PIANISSIMO, Prima parte, 4
Esco dalla lussuria.
M’incammino
pei lastrici sonori nella
notte.
Non ho rimorso e turbamento.
Sono
solo tranquillo immensamente.
Pure
qualche cosa è cambiato in me,
qualcosa
fuori di me.
Ché la città mi pare
sia fatta immensamente vasta e
vuota,
una città di pietra che nessuno
abiti, dove la Necessità
sola conduca i carri e suoni
l’ore.
A queste vie simmetriche e
deserte
a queste case mute sono simile.
Partecipo alla loro
indifferenza,
alla loro immobilità.
Mi pare
d’esser sordo ed opaco come loro,
d’esser fatto di pietra come
loro.
Ché il mio padre e la mia
sorella sono
lontani, come morti da tanti
anni,
come sepolti già nella memoria.
Il nome dell’amico è un nome
vano.
Tra me e loro s’è interposto il
mio
peccato come immobile macigno.
E se sapessi che il mio padre è
morto,
al qual pensando mi piangeva il
cuore
di essere lontano ora che i
giorni
della vita comune son contati,
se mi dicesser che il mio padre
è morto,
sento bene che adesso non
potrei
piangere.
Son come posto fuori della
vita,
una macchima io stesso che
obbedisce,
come il carro e la strada
necessario.
Ma non riesco a dolermene.
Cammino
pei lastrici sonori della
notte.
Da Pianissimo, Marsilio,
2001
leggere le poesie di Sbarbaro è sempre un occasione di riflessione sulle ragioni della vita e sull'innocenza perduta.
RispondiEliminaGrazie Francesco per la frequenza con cui proponi questo grande poeta del 900. Sarebbe meritevole parlarne spesso anche altrove, per portare la sua flottiglia di navicelle poetiche ad una oceanica conoscenza.
Un caro saluto
Francesco