mercoledì 8 giugno 2022

Ludovico Ariosto

 

O PIÙ CHE ’L GIORNO A ME LUCIDA E CHIARA

 

 

O più che ’l giorno a me lucida e chiara,

dolce, gioconda, aventurosa notte,

quanto men ti sperai tanto più cara!

 

Stelle e furti d’amor soccorrer dotte,

che minuisti il lume, né per vui

mi fur l’amiche tenebre interrotte!

 

Sonno propizio, che lasciando dui

vigili amanti soli, così oppresso

avevi ogn’altro, che invisibil fui!

 

Benigna porta, che con sì sommesso

e con sì basso suon mi fusti aperta,

ch’a pena ti sentì chi t’era presso!

 

O mente ancor di non sognar incerta,

quando abbracciar da la mia dea mi vidi,

e fu la mia con la sua bocca inserta!

 

O benedetta man, ch’indi mi guidi;

o cheti passi, che m’andate inanti;

o camera, che poi così m’affidi!

 

O complessi iterati, che con tanti

nodi cingete i fianchi, il petto, il collo,

che non ne fan più l’edere o li acanti!

 

Bocca, ove ambrosia libo, né satollo

mai ne ritorno; o dolce lingua, o umore,

per cui l’arso mio cor bagno e rimollo!

 

Fiato, che spiri assai più grato odore

che non porta da l’Indi o da’ Sabei

fenice al rogo in che s’incende e more!

 

O letto, testimon de’ piacer miei;

letto, cagion ch’una dolcezza io gusti,

che non invidio il lor nettare ai dèi!

 

O letto donator de’ premi giusti,

letto, che spesso in l’amoroso assalto

mosso, distratto ed agitato fusti!

 

Voi tutti ad un ad un, ch’ebbi de l’alto

piacer ministri, avrò in memoria eterna,

e quanto è il mio poter, sempre vi essalto.

 

Né più debb’io tacer di te, lucerna,

che con noi vigilando, il ben ch’io sento

vuoi che con gli occhi ancor tutto discerna.

 

Per te fu dupplicato il mio contento;

né veramente si può dir perfetto

uno amoroso gaudio a lume spento.

 

Quanto più giova in sì suave effetto

pascer la vista or de li occhi divini,

or de la fronte, or de l’eburneo petto ;

 

mirar le ciglia e l’aurei crespi crini,

mirar le rose in su le labbra sparse,

porvi la bocca e non temer de’ spini;

 

mirar le membra, a cui non può uguagliarse

altro candor, e giudicar mirando

che le grazie del ciel non vi fur scarse,

 

e quando a un senso satisfar, e quando

all’altro, e sì che ne fruiscan tutti,

e pur un sol non ne lasciar in bando!

 

Deh! Perché son d’amor sì rari i frutti?

deh! perché del gioir sì brieve il tempo?

perché sì lunghi e senza fine i lutti?

 

Perché lasciasti, oimè! così per tempo,

invida Aurora, il tuo Titone antico,

e del partir m’accelerasti il tempo?

 

Ti potess’io, come ti son nemico,

nocer così! Se ‘l tuo vecchio t’annoia,

ché non ti cerchi un più giovane amico?

 

e vivi, e lascia altrui viver in gioia!

Nessun commento:

Posta un commento