U STRITTU
«Chi ha chiuso fra due battenti il mare,
quando usciva impetuoso dal ventre materno
quando io lo vestivo di nubi
e lo fasciavo di spessa oscurità?
Quando gli ho fissato un confine
e gli ho messo sbarre e porte
dicendogli: Fin qui giungerai e non oltre
e qui si infrangeranno le tue onde orgogliose».
Giobbe, 38
Sembrano
costole vicine -
che
una si regga all’altra.
Poi
la terra cade nell’azzurro
e
penso che tu mi aspetti all’altra riva
scavalcate
le correnti
dimenticati
i turisti
e
il caffè dell’ultimo bar.
Che
stazione?
Capi
d’avventura?
Soglia?
Paroli du ventu,
sunnu.
Pigghiamu i
valigi.
Quarto
di luna.
Sbuccio
un’arancia
accanto
al buio dell’acqua
e
ascolto una madre strillare:
passi cchiù
tempu ‘nta l’acqua chi ‘nta terra
L’altra riva brilla del Faro
corre e gli manca il fiato.
– Matri
bedda, cori di Gesù
pensaci tu a
‘stu figghiu –
E la madonna
apre la mano
scioglie dalla mano la Lettera
quasi a farla cadere
Quale alfabeto, quale lingua
quale salvacondotto
mi farà passare? E quando?
Nuddu apri
bucca.
Mala fortuna, scoglio, frontiera.
Il giorno è scacciato
Il colore è contorno e buccia
Il tallone non dà tregua
Il mare è una lingua stretta d’imbuto
qui –
al nord del Sud –
spinge a precipizio sandali fagotti scodelle di smalto
fili di budello
Cavalcatura di schiene e grembo
Deserto rovesciato di zolle d’acqua
Mantello che copre latrati e corpi e bucce
Ci misero i battenti
a quest’acqua grande
di mezzo
quest’acqua nostra – non bianca –
U
canuscisti, patri?
U
canuscisti?
No nessuno apre bocca
Nuddu apri
bucca
Dove sei, padre, che non mi rispondi?
che non mi prendi
che non mi butti una fune –
una cima –
in questa notte buia?
che mi lasci dall’altra parte
affondata nello scirocco
a correre come una lepre
di una corsa in discesa?
Ccà dommi u
ranni mari
(Patri,
trovimi ‘na trazzera
picchì a
strada spattìa
e ddà nni salutammu)
e ddà nni salutammu)
da Forse un
altrove. Ipotesi di viaggio attraverso la poesia
antologia di
prossima pubblicazione presso “Il Labirinto”
Nessun commento:
Posta un commento