NEON IN CORSIVO AZZURRO
Sembra una minaccia fatta
per amore, il buio ventoso
e commerciale di via appia,
le luci portatili sui motori,
un’autofficina generale qui
soggiorna oleosa e chirurgica,
ma più un cubo d’emergenza
generica e continua, corridoio
comune della mente, irrompe
nella velocità l’appello
opaco e vischioso; per un po’
ruba il mondo, l’acciaio multicolore
in depositi firma questa retrovia,
ma più, la spericolata paura libera
annusa delicata l’aria della vita
farfalla d’ognuno, folla di tutti...
Ma una dolcezza presupposta
e piovosa è messa lì a freddo
solo per compiutezza di disegno
dal neon in corsivo azzurro,
stretto grigio-sera angolare
e pochi oleandri, in chiusura
si ritira un bar dell’io medio
e transitorio.
Del presunto passo della vita,
nel vacillare lento d’ogni sua
vana forma vera, sono, a volte, alla
sommaria evidenza degli occhi
non senza velo e sforzo, anche
le sue facili, esposte felicità.
S’è fatta periferia, scesa
da bus e metro tra i primi
fari e quell’assillo da inseguiti
minori, stringendosi a questo adesso.
Fissità di tutti nella pensilina
assoluta, con le borse del ritorno,
un cemento d’attesa pallido
e vivente e ognuno già è casa
porta chiusa, rapido il buio
novembrino nel vialone svogliato,
steli alti di luce in prospettive
lunghe, un destino ridotto e stanco
d’esserlo, inciampa addosso alle
vite che spinge.
C’è un camice lilla, sopra una fibra
sua di quotidiano, sospesa
dal proprio continuo, sfila
un pensiero da vetrina al di fuori,
sue interlocutorie seduzioni
sghembe ammissioni, l’illusione
che più le pare sentimento e sosta.
Le oscilla nel volto il soggettivo
fluente dei riquadri accesi
dai muri, l’evasività singola di una
formale aiuola rotatoria, la sobria
ferocia della lamiera ondulata.
Che insiste nel cerchio,
l’eco coabitante di un bacio
che si rincorre, nelle sparse
proposte della lacrima; perde ora
la magnolia, la foglia che più aveva
voglia di terra, attuarsi forse
d’originaria ombra che, nella
strettoia mondana, cala riservata
desolazione e pare farne albe
pare farne corpi,
ma è la vetrina delle radio
a coglierla sul fatto,
d’esser lì, sul set del presente.
da Flavia Giacomozzi, Campo di battaglia, Castelvecchi, 2005
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