CASSANDRA
Un mondo troppo serio
non mi ha mai preso sul serio
non quando ero regina, imperatrice
non quand’ero schiava, succube.
Era destino e lo sapevo da sempre
ho quasi visto quale compito mi veniva affidato
ero in culla e ho visto chi ero cos’ero.
Chi sarei stata e cosa.
Dovevo interpretare Cassandra.
Ma non un giorno o due.
*
Uno nasce e già è stabilito
che parte suo malgrado dovrà recitare.
Che lo sappia o no che se ne avveda.
Che gli piaccia o no nel caso lo sapesse.
- Dicono che agli uomini
non è dato conoscere il proprio
destino.
Sì, dipende.
- l’animale si addomestica -
agli anni dell’educazione
seguono quelli della festa:
si festeggia l’entrata in ruolo dell’animale
- sopravvivere all’indecenza.
Fine della gentilezza.
*
Ho saputo che ero Cassandra fin dall’adolescenza
si incarna un mito.
Uno è Giasone
un’altra è Dafne
uno è dio l’altro è lestofante.
Chi si prende il ruolo primario
chi fa la ninfa chi il sasso, l’acqua o la costellazione.
Si può essere senza conoscere ciò che si è.
*
Parlare invano.
Voler smettere e non poterlo fare
aver visioni e non volerle
e non volerne raccontare.
Il disinibitore mitico è sempre
all’opera.
Un’opera da quattro soldi ma pur sempre un’Opera.
*
Del resto viviamo lungo i vicoli disertati dalla Storia
che pingue erutta sulle strade principali.
Le arterie di congiunzione….
Per Cassandra
-che ha un altro nome-
Non resta che percorrere le vie
del fato
dai banchi di scuola al lettino
dello psichiatra
le vie domestiche … e non sarà
mai Medea
Sisifo o Cornelia
non sarà Arianna né il
Minotauro.
*
Sono stata sempre e solo Cassandra.
Parlare e non essere capiti
vedere e non essere creduti.
Voglio fermare una sciagura e non poterlo fare.
Non aver voce, il ruolo di profeta
senza alcun clamore
il profeta in fondo è un
pazzo
TAGLIAMOGLI LA TESTA.
*
Ora che ti ho perduta
madre, ora che vi ho persi
che ho perso un popolo, la città
gli affetti
ora che ho perso tutto
che tutte le profezie hanno preso corpo
ora che l’Opera va in scena
che la storia, sazia,
ripulisce i denti dai residui del gran banchetto.
Ora che sono estranea, io stessa espunta
dalla stupida dentiera della morte
residuo anch’io del pasto orrendo,
ora mi dolgo per quella gentilezza
che non ho mai avuto.
*
L’opera è divisa in capitoli.
È un’opera in versi, è un dire sincopato.
Sincope per ogni parola detta
negazione riga per riga
la riga sotto nega quella sopra
farei bene a non scrivere affatto
se mi contraddico
se al ruolo, al destino non si sfugge.
*
Sono incinta
sto su un promontorio
e per liberarmi dal peso non ho altro
che gettarmi a capofitto
distruggendo assieme all’opera il creatore.
Gli eventi danno conferma delle
previsioni:
le previsioni erano l’evento.
*
Ho avuto il potere di non aver potere.
Vivevate in tempi di pace
mentre io ero in guerra
la guerra ci attorniava
cercavo l’amicizia, la solidarietà di
chi combatte
sullo stesso fronte.
Ma non c’era il fronte e niente da combattere.
La solitudine di Cassandra è la
più vasta.
INCOMMENSURABILE.
*
Facciamo chiarezza:
le visioni non sono dettate da uno spirito,
non provengono dal mondo iperuranio.
Sono uraniche.
Sono qui, in questo cielo
e ciò che vedo anticipato è già presente.
*
Cara Cassandra
sono stata io la prima a non
crederti.
Non credere in se stessi
odiare ciò che si è.
Il cuore diviso
le mani divise.
ENANTIODROMIA.
*
Nelle ore di sonno puoi vedere i morti.
Puoi riallacciare quei rapporti
sfilacciati e mai interrotti con la natura.
- la morte non è un carnevale
È una festa, sì, ma è l’unica in cui indossi
i tuoi vestiti.
- l’unico vestito buono che hai
non sta nell’armadio-
Il vestito più intimo, il più costoso.
*
Cassandra nel suo letto si torce.
Quelli che sembrano piani
invisibili
le si rivelano in tutta
lucentezza.
È una chiarezza che abbaglia
un dolore insopportabile.
- tu puoi distrarti, io no.
Cassandra non ha amici
non ha nemici
è sola: solitudine
incommensurabile.
- porta la tua solitudine come
una sposa il velo
come l’amante la propria rosa-
porta la propria rosa all’amata.
*
Ai mille sprofondati nel sepolcro ho teso la mia mano.
Nessuno che mi ascolta, nessuno che si salva.
Anche Ecuba
mia
amata
scendeva
lentamente
nella
tomba
senza
vedermi
senza
voler sapere.
Mi bastava uno, solo uno, uno sguardo, un sì.
- ogni cosa passata dal ventriglio dell’anima
ogni cosa detta e fatta s’è
ridotta,
è l’escremento sulla mia veste.
La
mia bocca è un pozzo
da cui nessuno attinge
gli
occhi sono lampade
tenute
spente dal perenne
sole
dell’ignoranza.
L’ignoranza è la coperta
geniale
in cui il mondo s’addormenta
poiché il sonno è pietoso
è una culla che dondola
sull’abisso.
*
L’alba passa con deboli passi nel giorno.
Felpata, lieve, amabile.
Alle sei di mattina
-
in realtà sono le quattro
ma
non voglio dar conto di questa
immensa
dolorosa ubriacatura-
Preferisco mantenermi sobria
-
preferisco, cioè, una linea
di
un azzurro medio
che
non diventi subito tenebra
che
nemmeno sbiadisca troppo
da
sembrare così poetica -
*
L’unica cosa di cui non ho avuto paura
è la pagina bianca.
Quello che conta è il gesto minimo
come una distrazione:
è il mio contributo alla sparizione del mondo
questo cogliere le cose interstiziali
quelle che fuggono rapide nell’iperspazio.
-
dico cose che non capiscono
creo confusione, creo caos -
Ma esiste davvero un’ora della notte
o del giorno in cui il manico
della brocca è serpente
il caffè nella tazza un lago oscuro
che prima o poi
al sorgere del sole diverrà
specchio brillante.
-
io ti ho amato così tanto
da vedere meduse
trasparenti
nell’aria –
*
Anche il cielo: è un’estensione della mia volontà
che io non vedo
chiusa nel fondo del tempio
tra alberi così alti
con chiome che gettano ombre
definitive, intense.
- Nessuno crede all’esistenza
della verità
la natura è uno spasimo
che entra dentro la morte
una quiete così immensa
da non essere più percepita.
Una parola non accolta
è per sempre violata.
Io vivevo già trafitta sui tronchi oscuri
quando vennero a prendermi.
dal poemetto inedito Cronache dalla sparizione del mondo