mercoledì 30 agosto 2023

Vladimir Majakovskij

 IL FLUTO DI VERTEBRE

 

Scorderò l’anno, la data, il giorno.

Mi chiuderò solo con un foglio di carta.

Avverati, magia sovrumana

delle parole illuminate di pianto!

Oggi, appena entrato nella tua casa,

mi sono sentito

a disagio.

Tu celavi qualcosa nell’abito di seta

e s’effondeva nell’aria un profumo d’incenso.

Sei felice?

Hai risposto un freddo:

«Molto».

L’inquietudine ha rotto l’argine della ragione.

Accumulo disperazione, nel delirio della febbre.

 

Ascolta,

tanto non ci riesci

a vedere il cadavere.

Scagliami in viso la parola terribile.

Ogni tuo muscolo urla

lo stesso,

come un megafono:

è morto, è morto, è morto.

No,

rispondi.

Non mentire!

(Come farò a tornare indietro così?)

Come due tombe

ti si scavano gli occhi nel viso.

 

Le due fosse si inabissano.

Non se ne vede il fondo.

Mi sembra

di crollare dal palco dei giorni.

Come una fune, ho teso l’anima sul precipizio

e vi ho fatto l’equilibrista, giocoliere di parole.

Lo so,

ormai l’hai consunto l’amore.

Da tanti segni indovino la noia.

Fammi tornare giovane nell’anima.

La gioia del corpo fa’ di nuovo conoscere al cuore.

 

Lo so,

per una donna sempre si paga.

Non fa niente,

se intanto

non ti vestirò con l’elegante abito di Parigi

ma soltanto col fumo della sigaretta.

Il mio amore,

come un apostolo d’età remote,

diffonderò per mille e mille strade.

Da secoli è pronta per te una corona,

ove sono incastonate le mie parole:

arcobaleno di spasimi.

 

Come fecero vincere Pirro

gli elefanti con passo di due quintali,

così io ho sconvolto il tuo cervello col passo del genio.

Invano.

Non potrò piegarti.

 

Gioisci,

gioisci

d’avermi finito!

Ora è tale l’angoscia che desidero

soltanto fuggire al canale

e il capo cacciare nell’acqua digrignante.

 

Mi hai offerto le labbra.

Con quanta indifferenza.

Le ho sfiorate e m’hanno ghiacciato.

M’è parso di baciare in penitenza

un monastero intagliato nella fredda pietra.

Hanno sbattuto

la porta.

È entrato lui,

rorido di gaiezza delle strade.

Io

con un gemito mi sono spezzato in due.

Gli ho gridato:

«Va bene!

Me ne andrò!

Va bene!

Rimarrà tua.

Ricoprila di stracci,

le sete appesantiscono le sue timide ali.

Bada che non s’involi.

Appendile al collo

come una pietra collane di perle!»

 

Oh, questa,

che notte!

Ho spremuto a non finire la mia disperazione.

A mio pianto e al mio riso

il muso della stanza s’è torto in una smorfia d’orrore.

 

E come una visione sorse a te il tuo sembiante,

sul suo tappeto effondervi l’aurora dei tuoi occhi,

quasi un sogno evocasse un nuovo Bialik

un’abbagliante regina dell’ebraica Sion.

 

Nel tormento ho piegato i ginocchi

dinanzi a colei che non è più mia.

A mio paragone

re Alberto,

arresosi con tutte

le sue fortezze,

è un festeggiato ricolmo di regali.

 

Indoratevi al sole, fiori ed erbe!

Dilagate in primavera, vita di tutti gli elementi!

Io un solo veleno desidero:

bere e bere sempre versi.

 

Tu che hai saccheggiato il mio cuore,

privandolo di tutto,

e nel delirio m’hai lacerato l’anima,

accogli, cara, il mio dono,

forse più nulla io potrò inventare.

Ornate a festa la data di oggi.

Avverati,

magia simile alla passione di Cristo.

Vedete,

sulla carta sono trafitto

con i chiodi delle parole.

 

(1915)

 

Traduzione di Ignazio Ambrogio

da Majakovskij, Antologia lirica, Nuova Accademia Editrice, 1960

 

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