IL SORRISO NERO
a Maria
c’è un sole pallido di biancospino
ma sulla pelle non si sente il gelo
luce glaciale la trasforma in specchio
come a spiegare l’ansa del respiro
non sono più una torre bianca
che il lampo squarci dalla feritoia
non sono più fermata obbligatoria
alla stazione di Ferrara
né la padrona del cinema a Bengasi
piuttosto qualche stanza al primo piano
sul lato lungo del cortile
se l’interno è in disordine è perché
non c’è più obbligo alla saggezza
è per quell’affastellarsi di cose
senza gerarchia tutto uguale cura
affetto distratto leggero
come quando si sa che viene presto partire
porto del canto che non ha più oggetto
*
la finestra di sala è sempre aperta
non ho più niente da tenere fuori
e la luce mi serve a rammendare
a riconoscere le facce
nelle fotografie così lontane
a non restare abbacinata
da quell’avvicinarsi
arso termine di tutti i rancori
rammentare dovrei almeno i nomi
della gente in sosta nelle cornici
ma nell’orecchio ho piuttosto le voci
che cantavano presto alla mattina
roteano i nomi lungo le pareti
al centro della sala fermo un tavolo
nero lucido come le scarpe di tuo nonno
quando usciva a cercare la spagnola
le lucidavo al davanzale
ancora dodici anni fa l’ultima volta
*
occhi azzurri la mia sola eredità
insieme a quell’anello che non togli
e porti al medio di fianco alla fede
sigillo d’altra segreta fedeltà
quel poco che ho sognato
fiocca tra i pollini nel raggio
tre figli quattro con i piani abortiti
cinque con i miei cappelli della festa
e l’illusione che la mia bellezza
sarebbe pur servita a qualcosa
a qualcuno alla grandine di riso
traboccata nera al lato del petto
occhi azzurri non un lascito da niente
se è anche grazie a me che ti hanno amato
*
c’è chi ama con violenza
per bisogno o dovere
e c’è chi ama andandosene
ma tu mi hai amato giocando
a briscola con me di pomeriggio
mentre tutto di fuori urlava
sui rami dei castagni
e nel cortiletto ai fili dell’enel
si impigliavano le note delle radio
serravi allora la finestra
davi le carte lentamente
e una partita ogni tre
lasciavi che vincessi
per tentarmi a sorridere
reciproco segreto
sul lucido del tavolo
rovesciato nero riflesso
ma pur sempre sorriso
dicembre 2007
Non avrei gustato le prime se non avessi letto le ultime. E’ una bella serie. Ho sentito l’azzurro e il nero, giustapposti, non mescolati, come le altalenanti possibilità di guardare a quel gomitolo di nostalgia, pena, affetto che è il passato familiare. Con rancore, sorridendo. Con un sorriso rancoroso. Dalla prima all’ultima poesia si sente il peso del fardello degli affetti e la fatica di portarlo stando dritti. Condivido nel tono e nella sostanza. Grazie.
RispondiEliminaSì, in effetti è proprio una suite, un testo in quattro movimenti. Dedicato a mia nonna, sposata a un fascista, tradita (in più di un senso) e morta di tumore a 86 anni. Una donna della fine dell'ottocento, che non aveva voce, né possibilità di esprimere una parola in merito, né diritto di ereditare, ma che mi ha lasciato un anello e un paio di occhi azzurri.
RispondiEliminaHai capito bene. Grazie a te.
Anche se con molto ritardo leggo questa bellissima poesia. La prima parte in particolare. I versi: "non sono più fermata obbligatoria / alla stazione di Ferrara // né la padrona del cinema a Bengasi" sono fra i più belli da me letti negli ultimi tempi!
RispondiEliminaMa ci sono raccolte pubblicate e disponibili di Maria Luisa Vezzali?
Grazie
Stefano