mercoledì 26 gennaio 2022

Sulpicia

ELEGIE SULL'AMORE


III

 

Qui vieni, Febo, e libera dal male

la tenera fanciulla, vieni qui,

Febo, superbo dei lunghi capelli.

Affrettati e, credimi, non

ti pentirai d’imporre, per guarirla,

le mani su una donna tanto bella.

Non lasciare che le pallide membra

smagriscano e un colore malato

sfiguri il candore del corpo

e qualunque sia il male, qualunque

il pericolo temuto la furia

del fiume lo trascini in mare.

Vieni, e porta le formule, i farmaci

che risanano un corpo malato;

non tormentare chi teme per la vita

della sua donna e fa voti infiniti,

chi, vedendola star male, promette

o bestemmia gli dèi…

Non temere, Cerinto, gli dèi

non arrecano danno agli amanti

e tu ama, continua ad amarla,

la tua ragazza, finché sarà salva.

Non piangere; alle lacrime farai

ricorso quando con te sarà severa:

ora è tua, tutta tua,

e solo a te, nel suo candore, pensa,

mentre illusi l’assediano.

Buon Febo, ti faranno grandi elogi:

salvando un solo corpo, a due persone

hai reso la vita. Sarai presto

celebrato, contento quando, a gara,

ti renderanno grazie sugli altari.

Gli dèi tutti felice ti diranno

e per sé vorrà ognuno le tue arti.


 IV

 

Sempre, Cerinto, il giorno che ti diede

a me, per me sia sacro e benedetto.

Quando nascesti, a te un regno superbo

concessero le Parche e alle ragazze

predissero una nuova schiavitù.

Io più di tutte brucio; ma ch’io bruci,

Cerinto, è così dolce se in te arde

per me lo stesso fuoco! Che l’amore

sia ricambiato, io prego, per la gioia

segreta degli incontri, per i tuoi occhi

e per il Genio. Accogli lieto, Genio,

l’incenso del mattino e favorisci

i miei voti, purché d’amore arda

pensandomi. Ma se per altri amori

già sospira, abbandona quella casa

infedele. E tu, Venere, non essere

ingiusta: che ci avvinca il tuo servizio

uniti o sciogli i vincoli. Legàti

da una forte catena però è meglio,

e nessun giorno possa mai spezzarla.

Il mio ragazzo esprime questo stesso

desiderio, in segreto: si vergogna

di farlo apertamente. Tu che ascolti,

ugualmente esaudiscilo. Che importa

se ti prega in silenzio, o a voce alta? 


 V

 

Giunone protettrice delle nascite,

accetta il sacro incenso che t’offre

la ragazza devota con tenera mano.

A te, oggi, si dedica e per te

s’è fatta bella, per farsi ammirare

ai tuoi altari. Il motivo sei tu

perché si mostra adorna, ma in segreto

vuole piacere a qualcun altro. Tu

assecondala, o dea: che gli amanti

nessuno separi e un reciproco legame

al giovane prepara. Sarà bella

l’unione: a nessun’altra sarà degno

di dedicarsi, lui, né ad altri lei.

Nessun custode li sorprenda, mai:

l’amore trovi il modo per sfuggirgli.

Esaudiscila e splendida, tutta vestita

di porpora, vieni: tre volte focacce

avrai offerte, dea, e tre volte vino.

Una madre premurosa raccomanda

alla ragazza ciò che crede meglio

per lei, ma la ragazza, ormai padrona

di se stessa, chiede altro nel segreto

del suo cuore. Arde ora come fiamma

d’altare e se potessero salvarla

non vorrebbe. Tu aiutala, Giunone,

e immutato, riviva quest’amore,

già vecchio, l’anno prossimo nei voti.


 Traduzione di Francesco Dalessandro


NOTA

 

Servi filia Sulpicia. È l’unica notizia certa che abbiamo di questa ragazza poeta (del suo innamorato, Cerinto, si sa anche meno). La parentela con Messalla, che ne ebbe anche la tutela, ha fatto pensare che il padre fosse un tale Servio Sulpicio Rufo, nominato da Cicerone, e di Messalla forse cognato. Ma, dopotutto, cercare di stabilirne l’esatta identità è ozioso. Che Sulpicia facesse parte dell’aristocrazia romana, lo testimonia la raffinatezza della sua educazione, anche letteraria; ma a noi importa che – oltre a costituire un rarissimo esempio di poesia femminile in epoca romana – le sue microelegie, veri bigliettini amorosi, hanno un sapore di toccante, godibile freschezza, la grazia di un dire urgente e quasi smanioso, una secchezza incisiva e senza pudore, che va dritta allo scopo che le preme, al dire e al fare di una storia d’amore intensamente vissuta.

Diverso è il caso di chi rielaborò i suoi bigliettini, o da essi prese spunto per confezionare un piccolo ciclo di cinque elegie. Chi lo fece era poeta vero, non c’è dubbio; ma chi fosse anche in questo caso non sappiamo: si è pensato a Tibullo giovane, ma nel circolo di Messalla operavano forse anche poeti che non conosciamo e uno di essi potrebbe essere l’autore delle cinque elegie. In ogni caso, colui che scrive sull’amore di Sulpicia, pur nell’elaborata raffinatezza formale, e benché non abbia la stessa spontaneità – e tantomeno la sfrontatezza – della ragazza, mantiene un tono fresco e appassionato, diretto e incisivo, di buona presa emotiva.

SEGUE

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