lunedì 8 giugno 2015

Stefania Portaccio

CAPPUCCETTO ROSSO

la storia è complicata – in tre 
la raccontiamo – è andata
che in tre l’abbiamo tolto
quello che ci teneva separate
e in tre siamo restate

per prima parla la piccola mandata
nel bosco, e che ne uscì cambiata:

quella volta andavo dalla nonna
col cestino e la gonna
mamma aveva detto “pantaloni!”
ma io misi una veste rossa, corta
e presi la strada lunga, quella storta

andavo lenta fingendomi ammirata
da un’amica inventata
che rideva ai motteggi e a confidenze
che dicevo tra me

“fai compagnia alla nonna, non tornare
prima che cali il sole” 
aveva detto mamma. Al limitare 
del bosco abitavamo: il cacciatore
dal retro di nascosto, come io andavo entrava
e al villaggio nessuno s’accorgeva

Poi è il turno della buona nonnina
che la sa lunga e ha la testa fina:

la figlia mia sicuro s’era messa 
nei guai, e per riparo
e non per farmi fessa mi teneva all’oscuro.
Certo di me diceva  “Sorda e mezza cieca 
ma ostinata non si conta quanto l’ho pregata
di abitare con me e con la bambina
che lei, tra l’altro, adora
ma mia madre, si sa, ha la testa dura!”
Mentiva, poveretta. Mi volgeva la schiena 
ma, da madre, sentivo la sua pena
mangiarla dentro in fretta


Ora è il turno della sua figliola, da tanto
tempo, troppo tempo sola:

Ti aspetto, ma non vieni – ho il cuore triste.
Il letto fresco è fatto e il pranzo è cotto.
Per te mando la piccola nel bosco
e non m’impongo il giusto a quel puntiglio 
di mia madre di vivere lontana– per te
il mio cuore è fosco. 
Stavolta ti dirò di non tornare! Poi
penso a come m’alzi la sottana
ridente, annusandomi la chioma
e rimando di un’altra settimana

Poi parla ancora quella nel bosco entrata
bambina, e uscita un’assassina:

Dunque, la volta che, lenta, svagata
andavo per la mia strada accidentata
vedo venirmi incontro il cacciatore
avvolto nel mantello – andava lesto
mi ha stupito ma niente ho detto e chiesto
dentro di me qualcosa voleva 
e non voleva comprendere e doleva

mi guardava come io dodicenne mi sognavo
d’essere un giorno vista
stese il mantello sopra i dolci fiori
li schiacciammo e vennero gli odori
d’erba mista alla lana umida
al cuoio, al sudore, al sale 

nell’erba stava il fucile. Il cacciatore
steso mirava il sole che tra i rami
accecava – sorrise e non si volse
quando da lui mi sciolsi e mi rialzai
presi il fucile e al cuore gli sparai 

Era tardi. Corsi a perdifiato
con la cesta e il fucile e nella testa
parole, invocazioni, affastellate

Di nuovo e infine parla la donna sola
allo sbaraglio – alla riscossa
che scavò la fossa con madre e figlia
e sotterrò lo sbaglio:

Non vieni, non verrai. La mia bambina
non torna. Cercarla devo, col lume e con l’intero
cuore guerriero fatto per l’azione
e dieci occhi e orecchie e gambe buone

Sull’uscio la mia vecchia e la bambina
mi guardano ansimante avvicinarmi
distinguo nel crepuscolo un fucile
a me noto, allo stipite poggiato.
Mia madre dice calma “ora mangiamo 
beviamo ed intanto ragioniamo”
“Sì” dissi e la stringevo e “sì” e baciavo
la figlia sulla testa che suonava
di grida mute ­ 
fu allora che sentimmo l’ululato
poi il trapestio ed il lupo 
ci fu di fronte, magro ed affamato

fummo d’accordo di sparare in alto
solo a fargli paura. Poi serrammo
la porta ed al sicuro
parlammo nella notte del futuro


da Il padre di Cenerentola e altre storie (poesie e racconti inediti)

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