venerdì 11 ottobre 2024

Camillo Fonte

 QUATTRO LEZIONI DI CAMILLO FONTE

 

NOTIZIA

 

Il racconto in poesia che i frequentatori di questo blog hanno letto venerdì scorso e per il resto della settimana, è stato scritto da me dopo lunga esitazione e ricostruisce in versi quanto raccontò – dopo il suicidio di suo fratello Camillo e nelle circostanze riferite – Severino Fonte. Lo stile – vagamente gozzaniano, come mi è stato fatto notare – prova ad imitare quello di Camillo nelle Quattro lezioni che leggerete nei prossimi giorni).

Come già riferito nell’introduzione a L’isola (Edizioni Il Labirinto, 2022), Camillo Fonte – poeta quasi del tutto inedito e sconosciuto –  insegnava italiano e storia in un istituto tecnico de L’Aquila, quando si suicidò. I testi delle lezioni, scritti in versi e in terza persona, proprio come racconti, furono trovati da Severino in un cassetto della scrivania, dopo la sua morte. Probabilmente, altri ne sarebbero seguiti, ma non possiamo saperlo. Come non possiamo sapere se quelle lezioni furono davvero tenute da Camillo ai suoi aspiranti ragionieri.

Come accenno nel mio testo, Severino li fotocopiò e consegnò al giornalista che aveva dato la notizia del suicidio di Camillo, e che si era mostrato così interessato a leggerli: pare che ne volesse scrivere, ma non ne fece mai niente.

Quest’estate, ho ritrovato anch’io, in un mio cassetto, a distanza di anni, i quattro testi – che mi erano stati donati da Severino e che, colpevolmente, io stesso avevo completamente dimenticati (altrimenti li avrei inclusi ne L’isola, col poemetto omonimo e le poesie d’amore). Rileggendoli, mi è sembrato giusto dare loro la visibilità che meritano, in attesa di includerli nel libro in una futura riedizione. Perciò ho sentito necessario scrivere quel testo, Le “petrose” e la Commedia, che le introduce. Non so chi, leggendo, sarà d’accordo. Ma, appunto: leggere per giudicare. Le tesi elaborate nelle singole lezioni possono essere considerate e valutate come si vuole e si crede, ma non si può negare che abbiano un’onesta e intrigante bellezza e profondità. Ecco la prima.

 

Prima lezione: Alla sera di Foscolo

 

 

«‘Forse perché della fatal quïete’ è il primo verso

di Alla sera di Foscolo. Riuscite a immaginare

un verso più audace di questo, un verso che

mette in crisi tutta la tradizione petrarchesca

precedente?» Gli studenti seguivano in silenzio,

ammaliati dalla sua voce bassa ma chiara.

Mattina piena di luce, un raggio che scendeva

trasversale si posava sulla cattedra e rimbalzava

sul nero della lavagna dov’era scritto LEZIONE

SU “ALLA SERA” DI FOSCOLO. «Credo

che poco – solo Leopardi – riesca a stargli

alla pari nella poesia successiva» stava appena

dicendo, camminando davanti alla cattedra.

«Pensate un verso che comincia con due avverbi!

(Prima solo Della Casa aveva osato qualcosa

di analogo. In un sonetto che iniziava con

“Forse però”, ma il verso e il resto è mediocre.

Ma Della Casa, ragazzi… Ve lo ricordate?»

Attese il “sì” dei suoi studenti. Uno solo,

ma gli altri annuirono, restando sospesi.

«Ne abbiamo parlato a proposito di quel

sonetto bellissimo sulla “selva solitaria”,

dove “non v’è quasi verso che non passi

l’uno nell’altro”, come dice Tasso». Di nuovo

sospese la voce guardandoli e aspettando.

“Sì”, dissero tutti. Sorrise. «E adesso spostate

l’attenzione sul secondo emistichio» riprese

«pronunciate le parole dentro di voi…»

qui tacque di nuovo, come se aspettasse

una voce. Ma nessuno osò parlare. «Sono certo

che ne sentirete l’eufonia, e sono certo

che subito dopo anche la ragione del senso

vi sarà chiara: la “fatal quïete” è un sospiro,

un soffio, l’ultimo respiro che è consentito

prima di diventare l’immagine (“l’immago”)

esattissima di ciò che la metafora esprime». 



 

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