DIVERGENZE
2.
Vedete
mi siedo con voi davanti al bar
mi
godo il ritorno
e
sorseggio un bicchiere di birra
vi
guardo guardarmi
a
malapena riconosco i vostri volti ben rasati
no
non dite «ben tornato aspettavamo
il
tuo ritorno che avventure
avrai
da raccontarci dopo tanto
che
non ci vediamo!» e non mi domandate
«perché
partisti? (e senza salutarci!)
dove
sei stato? in che paesi
sconosciuti
sei sbarcato? in quali case
hai
dormito e fatto l’amore? le donne
erano
belle? hai ballato?
hai
mai pensato agli amici?
perché
non hai mai scritto?
racconta!
che impressioni hanno suscitato
in
te genti mai viste? e di noi
cosa
pensano? sanno che esistiamo?
perché
taci? racconta! non vedi
con
che impazienza aspettiamo di sapere
qualcosa
che ci aiuti a andare avanti?»
(gente morta che ancora passeggia per il mondo)
io
non sono il viaggiatore ritornato
dai confini del mondo
(occhi morti
che non vedono
più in là
d’un naso
arricciato dal disgusto)
non
ho niente da dire
io non
vidi che mare
(dopotutto non fui nemmeno curioso come altri)
conobbi
solo la frusta del vento
e
il fresco d’una fiasca d’acqua
non
feci l’amore
nessuna
donna mi baciò né amò …
mi
masturbai pensando alle puttane
che
spiavo dalla finestra quand’ero più ragazzo
altre
volte tra le pieghe dell’insonnia s’insinuò
la
disperata immagine di lei
la
vecchia ragazza indaffarata
con i clienti e le riviste ammucchiate
vicino alle tazzine da caffè –
la
pioggia cadenzata contro i vetri
il
guaire d’un randagio nella strada sottostante
l’orma
del vento
sui gerani sfioriti del giardino
queste
ed altre ragioni mi convinsero a partire
occhi freddi o carezze più distratte…
tutto
questo mi convinse, tutto questo, e il disamore
ma non vidi che mare
di
cosa avrei dovuto mai informarvi?
fu
in un’alba rigata di condanna
nel
tripudio di bandiere al vento
ci chiamarono ARGONAUTI
partimmo
senza meta
col
miraggio di facili guadagni
ma
una voce sussurrò al nostro cuore
parole
che non volemmo ascoltare
«nessun
paese sconosciuto da esplorare
né
strane e nuove genti da convertire
cerchiamo
nessun’ america da inventare
niente
di tutto questo
VEDER CHIARO
LA
RAGIONE LA VITA!
esiste
il mondo? esiste
il
tempo, la realtà? o la vita è solo
mutevole
apparenza che c’inganna?
quale
mistero quale destino
quale
dio quale amore»
navigammo
senza sosta mesi interi
direzione ovest sud-ovest
ma
non vedemmo che mare interminabile lenzuolo
cupoverde
dove il tempo non passava …
NON
C’E’ RAGIONE
NON
C’E’ NEPPURE VITA
soltanto
lo scirocco
che
confonde
e
lame al neon che tagliano le strade
e
questo, tutto questo rumore
che
ci uccide!
…
vi
dirò tutto ma le ombre
degli
amici morti
le
ombre dei compagni
che
non hanno fatto più ritorno
di
quelli che la morte colse impreparati
e
che neppure ebbero tempo di trovare
i
pochi spiccioli con cui
pagare
il biglietto sulla barca di Caronte
le
ombre di coloro che neanche da morti sono giunti
dove
Acheronte separa dolore da ignoranza
anch’esse
sono qui presenti
le
vedo ad una ad una sedute fianco a fianco
rimproverarmi
con sguardo corrucciato
di
fare dei morti una ragione di vita
quando
solo per un caso fortunato
mi
è permesso di narrarvi
queste
cose di nessun conto
(segue)
Nota. Questo poemetto in tre parti uscì sul Quaderno n. 5 di “Discorso diretto” del 1983; era stato scritto nel decennio precedente e ritoccato in occasione della pubblicazione: risale dunque alla mia giovinezza, reale e poetica.
Avendolo letto e apprezzato, un’amica e brava poetessa mi ha chiesto di recente perché non lo ripubblicassi. Ho deciso di accontentarla, facendolo qui, durante questa settimana.