L’antica traduzione veneta di un lamento sulla fine di Costantinopoli, colmo di pathos e di contrizione.
O cità, caput de tutte le citade, centro de le quatro parte del mundo! O cità, cità, gloria de tutti i Christiani et destructione de barbari! O cità, cità, altro paradiso piantato verso l’occidente, havente dentro varie piante con abbundantia de fructi spirituali! Dove è il tuo decoro? Dove è la valitudine tua benigna? Dove sono le tue gratie gratis date?
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Dove sono le reliquie delli confessori? Dove delli martiri? Dove sono le reliquie del magno Costantino? Dove li cadaveri deli altri imperadori? Dove sono le strade, li cortili, li trivii, li campi, le macerie delle vigne, che tutte erano piene de reliquie di sancti? Dove sono li sepulcri honorati delli generosi?
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O citadinità, o populo, o exercito dinanzi innumerabile, adesso destructo, come la nave in la sua navigation submersa! O case, o palazi diversi, o sacri muri! Oggi convoco tutti voi, et come cose animate con voi piango habiando per mio doctore Hieremia, principe della misera tragedia. Quomodo sedet sola civitas, la quale abbundava tanto populo? È facta come vedua la madonna della gente, la imperatrice delle provintie è posta sotto tributo. Plorante plora la nocte, et le lacrime irrigano per le maxille. De tutti li soi cari non è alcun che li daga consolatione. Tutti li soi amici la hanno disprezata; et sono facti a lei inimici. Iudas s’è partito per la afflictione et multa servitù. In le angustie li soi persequitori la hanno presa. Le vie de la nova Sion piangono, perché non sono chi venga alle sollemnitade. Tutte le porte dela cità sono destructe. Li soi sacerdoti plorano, le sue vergine sono piene de squallore. Et ipsa è oppressa dalla amaritudine. Li soi adversarii sono facti ricchi et deventati soi inimici capitali, perché ’l Signor ha parlato contra essa per la multitudine delle sue iniquitade. Li soi putti pizoli sono menati in captivitade al conspecto de quello che la ha tribulata. Et omne decoro s’è partito dalla figliola Sion. Li soi principi sono facti come montoni che non trovano pasculi, et sonose partiti senza la forteza avanti la facia del persecutore. Ierusalem s’è ricordata delli zorni della sua afflictione et prevaricatione de tutti li soi desiderii. Li inimici veddero essa, et deriseno le sue feste. Ierusalem ha peccato et per zò è facta instabile. Tutti quelli che la glorificava, la hanno desprezata, perché hanno visto la sua ignominia. Lo inimico ha desceso le mane a tutti li soi desiderii, et ha visto intrare gente nel sanctoario suo, le quale havevi comandato che non intrasse nella chiesia tua. Tutto ’l populo suo piangendo cercava el pane; et hanno dato tutte le tue cose pretiose per el cibo per refocillar l’anima sua. Vedi, Signor, et considera come sono facta vile. O tutti voi che passate per la via, attendate et vedate se è dolor come è il dolor mio, perché ’l Signor me ha vindemiata, secondo che disse nel dì del suo furor. Da alto mandò el foco nelle ossa mei. Ha desteso le reti alli mei pedi et hame facto tornar indetro.
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Li putti che tetavano sono uccisi. Hanno amazato nel sanctuario del Signore el sacerdote e ’l propheta. Le vergene et li zoveni mei tutti sono menati in preda. Ha compito el Signor la sua ira, et ha messo foco in la cità, et ha consumato li fondamenti soi. La nostra successione è devoluta in altri: le case nostre tràdite sono alli forestieri. Semo deventati orfani senza patre, le matre nostre vedove. Semo cacciati, havemo fatigato, senza mai haver riposo. Li nostri patri hanno peccato et non vivono: noi veramente sostenemo le sue prevaricatione. Li servi signoreza noi, et non è deliberator che ne delibere delle sue mane. La nostra pelle è deventata vecchia et seccha, come vite avulsa della radice dal viso delli venti. Li electi hanno cessato dalla voce delli psalmi. Ogni alegreza dal nostro core è mancata, lo nostro choro s’è convertito in pianto, la corona del nostro capo è cazuta. Heu! perché havemo peccato. El nostro core è deventato dolente, per el peccato, li nostri occhi oscuriscono, per el peccato la nova Sion è destructa. Le volpe passaranno per essa. Tu vero, Signor, habite in eterno, la tua sedia da generatione in generatione. Perché ne hai sdementicato? Tu ne hai abbandonato in la longhezza delli zorni.
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Qual lingua mai potria compitamente la multitudine, le generatione et grandezza delli mali, oltra la preda inevacuabile, la desabitazione amara, che ha sostenuta la inconsolabile cità.
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O sole, obscura della tua faccia la eterna luce, et tu, terra, sospira e piangi per la horribile sententia, che Dio iusto ha mandato sopra la generation nostra per li nostri peccati. Non semo degni alzar li occhi al cielo, ma col volto et li occhi bassi guardar sempre la terra, chiamando sempre: «Iusto, iusto sei tu, Signore, et iusto è il tuo iuditio. Havemo peccato, havemo prevaricato, havemo facto iniustitia più che tutte le zente. Et tutte le cose che hai facto a noi, tu le hai facte con iustitia et con raxone. Nientedimeno, habbi de noi, Signor, misericordia».
Traduzione di Anonimo veneto del xv secolo
da Bisanzio nella sua letteratura, a cura di Umberto Albini e Enrico V. Maltese, Garzanti, 1984
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