a Yves, e a tutti gli uomini sulle colonie
I
Oltre il parapetto del balcone
esistono terre inesplorate
che tali per me rimarranno.
Tu parli di mulini a vento,
di palme, manghi e
altre spezie tropicali.
Ancora non hai abbandonato
la tua aria da eterno turista,
lo sguardo vaga intorno
a trecentosessanta gradi.
Laggiù ci sono ratti, scimmie, pesci velenosi,
coralli taglienti, scolopendre, febbri improvvise,
mentre i negri raschiano a terra la spazzatura,
avventurieri si arricchiscono di rum e tabacco,
e tu, chef, di ritorno dalla città,
apri il tuo bel cocco a metà
– metà luna –
bevi il latte e tiri su col naso.
Nel cuore della giungla occhieggiano
tanti animali feroci pronti
a essere sventrati dal tuo pugnale coloniale.
Ma cos’è questa colonia
che ha un aeroporto in miniatura
e ferri vecchi bruciati dal sole
e barili di senape per i clienti migliori?
Ci lasciano attingere acqua a piene mani,
ci sono uccelli di verde bosco,
di blu cobalto e rosso tramonto.
Sulla veranda una mami negra
stretta nel suo grembiule ocra
cucina un’esotica insalata,
si pulisce le mani sui fianchi e
culla una bambina chiara come il fiore di ylang ylang,
e tu dici ch’è felice di servire.
Perché sa fare solo questo.
In Occidente i fumi svettano
come bandiere e le bandiere cambiano
pur non cambiando politici e mestieranti,
al tramonto, prima della luna, tu scivoli tranquillo
sulla tua docile canoa
in cerca della spesa.
Agguanti una grossa testuggine e con
monacale pazienza la accarezzi, la svuoti, la lucidi
lavori per giorni e giorni
sul tuo trofeo tropicale.
In Occidente nessuno ha più
pazienza per fare la fila sull’autostrada,
al supermercato, alla posta
e il tramonto lo gode l’inquilino
dell’ultimo piano – se è proprio fortunato,
se ha tempo per fermarsi sulla soglia
della veranda condonata.
Della testuggine ora
neanche l’ombra, perché è sepolta
a nord, in un bel giardinetto di Bretagna.
II
Pensando non so che vago pensiero in testa,
eri quasi sicuro d’aver cambiato vita e
mondo. Ma la semplicità del naufrago
e la solitudine dell’eremita non sono fatte per te.
Chi poteva vedere questa tua nuova vita?
Chi poteva vederti dritto in piedi
orgoglioso del tuo bel mulino con una camicia a fiori
inquadrato dalla luna?
Un uomo se ne va, solo per poter ritornare.
E se poi ritorna con qualche oggetto tipico
la festa è ancora più grande,
perché gli oggetti nascondono i buchi vuoti,
furti, mancanze, rapine.
III
Alzavi gli occhi alla luna
e quella bruciava, più forte che sui porti
ai quali eri abituato,
più inebriante,
crepitante
come un vecchio ferro da stiro,
colava sulla staccionata, sugli arbusti di lantana, sulla biancheria
ordinata sul filo di plastica verde.
Al largo, fregate, yacht, scafi d’ogni genere e
di latta, di legno e colla,
sudate, la poppa oscillante.
Tu le guardavi passare dalla zanzariera del letto,
la tazza del caffè in mano,
il berretto già calato sulla testa.
Quale altra avventura ti avrebbe riempito la giornata?
L’oceano brilla come metallo d’argento,
sotto la grossa luna
scivoli sull’acqua, dall’acqua guardi l’isola:
la Grande Terra si allontana, i ciuffi dei palmizi
si polverizzano, gli uccelli ronzano
sempre più lontano
e arrivato all’orlo estremo della barriera corallina,
osservi bene il vuoto di blu che si spalanca,
la luce cola al fondo senza più riparo,
la schiuma si frange e sembra docile,
quasi una risacca.
Butti le reti che sanno già di visceri di pesce,
e ti lasci andare a questo giardino
azzurro, attento con la briglia
dell’ancora a non oltrepassare la sponda di un altro meridiano.
Che bel riparo quest’isola di fiori e di vaniglia,
di luna e aperitivi,
di vele, piogge e onde dalla cresta rosa.
IV
Pensando non so cosa, pensi che potresti
rimanere. Questa volta l’oceano
sembra quasi una laguna
sotto la luna nuova –
L’orizzonte è così largo,
la terra così stretta,
l’acqua ti fa un mantello per l’ultima stagione.
Ma il buio nero
appassisce senza spaventare.
(inedita)
La facilità con la quale la professoressa scrive versi sembra essere superata soltanto dalla sua ambizione.
RispondiEliminaMa no, dai, che a ze bea!
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