Mai, mai, no, mai. Mai, mai, mai. Ma guarda un po’, alla mia età. Eppure non sono vecchia. Ha detto che sono ancora buona. Quarantacinque anni non è esser vecchia. Ne ho due più di lui. Guardalo mentre dorme. Guardalo, sembra proprio un bambino”.
[...]
da Avere e non avere, cap. XII, Oscar Mondadori, 1970
Questa non è una poesia, nella forma, è chiaro; ma, come scrisse Emilio Cecchi nell’ottobre 1945, recensendo la prima edizione italiana del libro, a proposito di questo brano, “se cotesta non è grande poesia, vorrei sapere chi oggi abbia saputo scriverne”.
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