venerdì 4 gennaio 2013
Salvatore Ritrovato
FARSI GIORNO
«Sic unum quicquid paulatim protrahit aetas
in medium ratioque in luminis eruit oras.»
(Lucrezio, De rerum natura, V, 1454-1455)
L’alba, pensavo tra me, ora è un’ampia mucosa
dell’universo, scintilla a tratti sui parabrezza,
per poco, e i balconi quando abbraccia
il fuligginoso deserto di questo sogno.
Sogno allora di sdraiarmi all’erba e da lontano
nel cielo ardesia cercare una via di fuga
al tempo che si spegne su una riva rapinosa.
Alcuni uomini laggiù nelle strade nere
con i rombi, in un’aria bassa, hanno già in mano
la loro vita, aprono e qualcosa celano
perdutamente, che non sanno neppure, un timore
piovuto sulle ustioni del giorno prima.
La città si rallegra di questa sordina,
libera una brezza generosa alla rapida
confusione delle prime ore della mattina.
Ma altre ombre negli avidi lampi
del nuovo giorno che prende fuoco
lentamente si accendono, io non vedo.
Bruceranno nell’ingorgo quel senso di esodo
dalla morte o appressamento insensato
che mute le attraversa nel quotidiano diluvio
di storie e l’oblio spinge all’amore.
Forse restano così, legate in un tenace
bagliore di un pensiero improvviso
al sole che colpisce con un taglio obliquo
e duro rasoterra e scalda a lungo la materia
e ogni angolo di questa civiltà, ogni pietra
o foglia che sanguina sotto le scarpe,
ogni ombra che adesso muore.
Da Come chi non torna, Raffaelli Editore, 2008
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