ODE SULLA MALINCONIA
I
No, no, non scendere nel
Lete e non torcere
le tenaci radici
dell’aconito per spremerne
un venefico vino; non
patire sulla fronte
pallida il bacio della
belladonna, rosso
chicco di Proserpina; non
fare un rosario
con le bacche del tasso,
né la lugubre falena
o lo scarabeo siano la tua
Psiche funerea,
né il gufo sodale dei tuoi
misteri del dolore;
viene ombra su ombra con
troppa sonnolenza
a sommergere la vigile angoscia dell’animo.
II
Ma quando dal cielo un senso di malinconia
Ma quando dal cielo un senso di malinconia
cadrà all’improvviso come il pianto della nube
che ai fiori il capo reclino solleva e disseta
e avvolge il verde colle nel sudario d’aprile,
sazia il tuo dolore su una rosa mattutina,
o sull’arcobaleno che fa l’onda salmastra
sazia il tuo dolore su una rosa mattutina,
o sull’arcobaleno che fa l’onda salmastra
sulla sabbia, o sui globi opulenti delle peonie;
o se ricca di collera si mostra la tua amata
la morbida mano catturane, lascia che deliri,
nutriti fino in fondo di quegli occhi senza pari.
o se ricca di collera si mostra la tua amata
la morbida mano catturane, lascia che deliri,
nutriti fino in fondo di quegli occhi senza pari.
III
Lei con la bellezza dimora, sì, con la bellezza
Lei con la bellezza dimora, sì, con la bellezza
mortale e con la gioia che
con la mano alle labbra
invia l’addio; vicino al
piacere che dà pena
e veleno diventa nella
bocca mentre l’ape
lo succhia; sì, nel tempio
del piacere
è il supremo santuario
della velata Malinconia
che soltanto distingue chi
sul fine palato
con la lingua può spremere
un acino di gioia;
l’anima così gusterà la
tristezza del potere
che tra i suoi nubilosi
trofei la lascia sospesa.
Traduzione di Francesco Dalessandro