QUANDO NOI CON
SAFFO
« … vicino
all’acqua gelida
il vento suona tra
i rami
del melo, e dalle
foglie tremanti
il sonno si versa…
»
Siamo qui, in un
frutteto incolto,
pieno d’api d’un
podere in rovina
del New England,
distesi
con l’estate fra i
capelli e l’odore
dell’estate sui
nostri corpi uniti,
l’estate nelle
bocche, l’estate
nei frammenti
luminosi di parole
di questa greca
morta.
Smetti di leggere.
Piegati.
Dammi la bocca.
Eguaglia,
la tua grazia, la
bellezza del sonno.
Mi vieni incontro
come un’onda
che si muove nel sonno.
Il tuo corpo
s’espande nel mio
cervello
come un’estate
piena di uccelli;
non come corpo o
cosa a sé stante
ma come nembo che
incombe
su ogni altra cosa
al mondo.
Appoggiati a me.
Sei bella,
bella come la
piega
delle tue mani nel
sonno.
Siamo invecchiati,
nel pomeriggio.
Qui, nel nostro
frutteto adesso abbiamo
l’età di Saffo,
ovunque sopra mari
lontani la sua
polvere sfavilli
e sparsa lampeggi
sulla cresta
delle onde o
macchi la conchiglia
del murice.
Intorno a noi
la vecchia fattoria
sprofonda
nel miele del caos
estivo.
In quelle isole
lontane i templi
sono stati
abbandonati e il marmo
è color miele
selvatico.
Non resta nulla
dei giardini
che un tempo li
circondavano, delle
grasse zolle
segnate dagli zoccoli.
Solo erba di mare
resiste
sulla pietra
sgretolata,
sui gradini
scheggiati,
solo il blu e il
giallo
del mare, e in
lontananza
gli scogli rossi
oltre la baia.
Piegati indietro.
Ora, la sua
memoria è sulle nostre
labbra. Attraverso
il caos estivo i baci
ci cadono sul
petto, sulle cosce.
Colossali cupole
d’oro,
cumuli di nubi si
levano
sull’ondeggiante,
sibilante foresta.
L’aria preme la
terra.
Il tuono scoppia
sui monti.
Lontano, sugli
Adirondacks,
un lampo tremola,
quasi invisibile
nel cielo vivido,
violetto
contro il grigio
carico
dell’ombra di
nuvole grasse.
La fresca chioma
virile
dei temporali
spazzola
il gonfio
orizzonte. Togliti
scarpe e calze. Ti
bacerò
le dolci gambe e i
piedi
mezzo sepolti
nell’intrigo
di maleodoranti
fiori estivi.
Spogliati. Voglio
schiacciare
la tua carne
d’estivo miele
contro il suolo
caldo, e sull’erba
pesta, pungente di
mezza
estate. Lascia che
il tuo corpo
scenda come miele
tra le calde
ruvide dita
dell’estate.
Fermati. Aspetta.
Basta poco.
Baciami con la
bocca umida e aspra,
la tua bocca che
ha lo stesso sapore
della mia carne.
Leggi ancora
per me la musica
sinuosa
di quella lingua
che comprende tutte
le altre lingue ed
è un’opera d’arte.
Leggimi ancora
quelle singole,
toccanti parole
salvate
da filologi
antichi per spiegare
coniugazioni e
declinazioni
di morti ancora
più antichi.
Piegati
nell’incavo del mio corpo.
Premi le tue
spalle contuse
contro i madidi
peli del mio corpo.
Baciami ancora.
Pensa, dolce linguista,
che al mondo
l’ablativo è impossibile.
Nessun altro qui
ci aiuterà.
Dobbiamo aiutarci
reciprocamente.
Il vento
s’allontana lentamente
dalla tempesta;
vira sulle creste
boscose; fischia
nelle valli.
Qui siamo isolati,
l’un con l’altra;
e c’è isolamento
al di là
di questo
frutteto, l’isolamento
del mondo intero.
Non lasciare
che s’intrometta
mai niente
nella solitudine
di questo giorno,
di queste parole,
isolate da lingue
morte, di questo
frutteto, nascosto
ai fatti e alla
storia, di queste ombre
in armonia con la
luce estiva, tutt’insieme
isolati oltre la
reciprocità del mondo.
Non dire altro.
Non parlare.
E non rompere il
silenzio
finché l’uno
dell’altra non saremo
stanchi. Facciamo
correre le dita
come lame
d’acciaio sui contorni
dei nostri corpi
dorati. Non parlare.
Il mio viso
affonda nell’estate
invischiata dei
tuoi capelli.
Il ronzio delle
api è cessato.
La quiete cade
come una nube.
Taci. Lascia
andare il tuo corpo
nel silenzio pieno
di stupore
dell’estate
compiuta –
indietro,
indietro, all’infinito –
le nostre labbra,
deboli,
esangui per
l’immobilità.
Guarda. Il sole è
tramontato.
Ora ci sono lunghe
luci ambrate
sui tronchi
spaccati dei vecchi meli.
I nostri corpi s’avvicinano
come nel sonno;
esausti
e sazi insieme,
come l’estate
va verso l’autunno
e noi,
con Saffo,
incontro alla morte.
Le mie palpebre
sprofondano nel sonno
nel caldo autunno
dei tuoi capelli sciolti.
Il tuo corpo tra
le mie braccia
si muove sul bordo
del sonno;
e è come se
tenessi
tra le braccia il
serale
cielo estivo pieno d’uccelli.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da The complete poems of Kenneth Rexroth, Copper Canyon Press, 2003
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