Fammi lezione, Musa, a voce alta,
in vetta al Nevis, cieco nella nebbia!
Scruto nei dirupi, una coltre di vapori
li nasconde: questo, credo, l’uomo
sa dell’inferno; guardo in alto: nebbia
insistente: lo stesso può dirsi del cielo;
estesa al suolo, la nebbia è la terra
che calpesto: così, vaga, è la vista
che l’uomo ha di se stesso. Sotto i piedi
pietre sconnesse; e io, povero elfo
istupidito, che ci cammino sopra,
questo capisco: ciò che l’occhio incontra
è roccia e nebbia, e non solo qui in alto,
anche dove ha potere la mente, nel pensiero.
Traduzione di Francesco Dalessandro
John Keats, Poetical Works, Oxford University Press, 1972
bella traduzione
RispondiEliminaPoesie che accendono fuochi di artificio nella mente!
RispondiEliminaL'ascesa sul Ben Nevis nella nebbia è per John Keats la figura dell'inferno, dell'uomo che procede a fatica nella conoscenza, che non si riconosce.
Il monte notturno di George Manfred Byron, forse in Svizzera, è il luogo in cui fuggire dalla dannazione della conoscenza, nel quale invocare gli spiriti affinchè donino l'oblio.
"Sapere è patire. Sventura
è la scienza. Coloro che più sanno
più amaramente devono
piangere il vero fato:
l'albero della scienza non fu mai
l'albero della vita."
Chissà se in questi versi risieda una forma di polemica dialettica fra i due poeti.
Bellissima poesia e grande traduzione. Grande Francesco e grazie
RispondiElimina