SAN NICCOLÒ DA TOLENTINO, STRADA
San Niccolò da Tolentino, strada
in discesa dal marciapiede bagnato
di quieto sole che percorrono freschi
d’una notte di amore e di sonno. Nessuno
dei rari passanti che incrociano, leggermente
affaticati dalla salita, presta loro
quel tanto di attenzione che nella città
lontana consola d’ogni giornata
dell’anno che sia uscito di casa: è
A. a notarlo alla sua compagna
di passo lento ma vivo,
in un tailleur di tweed che ormai
a Parma non si porta più, si ripone
per la primavera prossima. Ecco,
sono sboccati dove Piazza Barberini
s’apre su Via Veneto, grande, non lunga,
tortuosa alberata promettente,
da imboccare con un po’ di eccitazione,
senza fretta, gustandone le vetrine,
le grandi edicole, l’aria
cosmopolita, dolcemente liberty,
i caffè famosi
dove finalmente, in un tavolo soleggiato,
gustare un cappuccino cremoso,
una brioche soffice e gialla:
nutrimento necessario al loro corpo giovane. Soltanto
lo rattrista, percorrendogli il corpo
come un brivido, la consapevolezza
della cattività in cui versa, oh
all’apparenza blanda ma mortale, questa
città bella, pronta a prendere
fra le braccia amorose, e in cui vivono
poeti a lui cari, assopiti
in una pacifica rassegnazione. N.
si gode la luce in tutta la persona,
ma ha schermato gli occhi
delicati per tante emicranie,
con un paio d’occhiali neri
che a lui sono cari come tutto
di lei. La pigrizia
li coglie: perché muoversi,
cercare monumenti, perché
non lasciarsi andare a questo
fluire di minuti dorati
che non torneranno, non torneranno più?
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