la storia è complicata – in tre
la raccontiamo – è andata
che in tre l’abbiamo tolto
quello che ci teneva separate
e in tre siamo restate
per prima parla la piccola mandata
nel bosco, e che ne uscì cambiata:
quella volta andavo dalla nonna
col cestino e la gonna
mamma aveva detto “pantaloni!”
ma io misi una veste rossa, corta
e presi la strada lunga, quella storta
andavo lenta fingendomi ammirata
da un’amica inventata
che rideva ai motteggi e a confidenze
che dicevo tra me
“fai compagnia alla nonna, non tornare
prima che cali il sole”
aveva detto mamma. Al limitare
del bosco abitavamo: il cacciatore
dal retro di nascosto, come io andavo entrava
e al villaggio nessuno s’accorgeva
Poi è il turno della buona nonnina
che la sa lunga e ha la testa fina:
la figlia mia sicuro s’era messa
nei guai, e per riparo
e non per farmi fessa mi teneva all’oscuro.
Certo di me diceva “Sorda e mezza cieca
ma ostinata non si conta quanto l’ho pregata
di abitare con me e con la bambina
che lei, tra l’altro, adora
ma mia madre, si sa, ha la testa dura!”
Mentiva, poveretta. Mi volgeva la schiena
ma, da madre, sentivo la sua pena
mangiarla dentro in fretta
Ora è il turno della sua figliola, da tanto
tempo, troppo tempo sola:
Ti aspetto, ma non vieni – ho il cuore triste.
Il letto fresco è fatto e il pranzo è cotto.
Per te mando la piccola nel bosco
e non m’impongo il giusto a quel puntiglio
di mia madre di vivere lontana– per te
il mio cuore è fosco.
Stavolta ti dirò di non tornare! Poi
penso a come m’alzi la sottana
ridente, annusandomi la chioma
e rimando di un’altra settimana
Poi parla ancora quella nel bosco entrata
bambina, e uscita un’assassina:
Dunque, la volta che, lenta, svagata
andavo per la mia strada accidentata
vedo venirmi incontro il cacciatore
avvolto nel mantello – andava lesto
mi ha stupito ma niente ho detto e chiesto
dentro di me qualcosa voleva
e non voleva comprendere e doleva
mi guardava come io dodicenne mi sognavo
d’essere un giorno vista
stese il mantello sopra i dolci fiori
li schiacciammo e vennero gli odori
d’erba mista alla lana umida
al cuoio, al sudore, al sale
nell’erba stava il fucile. Il cacciatore
steso mirava il sole che tra i rami
accecava – sorrise e non si volse
quando da lui mi sciolsi e mi rialzai
presi il fucile e al cuore gli sparai
Era tardi. Corsi a perdifiato
con la cesta e il fucile e nella testa
parole, invocazioni, affastellate
Di nuovo e infine parla la donna sola
allo sbaraglio – alla riscossa
che scavò la fossa con madre e figlia
e sotterrò lo sbaglio:
Non vieni, non verrai. La mia bambina
non torna. Cercarla devo, col lume e con l’intero
cuore guerriero fatto per l’azione
e dieci occhi e orecchie e gambe buone
Sull’uscio la mia vecchia e la bambina
mi guardano ansimante avvicinarmi
distinguo nel crepuscolo un fucile
a me noto, allo stipite poggiato.
Mia madre dice calma “ora mangiamo
beviamo ed intanto ragioniamo”
“Sì” dissi e la stringevo e “sì” e baciavo
la figlia sulla testa che suonava
di grida mute
fu allora che sentimmo l’ululato
poi il trapestio ed il lupo
ci fu di fronte, magro ed affamato
fummo d’accordo di sparare in alto
solo a fargli paura. Poi serrammo
la porta ed al sicuro
parlammo nella notte del futuro
da Il padre di Cenerentola e altre storie (poesie e racconti inediti)
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