venerdì 29 settembre 2017

John Keats

ODE SULLA MALINCONIA


I
No, no, non scendere nel Lete e non torcere
le tenaci radici dell’aconito per spremerne
un venefico vino; non patire sulla fronte
pallida il bacio della belladonna, rosso
chicco di Proserpina; non fare un rosario
con le bacche del tasso, né la lugubre falena
o lo scarabeo siano la tua Psiche funerea,
né il gufo sodale dei tuoi misteri del dolore;
viene ombra su ombra con troppa sonnolenza
a sommergere la vigile angoscia dell’animo.

II
Ma quando dal cielo un senso di malinconia
cadrà all’improvviso come il pianto della nube
che ai fiori il capo reclino solleva e disseta
e avvolge il verde colle nel sudario d’aprile,
sazia il tuo dolore su una rosa mattutina,
o sull’arcobaleno che fa l’onda salmastra
sulla sabbia, o sui globi opulenti delle peonie;
o se ricca di collera si mostra la tua amata
la morbida mano catturane, lascia che deliri,
nutriti fino in fondo di quegli occhi senza pari.

III
Lei con la bellezza dimora, sì, con la bellezza
mortale e con la gioia che con la mano alle labbra
invia l’addio; vicino al piacere che dà pena
e veleno diventa nella bocca mentre l’ape
lo succhia; sì, nel tempio del piacere
è il supremo santuario della velata Malinconia
che soltanto distingue chi sul fine palato
con la lingua può spremere un acino di gioia;
l’anima così gusterà la tristezza del potere
che tra i suoi nubilosi trofei la lascia sospesa.

Traduzione di Francesco Dalessandro

Nessun commento:

Posta un commento