lunedì 5 gennaio 2015

John Keats

ODE SU UN’URNA GRECA


I
Tu, vergine ancora, sposa della quiete, 
figlia adottiva del silenzio e del tempo
tardivo, narratrice silvestre che più dolce-
mente dei miei versi sai esprimere la favola 
fiorita, quale mito orlato di foglie 
riempie la tua forma? di mortali o dèi 
o di entrambi? A Tempe o in Arcadia?
Quali uomini o dèi, e vergini restie? 
Quale folle caccia e lotta per fuggire?
Con cembali e flauti, che estasi selvaggia?
             
II
Dolci sono le udite melodie, le non udite
anche più dolci; perciò suonate ancora, 
teneri flauti, non per l’orecchio: preziose
per lo spirito dolci arie senza suono suonate. 
Nella selva, amato giovane, il tuo canto 
non può tacere né quei rami sfrondarsi.
Tu, amante audace, non potrai baciare
chi ti è così vicina; però non lamentarti
per la gioia svanita: lei non potrà svanire
e sarà sempre bella, per sempre l’amerai.

III
Piante, felici piante, voi non vedrete mai
sparse le vostre foglie né alla primavera
direte addio; te felice, musico mai stanco,
che suoni sempre sempre nuovi canti; 
ma più felice amore, più felice il felice
amore, caldo per sempre e da godere
ancora, anelante per sempre, eternamente
giovane; più alto d’ogni umana, vivente 
passione che il cuore sazia di pena, 
che fa bruciare la fronte, seccare la lingua.

IV 
E questi che s’avviano al sacrificio chi sono? 
A quale verde altare, sconosciuto sacerdote, 
conduci la giovenca dai lucidi fianchi
coperti di ghirlande che muggisce al cielo? 
Quale piccola città sulla riva di un fiume 
o sul mare, o turrita di mura nella pace
dei monti s’è svuotata di gente nel pio
mattino? Le tue strade saranno per sempre
silenziose, città, e non un’anima potrà
tornare a dirti perché fosti abbandonata.


V
Oh attica forma, la tua linea armoniosa, 
esaltata nel marmo da trame di fanciulle
e uomini, rami frondosi, erbe schiacciate;
la tua silenziosa figura come il pensiero 
dell’eterno ci tormenta, fredda pastorale! 
Quando l’età avrà guastato anche questa generazione, 
tu ancora sarai qui, testimone di dolori 
diversi dai nostri e, amica dell’uomo, dirai:
«Bellezza è verità e verità bellezza» – questo solo 
sapete sulla terra, solo questo dovete sapere. 

Traduzione di Francesco Dalessandro

da Sull’indolenza e altre odi, Edizioni Il Labirinto, 2010

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