lunedì 31 agosto 2020

José Maria de Herédia

GIASONE E MEDEA

                            a Gustave Moreau

In una quiete incantata, sotto l'ampio fogliame
Della selva, culla di timori antichi,
Un'alba prodigiosa, intorno a loro, ravvivava
Di lacrime una strana e ricca fioritura.

Nell'aria magica dove fluttua un profumo di 
                                                    /veleno,
Con parole lei spargeva un potere di malìa;
L'Eroe nelle belle armi la seguiva
Vibrando lo splendore del glorioso Vello.

Con voli di gemme illuminando i boschi,
Grandi uccelli segnavano le volte fiorite,
E nei laghi d'argento pioveva l'azzurro del cielo.

A loro sorrideva Amore, ma la fatale Sposa
Nel seno si portava il suo furor geloso
E i filtri d'Asia e il padre suo e gli Dèi.

Traduzione di Cosimo Ortesta

da Contrappunto, bimestrale di poesia e arte, Anno VIII n. 6, novembre-dicembre 1984

                                                

venerdì 28 agosto 2020

Kenneth Rexroth

 


VERSO UNA FILOSOFIA ORGANICA



Primavera, Coast Range


Il mio fuoco da campo dà rossi, cupi bagliori 

senza fiamma, e intorno ad esso s’allarga 

il cerchio bianco della cenere. Mi alzo 

e m’allontano sotto la luna; ogni volta che mi giro 

è più profondo quel rosso, più piccola la luce.

Lo Scorpione sorge tardi insieme a Marte 

preso nelle sue chele; la luna è apparsa prima, 

la luce come un coro di bambini tra giovani allori.

È aprile, l’alosa testa calda risale i fiumi; 

nei canyon umidi, il trillium; la lingua

di una fetida vipera penzola accanto alla cascata.

Una volta in questo campeggio c’era una fattoria, 

ormai praticamente sparita. E pecore, dopo la fattoria. 

Il fuoco tempo fa bruciò le sequoie della gola, 

e l’abete Douglas oltre la cresta; 

oggi il terreno è pietroso e sconnesso, le piccole pietre 

sono lastre appiattite in superficie come squame. 

Vent’anni fa allargandosi il burrone 

rovesciò la grande quercia addosso alla casa.

Ora non c’è più nulla, solo le fondamenta

coperte dalla quercia velenosa, e sopra, sul crinale,

sei solitari, minacciosi paletti di recinzione;

le travi di sequoia del granaio fanno una passerella

sul letto profondo ma asciutto del torrente;

la secca e bianca avena selvatica, d’estate, copre le colline.

Cammino sugli sparsi resti del frutteto.

In un fazzoletto di luce lunare una talpa

scuote la sua galleria come un nervo infiammato;

Orione avanza immerso fino alla cinta nella nebbia che arriva 

dall’oceano; il Leone si acquatta sotto lo zenit. 

Già ci sono minuscoli frutti duri sugli alberi di prugne. 

Incredibile purezza dei fiori di melo. 

Quando il vento si placa, la loro fragranza

li avvolge come fumo denso.

Riecheggiano tutto il giorno del ronzio delle api, 

ma sotto la luna sono muti e immacolati.



Primavera, Sierra Nevada


Lo Scorpione dorato s’incendia di nuovo sul valico

sopra Deadman Canyon, ordinato e brillante,

come un’ispirazione nel cervello di Archimede.

Ho visto la sua luce sul mare caldo,

sulle spiagge di cocco, fosforescente e pulsante;

la luce vivente fremere nell’acqua

e allontanarsi dalla mano che nuota,

scivolare sulle labbra, riempire i capelli galleggianti.

Qui, dov’erano ghiacciai e la neve dura a lungo,

la pietra è pulita come luce, la luce salda come pietra.

La relazione fra pietra, ghiaccio e stelle è regolare e duratura:

il nuovo emerge dopo secoli, schegge di roccia dai dirupi,

il ghiacciaio si ritira e diventa più grigio,

il torrente taglia il prato con nuove serpentine,

il sole attraversa lo spazio e la terra con esso,

Le stelle cambiano posto.

                                               La neve è durata più a lungo

di quanto si ricordi, quest’anno. Il prato più basso 

è un lago, gli altri due sono nevai, il passo è coperto di neve, 

solo le rocce più ripide restano scoperte. Tra il passo 

e l’ultimo prato il nevaio si spalanca per un centinaio 

di piedi, in uno stretto abisso azzurro dove scende 

luccicando una cascata nel tramonto al suo culmine, 

nera e robusta dove scompare di nuovo nella neve.

Il mondo è pieno di correnti nascoste

che battono le orecchie come l’etere;

aghi di granito escono dalla neve, pallidi come acciaio;

sulla miniera di rame la scogliera è rosso sangue,

la neve candida s’apre al bordo di essa;

il cielo si avvicina ai miei occhi come gli occhi 

azzurri di qualcuno baciato nel sonno.

                                                                       Scendo al campo,

alle giovani foglie di pioppo, rugose e appiccicose,

alle prime violette e ai ciclamini selvatici,

e preparo la cena nell’azzurro crepuscolo.

Tutta la notte i cervi pestano la neve con i loro

zoccoli affilati e al buio i musi freddi trovano l’erba

nuova ai margini della neve.



Autunno, Sierra Nevada


Stamattina, a colazione non c’era il tordo eremita, 

al suo posto una famiglia di capinere;

a mezzogiorno uno stormo di colibrì è passato a sud,

vorticando alto nel vento sulla sella fra il Ritter 

e il Banner, seguendo una linea di migrazione

verso sud, dalla cresta della Sierra al Guatemala.

Per tutto il giorno ombre di nuvole si sono mosse 

in faccia alla montagna, e l’ombra di un’aquila reale 

s’intrecciava con esse in faccia al ghiacciaio.

Al tramonto la mezzaluna corre sulla schiena curva

dello Scorpione, l’Orsa Maggiore s’inginocchia 

sulla montagna. Dieci gradi sotto la luna,

Venere scende nella foschia che sale dalla Great Valley.

Giove sorge dai picchi incendiati dal bagliore 

riflesso dal sole all’opposto. Il verso da ventriloquo 

di un gufo si mischia allo scampanio della cascata.

Col vento da oriente viene un tuono lontano.

La parete orientale della montagna sopra di me

s’accende con lampi lontani e sul passo 

il cielo divampa in un attimo come un’aurora.

C’è una tempesta sulle White Mountains,

su quei quattordicimila piedi d’aridi picchi; 

e sta piovendo sulle strette, grigie catene montuose,  

sui prati scuri di carice e le bianche saline del Nevada.

Appena prima che cali la luna una densa, piccola nube,  

scintillante come un grappolo di metallo,

si sposta sulla cresta della Sierra e s’allunga sul pendio di ponente. 

Il gelo, che ha colore e qualità di nuvola, 

copre tutta la palude sotto il mio campeggio. 

I cespi pungenti dei pini nani dalla bianca corteccia 

sono fumosi e indistinti al chiar di luna,

solo le ombre ne sono davvero visibili.

Il lago è fermo e senza un fremito trattiene

nelle sue profondità stelle e picchi. In superficie, 

geometrici riccioli di ghiaccio dispiegano la loro 

meravigliosa matematica in silenzio. Nella notte, 

per un istante, quando entrano nel raggio 

di luce del fuoco, gli occhi del cervo brillano. 

Al mattino la pista sarà simile a un tratturo

e le tracce punteranno tutte giù, verso il canyon più basso. 

«Perciò», dice Tyndall, «le preoccupazioni di questo piccolo posto 

sono modificate e modellate dall’inclinazione dell’asse terrestre, 

dalla catena di dipendenza che percorre il creato 

e lega la rotazione di un pianeta così come gli interessi 

d’uomini e marmotte». 


Traduzione di Francesco Dalessandro



mercoledì 26 agosto 2020

Dino Campana

 

L’INFANZIA NASCE

 

L’infanzia nasce da un ritorno di se stessi giacché in uno strano eco s’immobilizza e s’allontana dai giorni; anzi nasce proprio da una cosa “specchiata” con le ridenti spighe gialle e con i campanili conoscenza eterna (di poco tempo) e sempre a sapersi da un tempo infinito come a stare sempre sulla riva di un giorno.

 

da Canti orfici e altri scritti, Mondadori, 1972

lunedì 24 agosto 2020

Nicola Bultrini


COME QUANDO OSSERVI PER CASO


Come quando osservi per caso
uno qualunque
perché ti sembra di conoscerlo
e invece ti arrendi all'ignoranza
volti lo sguardo, lasci andare

così talvolta cogli un segno
che non leggi.

La verità ti ustiona e passa oltre
come uno che ieri ci parlavi
e oggi un altro dice è morto.

da La forma di tutti, Capire Edizioni, 2019

venerdì 21 agosto 2020

Guido Cavalcanti

 

Poi che di doglia cor conven ch'i' porti

e senta di piacere ardente foco

e di virtù mi traggi' a sì vil loco

dirò com'ho perduto ogni valore.

E dico che' miei spiriti son morti,

e 'l cor che tanto ha guerra e vita poco;

e se non fosse che 'l morir m'è gioco,

fare' ne di pietà pianger Amore.

Ma, per lo folle tempo che m'ha giunto,

mi cangio di mia ferma oppinione

in altrui condizione,

sì ch'io non mostro quant'io sento affanno:

là 'nd'eo ricevo inganno,

ché dentro da lo cor mi pass'Amanza,

che se ne porta tutta mia pozzanza.



mercoledì 19 agosto 2020

Dino Campana

AVANTI L’ARCO DELL’INTERCOLONNO

 

Avanti l’arco dell’intercolonno

Treman rigati nell’azzurro persi

Voli.

 

da Poesie, Oscar Mondadori, 1972

lunedì 17 agosto 2020

Georg Trakl

 

ESTATE

 

Di sera cessa il lamento

del cuculo nel bosco.

Più basso il grano s’inchina,

il rosso papavero.

 

Nera tempesta minaccia

al di sopra del colle.

L’antica canzone del grillo

si estenua nel campo.

 

Non più si muove la fronda

dell’ippocastano.

Sulla scala a chiocciola

il tuo abito fruscia.

 

La candela brilla quieta

nella camera buia;

una mano d’argento

la spegne.

 

Notte senza vento, senza una stella.

 

Traduzione di Ervino Pocar

da Poesie, BUR, 1974

venerdì 14 agosto 2020

Czesław Miłosz


RICHIAMO ALL’ORDINE


Grideresti
Perché l’umanità è pazza.
Un altro passi, tu non è il caso.

Con quale sabbia
E fango e muco
Con quali ostinati fuscelli
Hai plasmato il tuo castello contro la prova del mare,
Già raggiunto dall’onda.

Quale caos
Ha ricevuto la misura, da qui a lì.
Quale abisso è stato visto e taciuto.
Quale paura di fronte a ciò che sei.

Appare
Ma non è questo.
Si chiama,
Rimane innominato.
Si compie,
Non è cominciato.

Lambisce il tuo castello
Il lugubre mare
Colore del vino,
Placa l’orgoglio.

Eppure sei riuscito
Quasi dal nulla.
Non è questione di ragione
Né di virtù.
Come dunque condanni
L’irragionevolezza degli altri.

Berkeley, 1969

Traduzione di Pietro Marchesani
da Poesie, Adelphi, 1983


mercoledì 12 agosto 2020

Giuseppe Ungaretti

GIUNONE


Tonda quel tanto che mi dà tormento,
La tua coscia distacca di sull'altra...

Dilati la tua furia un'acre notte!


da Sentimento del tempo

lunedì 10 agosto 2020

David Maria Turoldo

LA BELLEZZA DI QUANDO


La bellezza di quando la pioggia
batte sul tetto del cascinale, e tu
in pace con l'universo:

a ricordare gli amici
e i tempi andati,
e le speranze e gli amori
che ornavano i davanzali!

Poi la gioia del tuono
a rischiarare i campi
e tutta la corona dei monti.


da Il grande male, Oscar Mondadori, 1987

venerdì 7 agosto 2020

Eugenio Montale

CIGOLA LA CARRUCOLA DEL POZZO

Cigola la carrucola del pozzo,
l'acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un'immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro...
                                             Ah che già stride
la ruota, ti ridona all'atro fondo,
visione, una distanza ci divide.

da Ossi di seppia

mercoledì 5 agosto 2020

Czesław Miłosz


COSÌ POCO


Così poco ho detto.
Giorni brevi.

Giorni brevi,
Notti brevi,
Anni brevi.

Così poco ho detto,
Non ho fatto in tempo.

Il mio cuore si è stancato di
Entusiasmo,
Disperazione,
Ardore,
Speranza.

Le fauci del leviatano
Si sono richiuse su di me.

Nudo giacevo sulle rive
In isole disabitate.

Mi ha trascinato con sé nell’abisso
La bianca balena del mondo.

E ora non so
Cosa fosse vero.

Barkeley, 1969


Traduzione di Pietro Marchesani
da Poesie, Adelphi, 1983



lunedì 3 agosto 2020

Georg Trakl

PRIMA DEL LEVAR DEL SOLE


Chiama gli uccelli un primo pigolio,
il bosco freme, scroscia la sorgente,
tintinna in cielo un roseo scintillio,
pena d'amore. Il buio è evanescente...

L'alba trepida liscia con dolcezza
il giaciglio d'amor, tutto sconvolto,
cessa dei baci languidi l'ebbrezza
nel sogno gaio in dormiveglia sciolto.

Traduzione di Ervino Pocar

da Poesie, BUR, 1990