SI COSTRUISCONO ZATTERE
Si costruiscono zattere anche
per non salvarsi, per non
raggiungere approdi ma
perderli, e lo si fa
intenti, odiandosi quasi
serenamente, sapendo che
Penelope non aspetta
al di là del mare,
e nient'altro
che mare
c'è.
da Tutte le poesie, Europa Edizioni, 2019
venerdì 29 novembre 2019
mercoledì 27 novembre 2019
Maria Grazia Bragalone
PENELOPE
C'è sempre una Penelope che disfa una tela
e prende tempo, e perde tempo,
ogni notte, per non finirla mai,
per dire mai: è finita.
L'attesa sa che fa vivere lui nel suo viaggio,
lo sa e il suo sentire, Penelope bella e assediata,
lui stanco per l'avventuroso viaggio
spasima le braccia calde e sicure.
da Io come Penelope, Europa Edizioni, 2019
C'è sempre una Penelope che disfa una tela
e prende tempo, e perde tempo,
ogni notte, per non finirla mai,
per dire mai: è finita.
L'attesa sa che fa vivere lui nel suo viaggio,
lo sa e il suo sentire, Penelope bella e assediata,
lui stanco per l'avventuroso viaggio
spasima le braccia calde e sicure.
da Io come Penelope, Europa Edizioni, 2019
lunedì 25 novembre 2019
Giorgio Luzzi
EXIT CATULLUS
Exit Catullus, proprio lui che
chiamava forte per un dito di falerno
d'annata nero e triste.
Non per la pia Postumia, che era una semplice oca
di casa, un lavandino un acino teso.
Né per la lieve Lesbia che i talloni
in certi giochi alzava su al luogo della gola.
Ma per certi pedanti, per non chiari poteri,
per la noia e la rabbia fatte morte,
lui lontano da Roma, e tutto in Roma quel
bisbigliare, tradurre
i segnali in sinistri sguardi d'angolo, tradire
ricambiare sempliciter: gli infiniti dei vivi.
da Da che mondo. Poesie 1976-2016, Sedizioni, 2017
Exit Catullus, proprio lui che
chiamava forte per un dito di falerno
d'annata nero e triste.
Non per la pia Postumia, che era una semplice oca
di casa, un lavandino un acino teso.
Né per la lieve Lesbia che i talloni
in certi giochi alzava su al luogo della gola.
Ma per certi pedanti, per non chiari poteri,
per la noia e la rabbia fatte morte,
lui lontano da Roma, e tutto in Roma quel
bisbigliare, tradurre
i segnali in sinistri sguardi d'angolo, tradire
ricambiare sempliciter: gli infiniti dei vivi.
da Da che mondo. Poesie 1976-2016, Sedizioni, 2017
venerdì 22 novembre 2019
Giacomo Leopardi
AD
ANGELO MAI
QUAND’EBBE
TROVATO I LIBRI
DI
CICERONE DELLA REPUBBLICA
Italo
ardito, a che giammai non posi
Di
svegliar dalle tombe
I
nostri padri? ed a parlar gli meni
A
questo secol morto, al quale incombe
Tanta
nebbia di tedio? E come or vieni
Sì
forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
Voce
antica de’ nostri,
Muta
sì lunga etade? e perché tanti
Risorgimenti?
In un balen feconde
Venner
le carte; alla stagion presente
I
polverosi chiostri
Serbaro
occulti i generosi e santi
Detti
degli avi. E che valor t’infonde,
Italo
egregio, il fato? O con l’umano
Valor
forse contrasta il fato invano?
Certo
senza de’ numi alto consiglio
Non
è ch’ove più lento
E
grave è il nostro disperato obblio,
A
percoter ne rieda ogni momento
Novo
grido de’ padri. Ancora è pio
Dunque
all’Italia il cielo; anco si cura
Di
noi qualche immortale:
Ch’essendo
questa o nessun’altra poi
L’ora
da ripor mano alla virtude
Rugginosa
dell’itala natura,
Veggiam
che tanto e tale
È
il clamor de’ sepolti, e che gli eroi
Dimenticati
il suol quasi dischiude,
A
ricercar s’a questa età sì tarda
Anco
ti giovi, o patria, esser codarda.
Di
noi serbate, o gloriosi, ancora
Qualche
speranza? in tutto
Non
siam periti? A voi forse il futuro
Conoscer
non si toglie. Io son distrutto
Né
schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
M’è
l’avvenire, e tutto quanto io scerno
È
tal che sogno e fola
Fa
parer la speranza. Anime prodi,
Ai
tetti vostri inonorata, immonda
Plebe
successe; al vostro sangue è scherno
E
d’opra e di parola
Ogni
valor; di vostre eterne lodi
Né
rossor più né invidia; ozio circonda
I
monumenti vostri; e di viltade
Siam
fatti esempio alla futura etade.
Bennato
ingegno, or quando altrui non cale
De’
nostri alti parenti,
A
te ne caglia, a te cui fato aspira
Benigno
sì che per tua man presenti
Paion
que’ giorni allor che dalla dira
Obblivione
antica ergean la chioma,
Con
gli studi sepolti,
I
vetusti divini, a cui natura
Parlò
senza svelarsi, onde i riposi
Magnanimi
allegràr d’Atene e Roma.
Oh
tempi, oh tempi avvolti
In
sonno eterno! Allora anco immatura
La
ruina d’Italia, anco sdegnosi
Eravam
d’ozio turpe, e l’aura a volo
Più
faville rapia da questo suolo.
Eran
calde le tue ceneri sante,
Non
domito nemico
Della
fortuna, al cui sdegno e dolore
Fu
più l’averno che la terra amico.
L’averno:
e qual non è parte migliore
Di
questa nostra? E le tue dolci corde
Susurravano
ancora
Dal
tocco di tua destra, o sfortunato
Amante.
Ahi dal dolor comincia e nasce
L’italo
canto. E pur men grava e morde
Il
mal che n’addolora
Del
tedio che n’affoga. Oh te beato,
A
cui fu vita il pianto! A noi le fasce
Cinse
il fastidio; a noi presso la culla
Immoto
siede, e su la tomba, il nulla.
Ma
tua vita era allor con gli astri e il mare,
Ligure
ardita prole,
Quand’oltre
alle colonne, ed oltre ai liti
Cui
strider l’onde all’attuffar del sole
Parve
udir su la sera, agl’infiniti
Flutti
commesso, ritrovasti il raggio
Del
Sol caduto, e il giorno
Che
nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo;
E
rotto di natura ogni contrasto,
Ignota
immensa terra al tuo viaggio
Fu
gloria, e del ritorno
Ai
rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
Non
cresce, anzi si scema, e assai più vasto
L’etra
sonante e l’alma terra e il mare
Al
fanciullin, che non al saggio, appare.
Nostri
sogni leggiadri ove son giti
Dell’ignoto
ricetto
D’ignoti
abitatori, o del diurno
Degli
astri albergo, e del rimoto letto
Della
giovane Aurora, e del notturno
Occulto
sonno del maggior pianeta?
Ecco
svaniro a un punto,
E
figurato è il mondo in breve carta;
Ecco
tutto è simìle, e discoprendo,
Solo
il nulla s’accresce. A noi ti vieta
Il
vero appena è giunto,
O
caro immaginar; da te s’apparta
Nostra
mente in eterno; allo stupendo
Poter
tuo primo ne sottraggon gli anni;
E
il conforto perì de’ nostri affanni.
Nascevi
ai dolci sogni intanto, e il primo
Sole
splendeati in vista,
Cantor
vago dell’arme e degli amori,
Che
in età della nostra assai men trista
Empièr
la vita di felici errori:
Nova
speme d’Italia. O torri, o celle,
O
donne, o cavalieri,
O
giardini, o palagi! a voi pensando,
In
mille vane amenità si perde
La
mente mia. Di vanità, di belle
Fole
e strani pensieri
Si
componea l’umana vita: in bando
Li
cacciammo: or che resta? or poi che il verde
È
spogliato alle cose? Il certo e solo
Veder
che tutto è vano altro che il duolo.
O
Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa
Tua
mente allora, il pianto
A
te, non altro, preparava il cielo.
Oh
misero Torquato! il dolce canto
Non
valse a consolarti o a sciorre il gelo
Onde
l’alma t’avean, ch’era sì calda,
Cinta
l’odio e l’immondo
Livor
privato e de’ tiranni. Amore,
Amor,
di nostra vita ultimo inganno,
T’abbandonava.
Ombra reale e salda
Ti
parve il nulla, e il mondo
Inabitata
piaggia. Al tardo onore
Non
sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L’ora
estrema ti fu. Morte domanda
Chi
nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
Torna
torna fra noi, sorgi dal muto
E
sconsolato avello,
Se
d’angoscia sei vago, o miserando
Esemplo
di sciagura. Assai da quello
Che
ti parve sì mesto e sì nefando,
È
peggiorato il viver nostro. O caro,
Chi
ti compiangeria,
Se,
fuor che di se stesso, altri non cura?
Chi
stolto non direbbe il tuo mortale
Affanno
anche oggidì se il grande e il raro
Ha
nome di follia;
Né
livor più, ma ben di lui più dura
La
noncuranza avviene ai sommi? o quale,
Se
più de’ carmi, il computar s’ascolta,
Ti
appresterebbe il lauro un’altra volta?
Da
te fino a quest’ora uom non è sorto,
O
sventurato ingegno,
Pari
all’italo nome, altro ch’un solo,
Solo
di sua codarda etate indegno
Allobrogo
feroce, a cui dal polo
Maschia
virtù, non già da questa mia
Stanca
ed arida terra,
Venne
nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando
ardimento) in su la scena
Mosse
guerra a’ tiranni: almen si dia
Questa
misera guerra
E
questo vano campo all’ire inferme
Del
mondo. Ei primo e sol dentro all’arena
Scese,
e nullo il seguì, che l’ozio e il brutto
Silenzio
or preme ai nostri innanzi a tutto.
Disdegnando
e fremendo, immacolata
Trasse
la vita intera,
E
morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio
mio, questa per te non era
Età
né suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene
agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi
viviamo, e scorti
Da
mediocrità: sceso il sapiente
E
salita è la turba a un sol confine,
Che
il mondo agguaglia. O scopritor famoso,
Segui;
risveglia i morti,
Poi
che dormono i vivi; arma le spente
Lingue
de’ prischi eroi; tanto che in fine
Questo
secol di fango o vita agogni
E
sorga ad atti illustri, o si vergogni.
mercoledì 20 novembre 2019
Franco Fortini
ITALIA 1977-1983
Hanno portato le tempie
al colpo di martello
la vena all'ago
la mente al niente.
Per le nostre vie
ancora rispondevano
a pugno sugli elmetti.
O imparavano nelle cantine
come il polso può resistere
allo scatto
dello sparo.
Compagni.
Non andate così.
Ma voi senza parlare
mi rispondete: "Non ricordi
quel ragazzo sfregiato
la sera dell'undici marzo 1971
che correva gridando
'Cercate di capire
questa sera ci ammazzano
cercate di
capire!'
La gente alle finestre
applaudiva la polizia
e urlava 'Ammazzateli tutti!'
Non ti ricordi?"
Sì, mi ricordo.
da Tutte le poesie, Oscar Mondadori, 2014
Hanno portato le tempie
al colpo di martello
la vena all'ago
la mente al niente.
Per le nostre vie
ancora rispondevano
a pugno sugli elmetti.
O imparavano nelle cantine
come il polso può resistere
allo scatto
dello sparo.
Compagni.
Non andate così.
Ma voi senza parlare
mi rispondete: "Non ricordi
quel ragazzo sfregiato
la sera dell'undici marzo 1971
che correva gridando
'Cercate di capire
questa sera ci ammazzano
cercate di
capire!'
La gente alle finestre
applaudiva la polizia
e urlava 'Ammazzateli tutti!'
Non ti ricordi?"
Sì, mi ricordo.
da Tutte le poesie, Oscar Mondadori, 2014
lunedì 18 novembre 2019
Marco Giovenale
IL DRAMMA NIENTE BAROCCO
Il dramma niente barocco
è a Roma, sfiamma
"il laghetto Borghese all'aurora", appena
siglato da un'acca di piccole
scialuppe scettiche
al verde d'acqua - flotta
cauta che non aspira a lati
- almeno riflessi -
di cose qualsiasi - volute con lotta
da Altre ombre, La camera verde, 2004
Il dramma niente barocco
è a Roma, sfiamma
"il laghetto Borghese all'aurora", appena
siglato da un'acca di piccole
scialuppe scettiche
al verde d'acqua - flotta
cauta che non aspira a lati
- almeno riflessi -
di cose qualsiasi - volute con lotta
da Altre ombre, La camera verde, 2004
venerdì 15 novembre 2019
Giovanni Giudici
PANCIA
Pancia - sulla quale
poso la guancia
Tuo tepore
al mio timore
Pancia - della quale
la pelle è bianca
Tuo lievito
al mio tremito
Pancia - nella quale
penetra la lancia
Tua ferita
della mia vita
Pancia - per la quale
va la sostanza
Letto di piume
al mio fiume
Pancia - dalla quale
cresce la ghirlanda
Tuo buio dentro
e mio rosso centro
Pancia - alla quale
ogni angoscia sale
Tuo asilo
al mio respiro
Pancia - con la quale
mi sei bilancia
Tu giusta sorte
della mia morte
Pancia piena di merda
Pancia piena di dolore
Pancia dalla lunga cicatrice
Pancia della mia madre e della beatrice
da Poesie scelte (1957-1974), Oscar Mondadori Poesia, 1975
Pancia - sulla quale
poso la guancia
Tuo tepore
al mio timore
Pancia - della quale
la pelle è bianca
Tuo lievito
al mio tremito
Pancia - nella quale
penetra la lancia
Tua ferita
della mia vita
Pancia - per la quale
va la sostanza
Letto di piume
al mio fiume
Pancia - dalla quale
cresce la ghirlanda
Tuo buio dentro
e mio rosso centro
Pancia - alla quale
ogni angoscia sale
Tuo asilo
al mio respiro
Pancia - con la quale
mi sei bilancia
Tu giusta sorte
della mia morte
Pancia piena di merda
Pancia piena di dolore
Pancia dalla lunga cicatrice
Pancia della mia madre e della beatrice
da Poesie scelte (1957-1974), Oscar Mondadori Poesia, 1975
mercoledì 13 novembre 2019
Domenico Ludovici
DA UNA PROVINCIA
MERIDIONALE DELL’IMPERO
Essi e i cerbiatti, essi e gli aironi azzurri
vivevano in quel mondo di delizie.
Poi
vennero da altri mondi e dal mare uomini d’ingiurie. Miguel Angel Asturias
I
- La guerra
e non la pace
è la norma
che regola le relazioni
internazionali
…
La distensione è
la morte
…
Gli Usa
devono
prendere l’iniziativa
o perire
…
Siamo quasi
alla vigilia della
terza guerra mondiale
…
L’America Latina
come l’Europa occidentale
e il Giappone fa parte
delle basi del potere
degli Usa. Non si può
accettare la perdita
di nessuna
delle basi del potere
degli Usa in America
Latina Europa e
Pacifico occidentale
se gli Usa vogliono
mantenere
un’adeguata forza
preponderante
… -
Sono alcuni punti
del documento elaborato
dal cosiddetto
Comitato di Santa Fé
per conto di
Ronald Reagan
alla vigilia della sua
elezione a presidente.
II
Parla Rufina Alaya di El Mozote,
la sposa di Domingo Claro
(era cieco, ma lo uccisero lo stesso),
sopravvissuta alla strage:
“Venerdì alle cinque del mattino
arrivarono i soldati e
cominciarono a far uscire
la gente di casa.
Ci allinearono sulla piazzetta
e ci lasciarono lì
diverso tempo. I bambini
erano nudi,
avevano freddo.
Li portarono in una casa,
dove li rinchiusero.
Gli uomini li rinchiusero in chiesa
e noi donne
nella casa di Alfredo Marquez. A
mezzogiorno uccisero gli uomini.
Alle due portarono le ragazze
su una collinetta
e le violentarono fino alle sei
del mattino dopo.
Poi le uccisero e
le bruciarono. Io
mi salvai
perché mentre ci portavano via
riuscii a nascondermi dietro
un grosso albero. Restai
rannicchiata a lungo. Così vidi
quando uccisero le donne.
Vidi tutto.
Fino a quando finirono di ucciderle
e le bruciarono. Poi
vicino a dov’ero
nascosta si sedettero dei soldati
che parlavano tra loro. Dicevano
che li comandava il tenente Ortega
e che avrebbero impiccato
e
decapitato i bambini. E
lo fecero davvero. Li
impiccarono e
decapitarono.
Non ci furono spari.
I bambini piangevano e gridavano. Anche
i miei quattro figli…”
III
Alcune donne del campo rifugiati
di San José de la Montaña raccontano:
“Vengo da San Vicente.
Sei mesi fa mio marito
fu ucciso. Io dovetti scappare
coi bambini. Le truppe
non risparmiavano nessuno.
Hanno staccato le teste
a cinque bambini
di una stessa famiglia. E poi le
hanno lasciate sulla tavola, in
mostra. Sono fuggita
coi miei figli sotto la pioggia.
Non avevamo da mangiare
né da vestirci. Siamo venuti
qui. Anche qui però
mancano i vestiti,
le coperte, una casa.
Tutto quello che avevamo è stato
distrutto. I soldati hanno bruciato
tutto…”
“Arrivarono e
diedero fuoco
alle nostre case.
Ammazzarono tutti quelli
che trovarono. Vidi coi miei occhi
uccidere un ragazzino
e una ragazza. Alla ragazza
tagliarono anche il seno.
Scappammo così come eravamo
senza sapere niente
l’uno dell’altro. Alcuni parenti
li vedemmo morire. Di altri
non sappiamo più niente. Neppure
se sono vivi…”
“Mi hanno strappata via da casa.
L’hanno bruciata e
mi hanno ucciso i genitori.
Io sono riuscita a
rifugiarmi
in chiesa. Insieme ad altra gente
del paese. Poi hanno arrestato
gli uomini. Li hanno portati
in piazza. Gli hanno staccato
la testa con un colpo di machete.
Volevamo seppellirli, ma
non ci è stato possibile.
Siamo dovuti scappare. Altrimenti
uccidevano anche noi…”
“Non possiamo uscire di qui
perché rischiamo
di venire ammazzati.
Continuano a dirci
che vogliono farla finita
con noi
una volta per tutte.
Ci minacciano ogni giorno. Io
sono qui da tanto tempo.
Siamo stati tra i primi
a venire in questo campo…”
“Sono scappata
dal mio paese perché erano arrivati
alcuni agenti a minacciarci.
Dicevano che
ci avrebbero uccisi
perché le spie di ‘Orden’
avevano detto
che eravamo sovversivi.
Pochi giorni dopo
tornarono le guardie
ma per fortuna
non eravamo in casa.
Quel giorno la Guardia Nazionale
e quelli di ‘Orden’
andarono a casa di una contadina
che era incinta di otto mesi
e la uccisero.
Prima la violentarono
tutti. Poi
le tagliarono la testa
con un colpo di machete. Poi
sempre col machete
le tagliarono il ventre
e le strapparono la creatura. E
la gettarono ai cani…”
La vecchia contadina che racconta
ha ancora negli occhi
gli orrori di quel giorno.
IV
“Si tratta
di faide familiari. Qui
le famiglie sono molto numerose
e le vendette coinvolgono
intere parentele”.
Dice il numero due
della Giunta, il democratico
cristiano Morales
Ehrlich con
una punta di disprezzo
per gli innumerevoli cadaveri
sfigurati rinvenuti nelle strade.
Nota
Oggi, la Siria e l’Iraq – con l’ultimo fatto di
sangue, che ha coinvolto militari italiani. Ieri, la Bosnia, il Kosovo. Ma non
solo. Andando indietro, altri luoghi, altre sofferenze dovremmo ricordare. Non
ho scritto versi sulla Bosnia o sul Kosovo, né su l’Egitto; non so se ne scriverò
mai sulla Siria. Ormai molti anni fa, un altro paese era al centro delle
cronache dei giornali: un paese molto più lontano della Bosnia, dell’ex
Jugoslavia: El Salvador. Io leggevo i resoconti delle uccisioni, della
barbarie, su un vecchio, glorioso quotidiano: Paese Sera. Un giorno mi venne voglia di esorcizzare il disagio che
quelle cronache mi mettevano dentro. Trascrissi, quasi senza aggiungere nulla,
alcune storie; diedi loro solo una forma poetica che mantenesse lo spessore e
la drammaticità presente nei resoconti degli inviati. La prima parte, i punti
del documento preliminare alla campagna elettorale di Reagan introducevano bene
i fatti di sangue, le tragedie di vite strappate, come queste fossero un
corollario a quello. Ieri la Bosnia e oggi il Medio Oriente mettono di nuovo a
nudo la nostra cattiva coscienza, smascherano la menzogna e l’ipocrisia che
ispira il comportamento dell’Occidente. È con questo spirito che pubblico
questi versi, queste “poesie trovate”: trovate nel dolore e nelle sofferenze di
gente lontana, come oggi ne possiamo trovare in quelle altre tragedie a
noi più vicine, nel tempo e nello spazio, alle soglie di casa nostra.
lunedì 11 novembre 2019
Rita Iacomino
SOPRAVVIVERE
Mi rendo conto del delirio
scrivere è fermare la devastazione.
La sponda è resistente agli urti
per questo sono sempre in fin di vita
per questo non muoio.
Ma scrivere è infantile, un puntare i piedi, un capriccio.
da Diario di un finto inverno, Empiria, 2018
Mi rendo conto del delirio
scrivere è fermare la devastazione.
La sponda è resistente agli urti
per questo sono sempre in fin di vita
per questo non muoio.
Ma scrivere è infantile, un puntare i piedi, un capriccio.
da Diario di un finto inverno, Empiria, 2018
venerdì 8 novembre 2019
Alessandro Ricci
OGGI HO PORTATO IL MIO AMORE SUL CIGLIO
Oggi ho portato il mio amore sul ciglio
di un baratro; più tardi, su una scala
d’oro: assedio al desiderio, aumento
di pugnali e tenerezze sono ogni ascolto,
ogni sguardo passati.
Tutto avvenne
fra prima
e poi, in quell’attimo immobile, atteso
e temerario che chiamiamo presente ma è
un auspicio, una puntura fulminea
e indelebile che separa la ragione
dal sogno, l’una condannata al tempo
che va, l’altro fermo per sempre
nell’esultanza.
Poi succede delle cose dette solo
una parte, perché dell’altra è più breve
e leggera, sottilissimi aghi
ridotti a vuoti d’aria non appena
confitti alle panchine dell’incantesimo,
quattro o cinque di una città altrimenti
non esistita, sulle quali foglie e nebbie
si poseranno, commozioni di nuovi innamorati
o di relitti umani che non dimenticano
o non lo sanno, amore
e morte di avi e discendenti, per anni
e anni, fino alla quota estrema delle memorie
di tutti.
da I cavalli del nemico, Il Labirinto, 2004
mercoledì 6 novembre 2019
Tommaso Lisi
DI TE NON RICORDO NESSUN DETTO
Di te non ricordo nessun detto
saggio, nessun atto
di coraggio.
Sta tutto scritto nella tua paziente
vita, nella tua morte silente,
il tuo messaggio.
da Nuovi colloqui con il padre e la madre, Luigi Pellegrini editore, 2016
Di te non ricordo nessun detto
saggio, nessun atto
di coraggio.
Sta tutto scritto nella tua paziente
vita, nella tua morte silente,
il tuo messaggio.
da Nuovi colloqui con il padre e la madre, Luigi Pellegrini editore, 2016
lunedì 4 novembre 2019
Rita Iacomino
LA FELICITÀ
La felicità si insediò con discrezione improvvisa
cancellò il tempo i nomi e le circostanze.
Nessuno ti ha chiamato, nessuno lo sapeva
non c'era un prima né un dopo.
Non era una fuga perché non c'era spazio
né un andare né un tornare.
Sembrava un rimanere ma senza tempo.
da Diario di un finto inverno, Empiria, 2018
venerdì 1 novembre 2019
Francesco Dalessandro
SERE
a mia madre
Sere, sere tornate all’improvviso
dentro il tuo sguardo amato,
sere bambine che ora ho ritrovato
umili e sante come il suo sorriso
PADRE
Come vincerà me, che ti somiglio.
Franco Fortini, Foglio di via
Padre che sei stato mio padre con l’onestà
del lavoro col ruvido amore e la grazia
misurata dei gesti col riserbo di parole
e di sguardi, padre che sei stato mio padre
col rispetto e il pudore della tua natura
d’uomo nato dal cuore di una terra
forte e dura, padre che resti per sempre
mio padre anche nel buio della morte,
padre senza fortuna ora invidio la tua sorte
(inedite)
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