LETTERA A TELEMACO
È la regalità dei sedicianni
che certo guida l’inquietudine
da un argine a me noto, distante,
se indugi cauto davanti agli specchi
— con l’ampiezza del busto e delle spalle
in evidenza —. Riconosco l’impulso filiale
d’essere adulto ai miei occhi.
Non gesti d’insofferenza o resa,
né ricerca di tenerezza in te commuove
quanto spiarti nei miei panni. Strano
come io non veda i tuoi sguardi obliqui
alle donne, presagio di future età,
di rincorse solari, d’attese,
tumulti di vene e lenzuola intrise. Avrai.
E guardo addolcire nel sonno l’inclemenza,
con il senso di colpa paterno
di chi dà sapendo di sottrarre
per timore, per scelta, per scarto di riserbo
a mia discolpa. Quel timbro albo
della voce, un punto di rottura,
un’armonia del cuore o del caso, se vuoi,
saperti a me uguale, vulnerabile;
le notti all’erta ad ogni tuo respiro,
la viva lucentezza dell’iride
nel campetto di periferia — lasciarmi passare
in dribling, finta di corpo prevedibile
per i tuoi agili anni —. Questo ed altri fili
d’erba, le vele nelle palme, ti devo. Figlio.
(Inedita)
Bellissimo tributo a un grande talento scomparso troppo presto .
RispondiEliminaleopoldo attolico -