mercoledì 13 ottobre 2021

Francesco Dalessandro

 

 LETTERA DA VELIA

 

Era là fra i cantori

in ascolto

fra il pubblico assiepato

nella cavea improvvisata

del cortile, l’ho rivista

nella sera d’autunno

mentre un femio senz’anima

cantava versi

sgraziati e senza forma

l’ho rivista ma senza

subirne la bellezza

il mio sguardo l’ha avvolta

l’ha accolta

in sé per un tempo

brevissimo prima

di perderla fra i tanti

che si stringevano al cantore

per complimenti e abbracci

 

 

Di questo ora ti scrivo

da un paese lontano

e antico da una spiaggia ad arco

leggero mentre un vento

cauto a tratti solleva

il foglio dove appunto questi

pensieri eleatici tradotti

in parole di poca

o nessuna intensità se non fatte

di carne viva o ignoranti

nel sentimento non dico

gli occhi ma la sua nuca

lo spazio liscio fra

l’orecchio e i capelli dove avrei

voluto baciarla

come un tempo

 

 

Durevoli giorni dal dolore

non possono sbocciare

e la vita cammina o corre avanti

a me che non potrò

mai raggiungerla e pago

con imperizia e indecisioni

i suoi passi impreparato

a viverla con la struggente

voglia di dirle addio

ma di non farlo mai

forse perché il pensiero

iperuranio che mi salva

è lei

l’essere univoco e sereno

increato ed eterno

che qui a Velia oggi cura

i miei giorni e saperla

infinita

ne riscatta il ricordo

che duole come apparenza

quando i sensi me ne danno 

ancora tenere prove e

se le cose non possono avvalersi

di nostre riflessioni

non senza stupore riconosco

il suo volto

nel sale e mi penso

a leggerle versi d’amore parole

così nuove così

sconosciute che non oso

ripeterle dette quando lei

non c’era ad ascoltarle,

quando erano falò

sulla spiaggia o solo il rossore

del suo viso o della brace

della mia sigaretta

che lentamente si spegneva

ardendo nelle sue

pupille chiare e se ora

non sto male

è perché – l’ho imparato

proprio qui

proprio da questi

greci in ritardo – anche il cervello

è cuore

 

 

Ma restano distanze

inattingibili

tra le parole anche tra quelle

che alimentano il rogo

dei sentimenti che se non

dànno la conoscenza o anche solo

il sapere dei limiti

la coscienza dell’anima, almeno

il possesso o l’illusione

consapevole del tatto

quando le sfioravo il cuore

con un soffio

con un respiro il pube

e se ora il mare è questo

riflesso del pensiero

che affiora nelle parole

scritte e i muri

specchi opachi di me

stesso la logica

dell’ombra che si ostina

a vegliare è perché

neppure il sonno

è facile

 

 

 

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