venerdì 7 febbraio 2014
Gerard Manley Hopkins
SCANDITO DALLE FOGLIE DELLA SIBILLA
Ardente, ultraterrena, serena, armoniosa,
/ a volta, voluminosa, … stupefacente,
la sera si sforza d’essere la vastità del tempo,
/ d’ogni cosa grembo riparo bara, notte.
La sua tenera dorata fioca luce all’occaso,
/ la sua cruda vacua luce canuta sospesa
si guasta; i primissimi astri, astri principi,
/ astri principali, ci sovrastano,
mostrando un cielo di fuoco. La terra
/ si spoglia di sé stessa, smuoiono i variegati
colori, sciamanti, smarriti, tutti intricati,
/ a frotte; in sé immersa, stremata - già tutto
smemorando, smembrando, ora. Cuore,
/ tu giustamente mi ammonisci: la sera
nostra è su di noi; la nostra notte c’inghiotte,
/ c’inghiotte e per noi sarà la fine. Solo
rami di aguzze foglie, dragoneschi, arrossano
/ la livida luce levigata; neri, sempre più neri
in essa. Il responso, oh il nostro presagio! Lascia
/ vita, svilita, ah lascia che la vita dipani
la sua varietà, poco fa avviluppata screziata venata,
/ in due spole; spartisci, restringi, racchiudi
tutto in due greggi, due greppie – bianco nero,
/ vero falso; considera, cura, accudisci questi due;
consapevole d’un mondo dove soli, l’uno contro
/ l’altro, hanno importanza; d’una ruota dove,
senza riparo né ricovero, da sé attorti e torturati,
/ pensieri contro pensieri stridono, gemendo.
(1884?)
Traduzione di Francesco Dalessandro
da The Poems of Gerard Manley Hopkins, Oxford University Press, 1970
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