in heavy speech:
Un’ape ronza nella stanza
vuota (tua vita
cui tanta gente manca)
stordita dal profumo mattutino
della mimosa rifiorita, e non
sa uscirne.
«Anch’io così m’aggiro,
senza più pace, senza
poterne uscire. Né m’aiuta
un riverbero esterno, un radar
(che non ho) di pipistrello,
una voce».
Marzo incostante gela;
lega un filo d’eventi,
stretto di nodi: gesti
ordinari gettati
via, giorni senza storia.
(E l’ombra, nella stanza,
poi che a sera s’addensa, prepara
un crollo).
A che t’affidi allora nel-
l’imminenza di un altro compleanno
fra i trenta e i quaranta?
«All’erbetta novella dell’aiuola
che stilla ancora guazza,
a un’àncora di luce, ad una scia
di lumaca: anche a questo
s’appiglia chi non ha
altro che lo sostenga».
Può consolarti il passero
che zampetta sul prato e non osa
avvicinarsi alle molliche sparse
sul davanzale? Può
aiutarti studiare le formiche
che intrecciano percorsi nel giardino?
E come può quest’ape
(o il suo ronzio) salvarti?
«Qui resterò, visibile
alla luce che spunta dalla siepe
oltre il cancello, altissima,
mai potata. Un ragazzo
con un coltello incide lettere d’amore
su un abete. Un gorgheggio
inquietante accompagna da un balcone
la domenica che nasce.
Educato all’amore, in questo nido
confortevole, al canto; preparato
allo schianto anch’io sto. Marzo incostante
nutrìca l’ape e l’imminente compleanno».
da I giorni dei santi di ghiaccio, Quaderni di Barbablù, 1983
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