APPARIZIONI
I
Il sogno non sempre
ha colore o movimento.
È uno stato,
talvolta. Il sogno di stanotte
era verde e
silenzioso come l’acqua
e come l’acqua
oscuro, o solo il brusio
di cosa viva, che fluisce
sotto il cielo.
Però il cielo
mentale che si vede
nella visione degli
occhi interiori:
non la vista dei
sensi, né il ricordo
della vista dei
sensi; non il tremulo colore
di una nube
sanguinante, ma un’eco
rossastra di luce
che ha fiato ancora
quando il tramonto
muore. Era uno stato
il sogno di
stanotte. Non il centro,
ma il limite, i
confini del mondo.
Sostenendo
l’oggetto, prima d’avere oggetti;
prima che esista
l’io, prima dell’istante
in cui dirò «Io
sono», e ancora sarà sogno,
ma sentendo, nel
sogno, che se lo ricordo
aprendo gli occhi,
saprò che già esistevo.
Niente ancora poteva
interessarmi
perché non ero un
essere: ero solo
uno stato, un’attesa.
In quelle notti
di tardo inverno, a
volte cade, obliqua,
una pioggia
finissima. Rinfresca
e il cielo è un faro
di porpora bruna,
le strade vuote
paiono d’altri tempi.
Pioveva così,
scendendo dolcemente,
col senso di morte
che dalle vetrine
cancella la pioggia
delle città di ieri.
Intendo dire quel
tipo di stato
di chi non sa se è
vita o se è ricordo
l’istante stesso che
ora sta vivendo,
senza stimoli, senza
sentire che qualcosa
bisognerà lasciare,
o che qualcosa
ci appartiene. Non
staccarsi né tenere.
Ero chi ancora non
può dire d’aver nome.
In agguato, in
attesa della sua identità:
come acqua corrente,
o acqua trattenuta,
identica al metallo
in cui presto cadrà.
Luce d’acqua confusa
con luci di metallo:
metallo doppio, agli
occhi, metallo
d’acqua, e metallo
della mente e dei sensi,
luce priva di luce,
idea di luce.
Perché il tema del
sogno è idea dell’io.
Confusamente,
sentivo che nel chiarore
immobile e verdastro
io proiettavo
nei gesti l’ombra di
quello che sono.
Traduzione di Francesco Dalessandro
Da Espejo, espacio y apariciones, Visor Poesia, 1988