GATTESCA
Il gatto è animale giocoso e severo. Scrupolosamente teleologico nei suoi divertimenti. Così, per impossessarsi del silenzio, per fasciarsene – creatura freddolosa! – è disposto alle più
irresistibili diavolerie.
Lo stana, e per fiaccarlo se lo passa da zampa a zampa e gli gira
intorno con danzette cadenzate e piroette; poi magnanimo gli concede l’illusione di una fuga ma per aggranfiarlo meglio e certificarsene il possesso.
Lo inala con ghiotte vibrazioni dei baffi. E quando si accoscia, quello è ormai travasato nel suo corpo.
Lo lascia trasparire dagli occhi nella forma che più gli è congeniale: l’oscurità di un enigma.
da Forme d’ombra, Edizioni Il Bulino, 2013
mercoledì 30 ottobre 2013
lunedì 28 ottobre 2013
Alberto Bellocchio
EPICA FELINA
Oggi Roberto ha traslocato.
Ha caricato letto e materasso, scodelle e casseruole,
la credenza e varie di cucina… e i quattro gatti.
Che sono: nerino, il gatto rosso, cenerella e il suo gemello
grigio… la nazione felina con la quale s’accompagna
il nostro milanese nella stagione estiva.
Questo mi ricorda le vacanze adolescenti
e le amicizie vacanziere… bande di contrada
insorte come per incanto all’aria e al sole…
i bagni al fiume, qualche modesta passeggiata,
lunghi segreti conversari, annusamenti…
ci si impregnava dell’intrigante piacere d’amicizia,
gesti e detti imitativi, prove d’esperienza,
Poi il carro dell’estate concludeva il suo tragitto.
Per i gatti di Roberto invece accade proprio
oggi, il primo giorno di vacanza! Due miao ed è finita.
E l’orto ora mi appare sterminato… una savana
desertificata, disertata… esodo, biblica transumanza…
E noi? Noi lo sapevamo, da sei mesi. Roberto
ce l’aveva anticipato. Sei mesi per elaborare/ruminare
il lutto, elevare cantici e compianti al Rosso, il campione,
detto anche “lo svedese”… a Nerino, la piccola
misterica pantera… Cenerella, battezzata Merry,
la tremenda, e il suo gemello grigio del quale
si diceva “sarà Lui o Lei”…
E il nostro? Se ne risenta o meno, è presto dirlo.
Nessuno asociale più d’un gatto. Loro non hanno
fiere né mercati, non hanno in uso di cantare in coro i salmi.
Il numero o il sapere, per loro, sono una risorsa?
E chi lo sa! L’unione fa la forza?
Io non gliel’ho mai sentito miagolare.
Amico, ti terrò informato.
16 giugno 2012
(inedita)
Oggi Roberto ha traslocato.
Ha caricato letto e materasso, scodelle e casseruole,
la credenza e varie di cucina… e i quattro gatti.
Che sono: nerino, il gatto rosso, cenerella e il suo gemello
grigio… la nazione felina con la quale s’accompagna
il nostro milanese nella stagione estiva.
Questo mi ricorda le vacanze adolescenti
e le amicizie vacanziere… bande di contrada
insorte come per incanto all’aria e al sole…
i bagni al fiume, qualche modesta passeggiata,
lunghi segreti conversari, annusamenti…
ci si impregnava dell’intrigante piacere d’amicizia,
gesti e detti imitativi, prove d’esperienza,
Poi il carro dell’estate concludeva il suo tragitto.
Per i gatti di Roberto invece accade proprio
oggi, il primo giorno di vacanza! Due miao ed è finita.
E l’orto ora mi appare sterminato… una savana
desertificata, disertata… esodo, biblica transumanza…
E noi? Noi lo sapevamo, da sei mesi. Roberto
ce l’aveva anticipato. Sei mesi per elaborare/ruminare
il lutto, elevare cantici e compianti al Rosso, il campione,
detto anche “lo svedese”… a Nerino, la piccola
misterica pantera… Cenerella, battezzata Merry,
la tremenda, e il suo gemello grigio del quale
si diceva “sarà Lui o Lei”…
E il nostro? Se ne risenta o meno, è presto dirlo.
Nessuno asociale più d’un gatto. Loro non hanno
fiere né mercati, non hanno in uso di cantare in coro i salmi.
Il numero o il sapere, per loro, sono una risorsa?
E chi lo sa! L’unione fa la forza?
Io non gliel’ho mai sentito miagolare.
Amico, ti terrò informato.
16 giugno 2012
(inedita)
venerdì 25 ottobre 2013
Luigi Manzi
PRESAGIO
Il geco, la vipera, il falco sul combusto
altopiano. Il tabacco giace arricciato
sopra i teli di canapa. Ti parlo, anche se tu non ascolti
mentre ti muovi in silenzio sui colli
abrasi, senz’uve.
– L’afa occlude la bocca,
come un sasso. Nella radura il traliccio girevole
dell’acquedotto
pende sulla vasca in frantumi – Ma già il ramo fulvo
che sporge dal petto dell’acero è il presagio
del tempo futuro. Così io mi rivedo nell’arbusto costretto
nell’interstizio del muro: ultimo rifugio
dove l’arida radica
si nutre di tufo.
Da Fuorivia, Edizioni Ensemble, 2013
Il geco, la vipera, il falco sul combusto
altopiano. Il tabacco giace arricciato
sopra i teli di canapa. Ti parlo, anche se tu non ascolti
mentre ti muovi in silenzio sui colli
abrasi, senz’uve.
– L’afa occlude la bocca,
come un sasso. Nella radura il traliccio girevole
dell’acquedotto
pende sulla vasca in frantumi – Ma già il ramo fulvo
che sporge dal petto dell’acero è il presagio
del tempo futuro. Così io mi rivedo nell’arbusto costretto
nell’interstizio del muro: ultimo rifugio
dove l’arida radica
si nutre di tufo.
Da Fuorivia, Edizioni Ensemble, 2013
mercoledì 23 ottobre 2013
Alessandro Contadini
LA NAUSEA DI UN VIAGGIO
La nausea di un viaggio
con la sera blu che si srotola
lieve dietro il vetro. Una bocca
schiacciata contro un pensiero
nei millenni fa di un istante...
Che conta? Ecco un paesaggio:
gobbe di prati e mulini
alberi che giravoltano ballerini
sotto una scia d’aeroplano
tra spume di nuvole… lacrima
che goccia a rallenty
sul Volto d’Addio. Quelle labbra
contro le mie. E là in mezzo:
il vetro e la partenza. I millenni fa
di un istante. Ecco: ancora
un viaggio e questa nausea
blu- incredibile… lei distesa
più sola (forse dorme) sul sofà.
(inedita)
La nausea di un viaggio
con la sera blu che si srotola
lieve dietro il vetro. Una bocca
schiacciata contro un pensiero
nei millenni fa di un istante...
Che conta? Ecco un paesaggio:
gobbe di prati e mulini
alberi che giravoltano ballerini
sotto una scia d’aeroplano
tra spume di nuvole… lacrima
che goccia a rallenty
sul Volto d’Addio. Quelle labbra
contro le mie. E là in mezzo:
il vetro e la partenza. I millenni fa
di un istante. Ecco: ancora
un viaggio e questa nausea
blu- incredibile… lei distesa
più sola (forse dorme) sul sofà.
(inedita)
lunedì 21 ottobre 2013
Nicola Dal Falco
ARTE REGIA
ricuoce e spurga il vecchio muro, ronzante
d’api o d’acque, secondo le stagioni che
s’arruffano tra loro, spedendo giorni torridi
e fruscianti, molti mesi, a caso;
si tiene in spalla il melo sul suo zoccolo d’argilla
e un resto d’orto, bruciato, a pomodori e verze;
a volte, rimane affacciato un cane, ma senza
dar di voce, solo spaziando con il naso l’orizzonte;
anche i pensieri s’acquietano sotto quel muro
che quasi abbraccia la finestra, da dove
volano parole grosse, stampatello,
nomi di zolfi e mercuri, inseguendo la sirena
che, schiva, nuota lungo la marina
(inedita)
ricuoce e spurga il vecchio muro, ronzante
d’api o d’acque, secondo le stagioni che
s’arruffano tra loro, spedendo giorni torridi
e fruscianti, molti mesi, a caso;
si tiene in spalla il melo sul suo zoccolo d’argilla
e un resto d’orto, bruciato, a pomodori e verze;
a volte, rimane affacciato un cane, ma senza
dar di voce, solo spaziando con il naso l’orizzonte;
anche i pensieri s’acquietano sotto quel muro
che quasi abbraccia la finestra, da dove
volano parole grosse, stampatello,
nomi di zolfi e mercuri, inseguendo la sirena
che, schiva, nuota lungo la marina
(inedita)
venerdì 18 ottobre 2013
Gerard Manley Hopkins
PER R. B.
Il sottile piacere che genera pensiero: il forte
sprone, vivo e tagliente come fiamma soffiata,
soffia una volta eppure, prima spento che acceso,
lascia la mente gravida di un canto immortale.
Per nove mesi, anzi no, anni, per nove anni, tanto
a lungo dentro sé lo porta, sopporta, pettina e cura:
e se del perso intuito essa vedova vive, però il fine
le è noto ora e la mano lavora senza errore.
Il dolce fuoco, sire della musa, alla mia anima
serve; io voglio l’ebbrezza unica di un’ispirazione.
Oh ma se dei miei versi in ritardo tu perdi
il flusso, il frullo, il canto e la creazione,
il mio mondo invernale, che respira appena quella gioia
ora, con un sospiro cede a darti la nostra spiegazione.
(1889)
Traduzione di Francesco Dalessandro
da The Poems of Gerard Manley Hopkins, Oxford University Press, 1970
Il sottile piacere che genera pensiero: il forte
sprone, vivo e tagliente come fiamma soffiata,
soffia una volta eppure, prima spento che acceso,
lascia la mente gravida di un canto immortale.
Per nove mesi, anzi no, anni, per nove anni, tanto
a lungo dentro sé lo porta, sopporta, pettina e cura:
e se del perso intuito essa vedova vive, però il fine
le è noto ora e la mano lavora senza errore.
Il dolce fuoco, sire della musa, alla mia anima
serve; io voglio l’ebbrezza unica di un’ispirazione.
Oh ma se dei miei versi in ritardo tu perdi
il flusso, il frullo, il canto e la creazione,
il mio mondo invernale, che respira appena quella gioia
ora, con un sospiro cede a darti la nostra spiegazione.
(1889)
Traduzione di Francesco Dalessandro
da The Poems of Gerard Manley Hopkins, Oxford University Press, 1970
mercoledì 16 ottobre 2013
George Gordon Byron
TU NON SEI FALSA, PERÒ SEI VOLUBILE
Tu non sei falsa, però sei volubile
con chi cercasti con fare amorevole;
le lacrime che tu costringi a piangere
questo pensiero fa due volte amare:
si spezza il cuore da te rattristato
perché bene l’amasti ma presto l’hai lasciato.
Disprezza il cuore chi è solo bugiardo,
e disdegna l’inganno e chi inganna;
ma colei che non cela il suo pensiero
e sente amor quanto dolce sincero,
quando cambia chi amò sinceramente
prova ciò che ho provato anch’io recentemente.
Sognare gioia ma svegliarsi in pena:
la sorte di chi è vivo e innamorato;
e se, presa coscienza del domani,
non perdoniamo quelle fantasie
nate nel sonno che tesero inganni
perché fosse più sola l’anima al suo risveglio,
chi non si scalda a una falsa visione
ma alla più vera e tenera passione –
che è sincera ma rapida trascorre
triste, incanto d’un sogno – cosa prova?
Ah, il dolore è una trama d’illusioni,
com’è soltanto un sogno che tu possa cambiare.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da Il sogno e altri pezzi domestici, Il Labirinto, 2008
Tu non sei falsa, però sei volubile
con chi cercasti con fare amorevole;
le lacrime che tu costringi a piangere
questo pensiero fa due volte amare:
si spezza il cuore da te rattristato
perché bene l’amasti ma presto l’hai lasciato.
Disprezza il cuore chi è solo bugiardo,
e disdegna l’inganno e chi inganna;
ma colei che non cela il suo pensiero
e sente amor quanto dolce sincero,
quando cambia chi amò sinceramente
prova ciò che ho provato anch’io recentemente.
Sognare gioia ma svegliarsi in pena:
la sorte di chi è vivo e innamorato;
e se, presa coscienza del domani,
non perdoniamo quelle fantasie
nate nel sonno che tesero inganni
perché fosse più sola l’anima al suo risveglio,
chi non si scalda a una falsa visione
ma alla più vera e tenera passione –
che è sincera ma rapida trascorre
triste, incanto d’un sogno – cosa prova?
Ah, il dolore è una trama d’illusioni,
com’è soltanto un sogno che tu possa cambiare.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da Il sogno e altri pezzi domestici, Il Labirinto, 2008
lunedì 14 ottobre 2013
Elizabeth Barrett Browning
SONETTO XXII
Quando forti e diritte le nostre anime
si stringono in silenzio sempre più vicine,
finché le punte ricurve delle loro ali
aperte prendono fuoco, quale amaro
torto può farci la terra per impedirci
d’essere a lungo felici? Pensa! Mentre
saliamo in alto, gli angeli, incalzandoci,
sfere d'oro di canto perfetto vorrebbero
far cadere nel nostro profondo e caro
silenzio. Ma, amore, restiamo sulla terra
dove l'avverso, indegno umore degli umani
fugge gli spiriti puri, li isola e consente
un luogo dove stare, amare per un giorno,
con l'ombra e l'ora della morte intorno.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da Sonetti dal portoghese, Edizioni Il Labirinto, 2002
Quando forti e diritte le nostre anime
si stringono in silenzio sempre più vicine,
finché le punte ricurve delle loro ali
aperte prendono fuoco, quale amaro
torto può farci la terra per impedirci
d’essere a lungo felici? Pensa! Mentre
saliamo in alto, gli angeli, incalzandoci,
sfere d'oro di canto perfetto vorrebbero
far cadere nel nostro profondo e caro
silenzio. Ma, amore, restiamo sulla terra
dove l'avverso, indegno umore degli umani
fugge gli spiriti puri, li isola e consente
un luogo dove stare, amare per un giorno,
con l'ombra e l'ora della morte intorno.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da Sonetti dal portoghese, Edizioni Il Labirinto, 2002
venerdì 11 ottobre 2013
Alessandro Ricci
DONNE
Se è vero che le sofferenze d’amore possono misurarle
i nipoti di Freud, il prof. Cazzullo, gli stregoni, dio padre
onnipotente e chi altro mai negli intermundia
delle trascendenze, fino al punto di convincerci
che tutto sommato non ci va malissimo o che, amen,
è stata una pessima idea, noi stiamo al fenomeno:
chi scava il corridoio e vuota i posacenere
nei sacchetti di plastica e questi nei cassonetti sotto
casa guardando con invidiosa malizia i palombari
della N. U. sprofondarli con gli altri universi pattumi
nei camion bianchi e verdoni che fanno il giro
degli isolati – nel senso reale e metaforico
della parola – e poi risale a dirlo alle piante,
allo specchio senza guardarsi, al bottiglione
di odio controllato senza contare i bicchieri…
E chi danza.
Perché nelle sale da ballo – classico o moderno che sia – non
si insegna la storia: né le vittorie di Pirro, né la presa
di Singapore, e meno che mai i proclami delle porche
madonne sull’abbattimento dei muri e i turni
alle culle piene senza concorso di padri; promesse
velocemente disdette, ma fatte, firmate ed approvate
in un ristorante cinese di mezza periferia, mezza estate
ed intera finzione.
(inedita)
Se è vero che le sofferenze d’amore possono misurarle
i nipoti di Freud, il prof. Cazzullo, gli stregoni, dio padre
onnipotente e chi altro mai negli intermundia
delle trascendenze, fino al punto di convincerci
che tutto sommato non ci va malissimo o che, amen,
è stata una pessima idea, noi stiamo al fenomeno:
chi scava il corridoio e vuota i posacenere
nei sacchetti di plastica e questi nei cassonetti sotto
casa guardando con invidiosa malizia i palombari
della N. U. sprofondarli con gli altri universi pattumi
nei camion bianchi e verdoni che fanno il giro
degli isolati – nel senso reale e metaforico
della parola – e poi risale a dirlo alle piante,
allo specchio senza guardarsi, al bottiglione
di odio controllato senza contare i bicchieri…
E chi danza.
Perché nelle sale da ballo – classico o moderno che sia – non
si insegna la storia: né le vittorie di Pirro, né la presa
di Singapore, e meno che mai i proclami delle porche
madonne sull’abbattimento dei muri e i turni
alle culle piene senza concorso di padri; promesse
velocemente disdette, ma fatte, firmate ed approvate
in un ristorante cinese di mezza periferia, mezza estate
ed intera finzione.
(inedita)
mercoledì 9 ottobre 2013
Francis Jammes
PREGHIERA PER AMARE IL DOLORE
Io non ho che il dolore e non voglio altro.
Sempre mi è stato e ancora mi è fedele.
Perché avercela con lui se nelle ore
in cui l’anima stritolava il fondo del mio cuore
là si trovava e mi sedeva a fianco?
Oh dolore, ho finito, vedi, per rispettarti,
perché è certo che non mi lascerai.
Sì, l’ammetto, sei bello a forza d’essere,
e rassomigli a quelli che non abbandonarono
il triste focolare del mio povero nero cuore.
Mio dolore, sei più di un’innamorata,
perché nel giorno della mia agonia,
lo so, tu sarai là, sul mio letto, dolore,
per tentare di entrarmi ancora in cuore.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da Oeuvre poétique complète, Atlantica, 2006
Io non ho che il dolore e non voglio altro.
Sempre mi è stato e ancora mi è fedele.
Perché avercela con lui se nelle ore
in cui l’anima stritolava il fondo del mio cuore
là si trovava e mi sedeva a fianco?
Oh dolore, ho finito, vedi, per rispettarti,
perché è certo che non mi lascerai.
Sì, l’ammetto, sei bello a forza d’essere,
e rassomigli a quelli che non abbandonarono
il triste focolare del mio povero nero cuore.
Mio dolore, sei più di un’innamorata,
perché nel giorno della mia agonia,
lo so, tu sarai là, sul mio letto, dolore,
per tentare di entrarmi ancora in cuore.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da Oeuvre poétique complète, Atlantica, 2006
lunedì 7 ottobre 2013
Manuel Cohen
(SOPRA UN VERSO DI FRANCO FORTINI)
l’aria del mattino sulla spianata
rasa o deserta brucia ogni pensiero
che s’arrischi oltre la terra piegata,
stadio dell’allerta è uno stato o maniero
fortezza a fattiva norma impiegata,
l’aria del mattino su d’un sentiero
di pietra piantata è morbo o malaria
d’una ratio produttiva o gregaria
da Winterreise – La traversata occidentale, CFR Edizioni, 2012
l’aria del mattino sulla spianata
rasa o deserta brucia ogni pensiero
che s’arrischi oltre la terra piegata,
stadio dell’allerta è uno stato o maniero
fortezza a fattiva norma impiegata,
l’aria del mattino su d’un sentiero
di pietra piantata è morbo o malaria
d’una ratio produttiva o gregaria
da Winterreise – La traversata occidentale, CFR Edizioni, 2012
venerdì 4 ottobre 2013
Carlo Betocchi
VERSO SERA
Questo che passa è il sole dei vent’anni,
l’ombra che viene è la tua solitudine,
la pace che ti resta la tua anima.
Tu sai che il sole passa e non dimentichi,
che l’ombra viene e ciò non ti disanima;
e che la pace è una lunga conquista.
Ma nel tetto già in ombra tu rivedi
con più calmo disegno e più sottile
la tua secca eleganza giovanile:
e nel sole lontano che già tocca
le vette ai campanili ed alle cupole
trovi il calmo riflesso dell'età
che hai raggiunta: e in te stesso ricomponi
la tua unità in cui nulla e tutto muta
restandoti del tutto sconosciuta
se non in questo palpito che passa
come fanno le rondini e che scrivi
circolarmente, così come tu vivi.
Da Poesie del sabato, Mondadori, 1980
Questo che passa è il sole dei vent’anni,
l’ombra che viene è la tua solitudine,
la pace che ti resta la tua anima.
Tu sai che il sole passa e non dimentichi,
che l’ombra viene e ciò non ti disanima;
e che la pace è una lunga conquista.
Ma nel tetto già in ombra tu rivedi
con più calmo disegno e più sottile
la tua secca eleganza giovanile:
e nel sole lontano che già tocca
le vette ai campanili ed alle cupole
trovi il calmo riflesso dell'età
che hai raggiunta: e in te stesso ricomponi
la tua unità in cui nulla e tutto muta
restandoti del tutto sconosciuta
se non in questo palpito che passa
come fanno le rondini e che scrivi
circolarmente, così come tu vivi.
Da Poesie del sabato, Mondadori, 1980
mercoledì 2 ottobre 2013
Sandro Penna
LA SERA VERSO L’IMBRUNIRE VADO
La sera verso l’imbrunire vado
in direzione opposta della folla
che allegra e svelta sorte dallo stadio.
Io non guardo nessuno e guardo tutti.
Un sorriso raccolgo ogni tanto.
Più raramente un festoso saluto.
Ed io non mi ricordo più chi sono.
Allora di morire mi dispiace.
Di morire mi pare troppo ingiusto.
Anche se non ricordo più chi sono.
Da Il viaggiatore insonne, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 1976
La sera verso l’imbrunire vado
in direzione opposta della folla
che allegra e svelta sorte dallo stadio.
Io non guardo nessuno e guardo tutti.
Un sorriso raccolgo ogni tanto.
Più raramente un festoso saluto.
Ed io non mi ricordo più chi sono.
Allora di morire mi dispiace.
Di morire mi pare troppo ingiusto.
Anche se non ricordo più chi sono.
Da Il viaggiatore insonne, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 1976
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