lunedì 31 agosto 2020
José Maria de Herédia
venerdì 28 agosto 2020
Kenneth Rexroth
VERSO UNA FILOSOFIA ORGANICA
Primavera, Coast Range
Il mio fuoco da campo dà rossi, cupi bagliori
senza fiamma, e intorno ad esso s’allarga
il cerchio bianco della cenere. Mi alzo
e m’allontano sotto la luna; ogni volta che mi giro
è più profondo quel rosso, più piccola la luce.
Lo Scorpione sorge tardi insieme a Marte
preso nelle sue chele; la luna è apparsa prima,
la luce come un coro di bambini tra giovani allori.
È aprile, l’alosa testa calda risale i fiumi;
nei canyon umidi, il trillium; la lingua
di una fetida vipera penzola accanto alla cascata.
Una volta in questo campeggio c’era una fattoria,
ormai praticamente sparita. E pecore, dopo la fattoria.
Il fuoco tempo fa bruciò le sequoie della gola,
e l’abete Douglas oltre la cresta;
oggi il terreno è pietroso e sconnesso, le piccole pietre
sono lastre appiattite in superficie come squame.
Vent’anni fa allargandosi il burrone
rovesciò la grande quercia addosso alla casa.
Ora non c’è più nulla, solo le fondamenta
coperte dalla quercia velenosa, e sopra, sul crinale,
sei solitari, minacciosi paletti di recinzione;
le travi di sequoia del granaio fanno una passerella
sul letto profondo ma asciutto del torrente;
la secca e bianca avena selvatica, d’estate, copre le colline.
Cammino sugli sparsi resti del frutteto.
In un fazzoletto di luce lunare una talpa
scuote la sua galleria come un nervo infiammato;
Orione avanza immerso fino alla cinta nella nebbia che arriva
dall’oceano; il Leone si acquatta sotto lo zenit.
Già ci sono minuscoli frutti duri sugli alberi di prugne.
Incredibile purezza dei fiori di melo.
Quando il vento si placa, la loro fragranza
li avvolge come fumo denso.
Riecheggiano tutto il giorno del ronzio delle api,
ma sotto la luna sono muti e immacolati.
Primavera, Sierra Nevada
Lo Scorpione dorato s’incendia di nuovo sul valico
sopra Deadman Canyon, ordinato e brillante,
come un’ispirazione nel cervello di Archimede.
Ho visto la sua luce sul mare caldo,
sulle spiagge di cocco, fosforescente e pulsante;
la luce vivente fremere nell’acqua
e allontanarsi dalla mano che nuota,
scivolare sulle labbra, riempire i capelli galleggianti.
Qui, dov’erano ghiacciai e la neve dura a lungo,
la pietra è pulita come luce, la luce salda come pietra.
La relazione fra pietra, ghiaccio e stelle è regolare e duratura:
il nuovo emerge dopo secoli, schegge di roccia dai dirupi,
il ghiacciaio si ritira e diventa più grigio,
il torrente taglia il prato con nuove serpentine,
il sole attraversa lo spazio e la terra con esso,
Le stelle cambiano posto.
La neve è durata più a lungo
di quanto si ricordi, quest’anno. Il prato più basso
è un lago, gli altri due sono nevai, il passo è coperto di neve,
solo le rocce più ripide restano scoperte. Tra il passo
e l’ultimo prato il nevaio si spalanca per un centinaio
di piedi, in uno stretto abisso azzurro dove scende
luccicando una cascata nel tramonto al suo culmine,
nera e robusta dove scompare di nuovo nella neve.
Il mondo è pieno di correnti nascoste
che battono le orecchie come l’etere;
aghi di granito escono dalla neve, pallidi come acciaio;
sulla miniera di rame la scogliera è rosso sangue,
la neve candida s’apre al bordo di essa;
il cielo si avvicina ai miei occhi come gli occhi
azzurri di qualcuno baciato nel sonno.
Scendo al campo,
alle giovani foglie di pioppo, rugose e appiccicose,
alle prime violette e ai ciclamini selvatici,
e preparo la cena nell’azzurro crepuscolo.
Tutta la notte i cervi pestano la neve con i loro
zoccoli affilati e al buio i musi freddi trovano l’erba
nuova ai margini della neve.
Autunno, Sierra Nevada
Stamattina, a colazione non c’era il tordo eremita,
al suo posto una famiglia di capinere;
a mezzogiorno uno stormo di colibrì è passato a sud,
vorticando alto nel vento sulla sella fra il Ritter
e il Banner, seguendo una linea di migrazione
verso sud, dalla cresta della Sierra al Guatemala.
Per tutto il giorno ombre di nuvole si sono mosse
in faccia alla montagna, e l’ombra di un’aquila reale
s’intrecciava con esse in faccia al ghiacciaio.
Al tramonto la mezzaluna corre sulla schiena curva
dello Scorpione, l’Orsa Maggiore s’inginocchia
sulla montagna. Dieci gradi sotto la luna,
Venere scende nella foschia che sale dalla Great Valley.
Giove sorge dai picchi incendiati dal bagliore
riflesso dal sole all’opposto. Il verso da ventriloquo
di un gufo si mischia allo scampanio della cascata.
Col vento da oriente viene un tuono lontano.
La parete orientale della montagna sopra di me
s’accende con lampi lontani e sul passo
il cielo divampa in un attimo come un’aurora.
C’è una tempesta sulle White Mountains,
su quei quattordicimila piedi d’aridi picchi;
e sta piovendo sulle strette, grigie catene montuose,
sui prati scuri di carice e le bianche saline del Nevada.
Appena prima che cali la luna una densa, piccola nube,
scintillante come un grappolo di metallo,
si sposta sulla cresta della Sierra e s’allunga sul pendio di ponente.
Il gelo, che ha colore e qualità di nuvola,
copre tutta la palude sotto il mio campeggio.
I cespi pungenti dei pini nani dalla bianca corteccia
sono fumosi e indistinti al chiar di luna,
solo le ombre ne sono davvero visibili.
Il lago è fermo e senza un fremito trattiene
nelle sue profondità stelle e picchi. In superficie,
geometrici riccioli di ghiaccio dispiegano la loro
meravigliosa matematica in silenzio. Nella notte,
per un istante, quando entrano nel raggio
di luce del fuoco, gli occhi del cervo brillano.
Al mattino la pista sarà simile a un tratturo
e le tracce punteranno tutte giù, verso il canyon più basso.
«Perciò», dice Tyndall, «le preoccupazioni di questo piccolo posto
sono modificate e modellate dall’inclinazione dell’asse terrestre,
dalla catena di dipendenza che percorre il creato
e lega la rotazione di un pianeta così come gli interessi
d’uomini e marmotte».
Traduzione di Francesco Dalessandro
mercoledì 26 agosto 2020
Dino Campana
L’INFANZIA
NASCE
L’infanzia nasce da un ritorno di se
stessi giacché in uno strano eco s’immobilizza e s’allontana dai giorni; anzi
nasce proprio da una cosa “specchiata” con le ridenti spighe gialle e con i
campanili conoscenza eterna (di poco tempo) e sempre a sapersi da un tempo
infinito come a stare sempre sulla riva di un giorno.
da Canti
orfici e altri scritti, Mondadori, 1972
lunedì 24 agosto 2020
Nicola Bultrini
venerdì 21 agosto 2020
Guido Cavalcanti
Poi che di doglia cor conven ch'i' porti
e senta di piacere ardente foco
e di virtù mi traggi' a sì vil loco
dirò com'ho perduto ogni valore.
E dico che' miei spiriti son morti,
e 'l cor che tanto ha guerra e vita poco;
e se non fosse che 'l morir m'è gioco,
fare' ne di pietà pianger Amore.
Ma, per lo folle tempo che m'ha giunto,
mi cangio di mia ferma oppinione
in altrui condizione,
sì ch'io non mostro quant'io sento affanno:
là 'nd'eo ricevo inganno,
ché dentro da lo cor mi pass'Amanza,
che se ne porta tutta mia pozzanza.
mercoledì 19 agosto 2020
Dino Campana
AVANTI L’ARCO DELL’INTERCOLONNO
Avanti l’arco dell’intercolonno
Treman rigati nell’azzurro persi
Voli.
lunedì 17 agosto 2020
Georg Trakl
ESTATE
Di sera cessa il lamento
del cuculo nel bosco.
Più basso il grano s’inchina,
il rosso papavero.
Nera tempesta minaccia
al di sopra del colle.
L’antica canzone del grillo
si estenua nel campo.
Non più si muove la fronda
dell’ippocastano.
Sulla scala a chiocciola
il tuo abito fruscia.
La candela brilla quieta
nella camera buia;
una mano d’argento
la spegne.
Notte senza vento, senza una stella.
da Poesie,
BUR, 1974
venerdì 14 agosto 2020
Czesław Miłosz
mercoledì 12 agosto 2020
Giuseppe Ungaretti
Tonda quel tanto che mi dà tormento,
La tua coscia distacca di sull'altra...
Dilati la tua furia un'acre notte!
da Sentimento del tempo
lunedì 10 agosto 2020
David Maria Turoldo
La bellezza di quando la pioggia
batte sul tetto del cascinale, e tu
in pace con l'universo:
a ricordare gli amici
e i tempi andati,
e le speranze e gli amori
che ornavano i davanzali!
Poi la gioia del tuono
a rischiarare i campi
e tutta la corona dei monti.
da Il grande male, Oscar Mondadori, 1987
venerdì 7 agosto 2020
Eugenio Montale
Cigola la carrucola del pozzo,
l'acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un'immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro...
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all'atro fondo,
visione, una distanza ci divide.
da Ossi di seppia
mercoledì 5 agosto 2020
Czesław Miłosz
lunedì 3 agosto 2020
Georg Trakl
Chiama gli uccelli un primo pigolio,
il bosco freme, scroscia la sorgente,
tintinna in cielo un roseo scintillio,
pena d'amore. Il buio è evanescente...
L'alba trepida liscia con dolcezza
il giaciglio d'amor, tutto sconvolto,
cessa dei baci languidi l'ebbrezza
nel sogno gaio in dormiveglia sciolto.
Traduzione di Ervino Pocar
da Poesie, BUR, 1990