Parole
per Vito
A
sei o sette anni, mi trovai per la prima volta in mezzo ai
preparativi di un funerale. Gli urli e i pianti intorno a me mi
spaventavano molto, perciò mi tenevo aggrappato, tremante, alle
gonne di mia nonna: capivo d’avere a che fare con qualcosa di
terribile e ne avevo paura. Allora, mia nonna, che si accorse del mio
spavento, si chinò su di me, mi sorrise e disse, in dialetto: «Se
rii la ècchia scappa». Se ridi, o sorridi, la vecchia scappa. Chi
fosse la vecchia non chiesi. Non aveva importanza. Ma compresi quel
che aveva inteso dirmi: le diedi retta, sorrisi anch’io e tutta
quell’agitazione cominciò ad apparirmi in una luce un po’
ridicola; non ebbi più paura. Insomma, il riso (l’umorismo, il
ridicolo) vince anche la morte.
Non
avevo più pensato alle parole di mia nonna, fino alla sera in cui
lessi questi versi di Vito Riviello: Ci scappa il morto! / Ci sta
scappando / il morto ci è scappato. / È fuggito in una morte
seria... Il doppio uso del modo
di dire mi divertì e mi sorprese e risvegliò quel lontano ricordo.
La poesia è intitolata Qualità di morte,
dalla raccolta Dagherrotipo del
1978. Proprio in quegli anni conobbi Vito e quel libro fu il primo
suo che lessi. Da allora, leggere la poesia di Riviello mi ha
sempre ricordato quella frase. La sua ironia, la sua vena comica e
surreale, sono il riso che scaccia la “vecchia”, un esercizio di
esorcismo contro… Contro quel che volete, appunto: la paura, la
morte, o solo la fatica quotidiana, l’ansia della vita. Non che
questo fosse l’intento di Vito, forse, ma io la sua poesia la leggo
così. E gliene sarò sempre grato.
Ma
ecco la poesia.
QUALITÀ
DI MORTE
Ci
scappa il morto!
Ci
sta scappando
il
morto ci è scappato.
È
fuggito in una morte seria
d’occhi
compiti
e
vasi etruschi
fuggendo
dalla morte nemica
di
bossoli nutrita.
Morti
perfettamente uguali
pur
nelle distinzioni
ipocrite
dell’orride
devastazioni.
Come
faranno le religioni
a
riconoscere gli accoliti.
Solo
chi li vede non li distingue
in
cadaveri rossi o azzurri.
Da
un morto all’altro stiamo fuggendo
sotto
il manto delle stelle.
Se
dal torbido sogno
mi
svegliassi antilope
apprenderei
la virtù dei forti.
Da
Assurdo
e familiare,
Piero Manni, 1997