LA
GRANDE LIMONAIA
*
Agli
estremi la balaustra è vaga,
non
per difetti di prospettiva
ma
per getti di nebbia
che
stazionano equidistanti
dal
centro più definito:
architettura
del precedente,
formazioni
incombenti,
ultimo
appiglio. Fenomeno
inconsueto
sarà così per poco,
dopo
aver reso redditizia
la
mia postazione, tribuna
fatta
di nulla, ribalta oratoria
per
spiriti leggeri in transito.
*
Ragionerei
volentieri
di
elementi euclidei e di spunti
filodrammatici
se avessi
l’interlocutore
giusto,
se
non interferisse, nel parco
di
contorno alla reggia provvisoria
–
siepi alte su siepi – lo stridore
di
passi sulla ghiaia
di
turisti superstiti accorsi
alla
grande limonaia,
*
Il
rumore delle suole si fa
allegoria
ambigua di un viaggio
incerto
nell’itinerario scosceso
che
arriva ai limiti dell’anfiteatro
di
corte all’aperto. La scena
avrebbe
bisogno di una luce
più
intensa per sperare
che
l’obelisco egizio produca
quel
raggio meridiano
che,
una tantum, ribalti il verso
delle
ore, sugli scaloni friabili
dov’è vietato l’accesso.
*
Una
voce convoca il gruppo
di
uditori sparsi alla serra
d’agrumi,
i centenari nelle conche
giganti,
altri, immaturi, velati
in
vivai di terra scura.
Il
profumo dei limoni nutre
d’ipotesi
plausibili – guardando
in
alto gli stemmi sulle volte
di
gesso, forse di una palestra
di scudieri e di armi – l’idea
d’un
epilogo all’altezza, prima
di
cambiare rotta.
settembre/ottobre
2016
(inedita)
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