La
poesia che segue, La
doccia, composta da una serie di tre sonetti (in qualche punto certo
audaci, ma mi auguro che nessuno se ne dispiaccia), è tratta dai
Sonetti
del nostro adulterio
di Domenico Ludovici. Alla fine della stessa, i lettori di questo
blog troveranno, eccezionalmente, una lunga notizia. Se avranno la
pazienza di leggerla, conosceranno una vicenda perlomeno curiosa e
apprenderanno qualcosa sull’identità dell’autore oggi ospitato.
LA
DOCCIA
I
quando
tua madre ha detto «sta facendo
la
doccia» m’è venuto in mente Giove
che
trasformato in pioggia d’oro piove
su
Danae e la possiede ma salendo
a
tempi più vicini trasvolando
millenni
di realtà e di desideri
mi
sono ricordato alcuni versi
di
una bella canzone e canticchiando
«vorrei
essere l’acqua della doccia
che
fai» ho immaginato di colarti
sui
capelli sul viso sulle braccia
di
scivolare dalle spalle ai seni
e
di scendere lento – fino a darti
un
brivido – sul ventre e sulle reni
II
avvolgendoti
tutta ho sospirato
di
scenderti impaziente sulle anche
aguzze
e brune sulle membra stanche
da
me rigenerate ed arrivato
nell’incavo
delle tue cosce bianche
penetrare
freschissimo nel fuoco
della
tua fica, amore, e poco a poco
evaporare
goccia a goccia «anche
se
vuol dire morirne avrò raggiunto
lo
scopo della vita: morirò
senza
rimpianti» mi son detto giunto
a
quella conclusione – ma anche altro
dopo
l’acqua ho capito che potrò
essere
per avvolgerti: cos’altro?
III
sarò
l’accappatoio che ti avvolge
soffice
la sua spugna colorata
morbido
stringerò la carne amata
e
asciugandola forse certe voglie
appagherò
perché ti terrò stretta
sui
seni e intorno ai fianchi sulle spalle
forti
sulle anche aguzze sulla pelle
sentirò
la tua febbre: schiena eretta
gambe
robuste braccia forti ventre
languido
t’avrò tutta finché quando
mi
lascerai per terra indifferente
sarò
il lenzuolo che stropiccerai
dormendo
inquieta o forse rigirandoti
insonne
e insoddisfatta perché avrai
voglia
di me che non dormo sognandoti
(inedita)
NOTIZIA
Già
il 21 ottobre dell’anno scorso, avevo pubblicato una serie di tre
sonetti, intitolata Compianto,
aggiungendovi una breve nota esplicativa sull’autore, che qui non
ripeto (e più sotto se ne comprenderà il perché).
Qualche
giorno fa, ho ricevuto un lungo commento a quel post da parte
dell’autore della poesia. La cosa mi ha incuriosito e
immediatamente sorpreso: il perché ognuno potrà intuirlo
leggendolo, qui sotto. Infatti, mi è sembrato giusto non lasciarlo
solo a margine di quella vecchia pagina e dunque di riproporlo ai
lettori di “Poesie senza pari”. Ho perciò deciso di
ripubblicarlo qui (tagliandone solo le righe finali che molto
gratificano me e la mia poesia, ma poco interesserebbero ai lettori),
di seguito alla poesia. Prima, però, devo a Ludovici una spiegazione
sul come, grazie a Severino Fonte, scomparso di recente, conobbi il
suo dattiloscritto.
Severino,
fra le molte cose cui si dedicava, era consulente e lettore per una
piccola casa editrice e in quella veste, diversi anni fa, ebbe tra le
mani il dattiloscritto del libro di Ludovici, Sonetti
del nostro adulterio.
Ecco quel che mi scrisse, spedendomi il dattiloscritto: «Domenico
Ludovici è uno pseudonimo. Era il nome di un erudito gesuita
d’inizio Settecento (mai sentito? pare fosse un tuo compaesano),
del quale si può leggere ne Le
vite degli illustri aquilani di
Alfonso Dragonetti; scrisse anche carmi in latino a imitazione di
Tibullo, nei quali però, commenta Dragonetti, “indarno vi
cercherete la dolce anima e l’ardente affetto del cantore di
Delia”). Nessuno conosce la sua vera identità. L’editore è
convinto che sia uno stimato professionista (avvocato? notaio?)
operante fra l’Aquila e Roma. Il mio parere è stato favorevole
alla pubblicazione (suggerendo solo di modificare il titolo),
nonostante il linguaggio piuttosto spinto, al limite della
pornografia, se non fosse riscattato dalla delicatezza del tono e
dalla sincerità della passione; ma l’editore all’ultimo momento
ha avuto paura. Leggi un po’ tu e dimmi che ne pensi. P.S.: ho
cercato di rintracciare l’autore, scrivendo alla casella postale
che c’era sul dattiloscritto, ma la lettera m’è tornata
indietro». Lessi, e restai un po’ sconcertato anch’io dalla
crudezza del linguaggio, ma anche affascinato, perché le poesie mi
sembrarono delicate, addirittura tenere e forse anche ingenue, a
momenti. Glielo scrissi e la cosa finì lì. Dopo la sua scomparsa,
quel dattiloscritto mi è tornato tra le mani e l’ho riletto.
Rimuginando sulla stranezza della vicenda, ho cominciato a chiedermi
se non fosse possibile che sotto lo pseudonimo di Domenico Ludovici
si celasse il mio amico stesso; cosa davvero sorprendente, perché –
non l’ho ancora detto – Severino Fonte era un sacerdote, ma
troppe erano le coincidenze: lo pseudonimo, lo strano riferimento al
gesuita del Sei-Settecento venuto fuori non si sa come, la casella
postale non più attiva... Comunque, decisi di scegliere una poesia e
di pubblicarla, come omaggio al mio amico. Il libro, come dice il
titolo, è un breve canzoniere d’amore (rifacimento novecentesco di
un qualunque petrarchista del Cinquecento, o moderno e più attuale
riferimento ai bei sonetti di Berryman?) su un adulterio e termina
con la morte prematura della donna che lo ispirò. Evitando le poesie
più esplicite, scelsi l’ultima, un Compianto
sulla scomparsa della donna, e la misi sul blog il 21 ottobre
dell’anno scorso. Aggiunsi una nota che riproduce quasi alla
lettera il biglietto del mio amico, precisando che pubblicavo senza
l’autorizzazione dell’autore perché impossibilitato a
contattarlo. Questa è la storia. Perciò immaginatevi la mia
sospresa leggendo il commento al post. In un colpo solo ho scoperto
che Severino aveva torto a pensare – chissà? forse immaginando che
l’autore non si sarebbe esposto a un riconoscimento, data la
materia – che Domenico Ludovici fosse uno pseudonimo, che perciò
quel gesuita non c’entrava niente; e che avevo torto anch’io a
credere la storia una bella invenzione dello stesso Severino. Ma ecco
ora il commento di Ludovici.
«
Solo da poco, per una serie di (fortunate) circostanze, ho scoperto
l’esistenza di questo blog e del particolare che una mia poesia vi
era pubblicata. Ho letto divertito la nota che l’accompagna.
Divertito perché essa, almeno per la prima metà, è assolutamente
priva di fontamento. Tuttavia, essendo stata scritta assolutamente in
buona fede, merita una spiegazione.
La
convinzione del curatore del blog che il mio nome, Domenico Ludovici,
sia uno pseudonimo, si deve – in assoluta buona fede, ma non senza
supponenza – a Severino Fonte. Immagino che nascesse dal fatto che,
nelle poche righe con le quali accompagnavo il dattiloscritto dei
miei Sonetti
del nostro adulterio
(titolo che ritenevo assolutamente provvisorio), ormai più di venti
anni fa, manifestavo l’intenzione di pubblicarlo sotto pseudonimo,
per preservare la privacy dei protagonisti (cosa ormai non più
necessaria). Firmavo, però, col mio vero nome. Evidentemente, Fonte
e l’editore stesso fraintesero, pensando che quello fosse già lo
pseudonimo. Nessuno dei due credette necessario accertare
quell’identità (sarebbe bastato davvero poco: vivo all’Aquila da
sempre – ma sarebbe più giusto dire: vivevo, perché il terremoto
mi ha lasciato ormai senza casa e senza le cose che vi erano
raccolte; prime fra tutte, i libri – esercitando, ancora per poco,
l’avvocatura e occupandomi sporadicamente di politica); quando poi
la pubblicazione fu rifiutata, la cosa divenne superflua. Ma Severino
Fonte si ricordò di quel gesuita d’inizio Settecento (invero, un
antenato della mia famiglia) e, sembrandogli d’aver scoperto
l’origine dello pseudonimo, ne informò Francesco Dalessandro
inviandogli il dattiloscritto, stimato degno di lettura. Questo lo
scopro ora, perché, per la verità, avevo sempre creduto che la
bocciatura fosse dovuta anche a lui (oltre che letterato acuto e
attento, il Fonte era prima di tutto un sacerdote), mentre fu solo
l’editore (adesso è certo) a ritrarsi spaventato. Sebbene troppo
in ritardo perché possa riceverle, porgo al Fonte le mie scuse,
lusingato che ritenesse il libro degna opera di poesia, e ancor più
lusingato che lo stesso giudizio sia stato espresso, implicitamente,
da Dalessandro. [...] ». Domenico Ludovici