LA TROVATA
né dove vele leggere sfioccano
levatissima luce e fermi duomi
insistono preziosi
suoni metallici.
Io ti farei
a pezzi, io con Catullo,
Orazio, Cavalcanti e Conrad,
a pezzi, Lesbia per tutte,
dentro una biblioteca grande
come l’inferno, con tutti gli altri
fratelli che recitano i nostri versi
a memoria, tutti i versi rimasti
per noi di catasta, assassini in
ritardo, in permuta, ammazzatissimi
da parole effimere, risorti a mala
pena nelle nostre tenaci, ignote
o meno, comunque impresse
su carta, lapidi, muri
di compassione, e poi morti
di crepacuore uno dopo
l’altro, in attesa di questa
fàida, di questo giudizio
di condannati.
Sarebbe un sabba schiacciante,
un antro immenso che fuma,
che fùlmina, GLI STREGONI
SIAMO
NOI, gli occhi
paonazzi di sangue, i nostri
cani latranti, le scuri
possenti, l’incanto
del sacrificio. Poi
il colonnello
Kurtz chiamerebbe il silenzio:
«Il buco nero sigillato dalla lava
vulcanica è aperto,
lo è sempre stato. Era una tenda
triste, intessuta da loro per
accecarci. Di là c’è il mare».
E andremmo uno
a uno dietro di lui, senza spingere
né commentare, perché l’abitudine
abitua, in una fila lunghissima
e dignitosa, poiché comunque
si è morti, di là dal buio
e dal velo su una spiaggia
bianchissima per calore
e cristalli, dove vele leggere sfioccano
levatissima luce e fermi duomi
insistono preziosi
suoni metallici.
«Je vois un
port rempli de voiles et de mâts»,
ridirebbe l’uomo morto di cancro
alla voce, «dovevamo saperlo, lo
sapevamo!». E correndo su e giù
per la fila, sfiorando e risfiorando
quell’acqua verde, come un cane di branco
arrivato al pascolo, ma più festoso
ancora di Argo, a tutti gli altri
Odissei l’urlerebbe, scuotendoli
per le spalle, carezzandone
le nuche, se li vedesse piangere
di commozione,
o rammarico.
da Tutte le poesie, Europa Edizioni, 2019
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