TRE POESIE PER ANDRÉE REXROTH
Morta a ottobre del 1940
I
Ancora una volta dai rami screziati di grigio
dei castagni esplodono stelle di smeraldo
gli ontani si consumano nel fumo rosa
d’innumerevoli germogli.
Lo so, primavera è splendida
come sempre, i tordi nascosti
ciarlano dolcemente, il sole è vita –
su queste piste nella foresta camminammo insieme,
su questi sentieri, per dieci anni insieme.
Pensavamo che quegli anni durassero per sempre,
ma sono spariti, mentre i giorni
che per noi non dovevano arrivare sono qui.
Una lucida trota si bilancia nella corrente –
un’impronta di procione sul bordo dell’acqua –
più distante, il trambusto di un tarabuso –
le tue ceneri sparse su in montagna –
sulla corrente vanno verso il mare.
II
Viola e verdi, blu e bianche,
le bocche dell’Oregon
scivolano nel buio denso e fumoso
mentre la coppa rotante del giorno
sfugge al vortice dell’emisfero.
E la lunga spiaggia bianca
brilla tutta nel crepuscolo pallido
mentre s’accendono luci
nei villaggi solitari; voci umane
ne nascono; e il latrato dei cani,
appena cessa il vento.
Quelle sere d’agosto stanotte
sono vecchie di sedici anni e anch’io
di sedici anni più vecchio –
solo, sorpreso a metà della vita,
nel caos del mondo; e gli anni
della nostra giovinezza sono tutti
scomparsi, e ogni atomo
della tua carne sapiente e confusa
è completamente consumato.
III
Monte Tamalpais
Sono passati anni. E di nuovo
è primavera. Marte e Saturno
al crepuscolo, presto saranno
qui, bassi a occidente. La luce
del tramonto crea travi confuse
sulle cascate di Steep Ravine.
Gli uccelli che d’inverno
vengono dall’Oregon, tordi
vari e pettirossi fanno festa
con bacche mature di corbezzolo
e agrifoglio. I pettirossi cantano
nella luce che s’addensa.
Le tue ceneri
furono sparse in questo luogo. Qui
ti scrissi una poesia d’addio,
e molto tempo prima un’altra
di pace e d’amore, sulla stanchezza
di una lunga sera primaverile
in gioventù. Sono ormai
quasi dieci anni da quando venisti
qui per restarci. Ancora una volta
i salici grigi che in questa terra
stravagante arrivano con l’anno
nuovo sono in fiore. Ci sono
cervi e tracce di procione
nei medesimi luoghi. Certi nuovi
banchi di sabbia e letti di ciottoli
sono rimasti dove l’erosione
ha rosicchiato in profondità le colline.
I percorsi della vita sono stretti.
Guerra e pace, passate come fantasmi.
La razza umana sprofonda
nell’oblio. Un tarabuso
chiama dagli stessi giunchi dove
ne udisti uno in quel nostro
primo anno nel West, e dove io
ne ascoltai un altro nell’anno
della tua morte.
Kings River Canyon
Il mio dolore è così grande
che non riesco a vederci dentro;
così profondo che mai
potrò toccarne il fondo.
La luna sprofonda tra la foschia,
come se il canyon del Kings River
fosse pieno di buona umida ovatta
calda. Saturno brilla tra la densa
luce come un umido occhio d’oro;
là vicino, Antares s’illumina
debolmente, senza brillare.
In alto, lontana, un’oscura
pietra luccica al chiaro di luna –
il belvedere da dove scrutammo
nel canyon e poi ci stendemmo
sotto un’altra luna piena.
Qui, vicino allo stagno
autunnale, ci accampammo
per tutto un caldo ottobre.
Qui ti feci una torta di compleanno.
E qui tu dipingesti le tele migliori –
ingenui, misteriosi paesaggi.
Ne sono rimasti pochissimi.
Li distruggesti nell’ansia terribile
della lunga malattia. Sono passati
diciott’anni da quell’autunno.
Qui, allora, non c’erano piste.
Solo poche persone sapevano
come entrare in questo canyon.
C’eravamo solo noi, venti miglia
lontani da chiunque;
un giovane marito e sua moglie,
circondati e protetti
da un autunno tranquillo,
un rumore d’acque tranquille,
nel vorticare delle foglie cadenti,
in un tremolio d’innumerevoli
pipistrelli che dalle grotte
volteggiavano sugli stagni odorosi
dove la grande trota sonnecchiava nella sera.
Diciott’anni fatti a pezzi
dalle ruote della vita.
Tu sei morta. Migliaia di detenuti
hanno aperto con la dinamite
un’autostrada attraverso
l’Horseshoe Bend. La gioventù,
che venne solo quella volta,
è passata. Ingrigiscono i capelli,
il corpo s’appesantisce. Anch’io
vado incontro alla morte.
Penso a Exequy, ricercata ma
desolata poesia di Henry King,
alla grande poesia di Yuan Chen,
insopportabilmente triste.
Solo, vicino allo Spring River,
più solo di quanto avrei mai
immaginato, penso a Frieda
Lawrence, seduta da sola
nel Nuovo Messico, durante
la lunga siccità, in ascolto
del fischio del latteo Isar,
sui ciottoli, in una perduta primavera.
Traduzione di Francesco Dalessandro
Da The complete poems of Kenneth Rexroth, edited by Sam Hamill & Bradford Morrow, Copper Canyon Press, 2003
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